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martedì 31 dicembre 2024

UN MANIFESTO TURISTICO SICILIANO DI MARIO PUPPO

"Sicilia",
assessorato regionale Turismo e Spettacolo, 1953

 

domenica 29 dicembre 2024

LO "SPETTACOLO RARO E MERAVIGLIOSO" VISIBILE UN TEMPO DA SOLUNTO

Panorama dalle rovine di Solunto
in una fotografia di "Brogi"
pubblicata nel 1933 dal volume
"Sicilia" del Touring Club Italiano


Il sito archeologico di Solunto non è certo paragonabile per ricchezza del patrimonio architettonico a quelli più noti di Selinunte, Segesta o dell'agrigentina Valle dei Templi. Più di altri siti della Sicilia, continua però a riservare uno spettacolo paesaggistico che da solo merita la visita. Dai pochi resti di una città che fu ellenistica e romana, lo sguardo spazia verso la piana di Bagheria e la lontana catena montuosa delle Madonie, sino alla rocca di Cefalù. Quest'ultima - insieme ai profili di Alicudi e Filicudi, le più occidentali delle Eolie - nelle giornate più nitide si staglia con chiarezza sulla distesa del mar Tirreno. Negli ultimi 50 anni, le profonde trasformazioni del territorio - fortemente urbanizzato e segnato dalla costruzione di numerose strade - hanno ovviamente intaccato la originaria integrità ambientale di un paesaggio esaltato dai racconti di numerosi viaggiatori. Fra questi, figura quello di Leonida Coggi, geologo del Museo Geologico "G.Cortesi" di Castell'Arquato e più volte autore di reportage sul patrimonio naturalistico ed archeologico della Sicilia

"Solunto. Sopra lo sperone più meridionale del monte Catalfano - scrisse Coggi nel marzo del 1965 sulle pagine della rivista "Sicilia" edita dall'assessorato regionale al Turismo - le rovine della città, punica, ellenistica e romana, confuse nella frammentarietà armoniosa della riesumazione sapiente, quasi pareggiate col suolo dalle distruzioni dell'uomo e del tempo, parevano volersi ergere ancora verso l'alto, ai lati del decumàno, in un anelito di rinascita, più che le stesse colonne ritte e compiute del Gymnasium dorico. Ai piedi del monte, una distesa verdissima di agrumeti odorosi si allargava dalla costa fin oltre Bagheria, cingendo da presso l'abitato e i segreti giardini delle ville settecentesche, anch'esse chiuse e deserte. Il mare della baia di Porticello era uno smalto lucidissimo di azzurro intenso, punteggiato di gemme, le vele e le barche variopinte a pesca. Uno spettacolo raro, meraviglioso, una sinfonia perfetta e inconscia, un capolavoro..."

giovedì 26 dicembre 2024

LA SICILIA A FORMA DI CUORE DEL MAPPAMONDO DI EBSTORF

 


IL PORTO VECCHIO DI CEFALU', DOVE IL MARE SI FA PIAZZA

Il "porto vecchio" di Cefalù.
Fotografia di Bruno Stefani
pubblicata nel 1967 nel volume "Il folklore"
della collana "Conosci l'Italia"
edita dal Touring Club Italiano


Malgrado le trasformazioni subite da un turismo di massa che ha omologato l'atmosfera e l'identità di una località che un tempo possedeva un aspetto unico ed irripetibile, Cefalù conserva ancora tracce di irripetibile suggestione. Una di queste - lo specchio di mare del "porto vecchio" - è rimasta nella memoria di Matteo Collura. Nel 2012 il giornalista e saggista agrigentino ne fece cenno nella prefazione del libro di Angelo Pitrone "Cefalù", edito da Salvatore Sciascia Editore e dalla Fondazione Culturale Mandralisca:  

"Certe mattine, a Milano, dove da molti anni lavoro e abito, la tazzina del caffè in mano, per meglio propiziarmi la giornata, immagino di trovarmi in un angolo, che so io, la Rocca davanti, e gli scogli color carne della Kalura a far da argine a un mare i cui riflessi mutano di continuo, e che per i cefaludesi è una sorta di ambiente domestico, dove si va a passeggiare più che a navigare. So quel che dico perché, grazie alla generosità di una coppia di amici che hanno casa proprio nella parte più antica del paese, quella che si affaccia sul porto vecchio, di tanto in tanto mi capita di potermi svegliare davanti a quel mare. Una distesa d'acqua placida dove la gente passeggia, i piedi a mollo, parlottando e gesticolando, così come si fa all'uscita della messa, la domenica. Non mi è mai capitato di assistere a uno spettacolo del genere. Un mare che si fa piazza dove la gente si ritrova..."

martedì 24 dicembre 2024

ABITUDINI NATALIZIE DEI SICILIANI NEL RACCONTO DEL PITRE'

Decorazione natalizia ad Erice.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Che si mangi e beva in questa notte sacra - ha scritto Giuseppe Pitrè nel 1879 in "Usi natalizi, nuziali e funebri del popolo siciliano" -  è noto a chicchessia; noto del pari che la cena spesso trasmoda fino alla gozzoviglia; ma non tutti sapranno che la chiesa, il luogo stesso nel quale si attende la nascita del bambino, sia il teatro di cotali scene. In alcuni dei nostri paesi il popolo non saprebbe assistere alla sacra funzione notturna, né vedere nascere Gesù, senza  farsi una sventrata di roba da sgranocchiare e da bere, che esso ha avuto l'accortezza di portare seco. Il mangiare ed il bevacchiare è allegro, perché nasce colui che porta la letizia e l'allegria in ogni cuore..."  

domenica 22 dicembre 2024

L'ULTIMA TESSITRICE DEI TAPPETI DI ERICE

Franca Vario,
l'ultima tessitrice di tappeti ad Erice.
Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Assai simili ad alcuni tappeti della Valtellina e sardi, i cosiddetti "pezzotti", sono le "frazzate" di Erice, ridente città medievale posta sulle alture del Monte San Giuliano sovrastante Trapani. Le frazzate sono ottenute ritessendo minuti frammenti di stoffa, ridotti a filamenti e variamente colorati. La trama decorativa di questi tessuti è costituita da composizioni geometriche, intrecciate o libere. La composizione e la accesa vivacità dei colori li distingue in genere dai pezzotti. Gli sforzi compiuti dall'Ente Nazionale per l'Artigianato e le Piccole Industrie per l'affermazione delle attività artigianali di questo centro sono oggi coronati da un buon successo organizzativo e commerciale. Va notato che dallo stesso tessuto vengono anche ricavate borse di varie fogge e capacità..." 

Così nel 1966 il "Repertorio dell'artigianato siciliano" di Vittorio Fagone ( Salvatore Sciascia editore, Caltanissetta-Roma ) attestava allora la vitalità dell'artigianato ericino delle "frazzate", rappresentate da tappeti e coperte, retaggio di un'economia domestica in cui nulla veniva sprecato. Da stracci ritagliati in fettucce tessute al telaio, le donne di Erice erano in grado di creare una varietà di colorati motivi geometrici a rombi ed a bande trasversali variamente alternate. Ancora oggi, alcune case del borgo conservano vecchi telai costruiti sino a qualche decennio fa da falegnami locali con una tecnica perfezionata nel corso dei secoli.  



Nel marzo del 1956, grazie alla costituzione di una Cooperativa Artigiana del Tappeto Ericino all'interno della chiesa di San Domenico, l'attività di tessitura era stata organizzata in maniera strutturata. Negli ultimi anni però lo spopolamento del borgo di Erice e le produzioni industriali dei tessuti hanno contribuito a far decadere questa forma di artigianato. Oggi l'ultima attiva tessitrice di tappeti è Franca Vario, figlia di Pina Parisi, una delle donne che contribuirono in quel lontanissimo 1956 allo sviluppo della Cooperativa. Nella sua bottega, il telaio occupa buona parte delle due stanze quasi foderate da tappeti colorati soprattutto in blu, rosso, giallo, bianco e nero: una ricchezza ed una vivacità di tonalità che, specie nei mesi invernali, contrastano con la fitta foschia che spesso ammanta la severa architettura di pietra di Erice.

LA DIFFICILE RICERCA DEL PETROLIO SICILIANO DEL GEOLOGO SCOZZESE ALLISON

Lavori preparatori
per l'estrazione del petrolio
alla periferia di Ragusa.
Fotografie tratte dall'opera citata nel post.


Tra la fine del 1952 e gli inizi del 1953 la "Gulf Oil Company" di Pittsburgh e la "Anglo Iranian Oil Company" avviarono a qualche centinaio di metri dalla periferia di Ragusa i lavori per l'attivazione di un primo pozzo d'assaggio per l'estrazione di petrolio. Una grande trivella era arrivata dagli Stati Uniti sino alla stazione di Ragusa; da qui, i pezzi erano stati trasportati a bordo di parecchi camion. Nell'area di installazione delle attrezzature di perforazione lavorarono operai del posto, scavando la pietra a colpi di mazza, senza martelli pneumatici o l'utilizzo della dinamite. Il cantiere ragusano attirò allora le attenzioni del settimanale "Epoca", che affidò a Luigi Barzini junior un reportage su quel primo tentativo di estrazione del petrolio nella Sicilia del secondo dopoguerra. Nel suo lungo articolo - pubblicato il 18 aprile 1953 e corredato dalle fotografie riproposte nel post - Barzini segnalò le difficoltà allora incontrate in Sicilia dai ricercatori delle multinazionali del petrolio:

"Il capo geologo della Anglo Iranian che risiede a Caltanissetta, in un villino modesto nei sobborghi, si chiama Archibald Allison, scozzese, occhialuto, esile, titubante. E' molto cauto nel parlare e solo indirettamente si capisce che, in fondo, non è pessimista. Dice:

"In nessun paese in cui ho lavorato ho trovato le difficoltà della Sicilia. In Persia, per esempio, individuate le varie falde si poteva contare che, per chilometri, le cose sarebbero state quasi uguali, salvo minori variazioni. Qua non si può prevedere nulla. Di solito noi studiamo le rocce che emergono per giudicare come potrebbero essere gli strati del sottosuolo, dove le rocce antiche sono coperte, come nel meridione dell'Isola, da una spessa coltre di formazione più recente. Tuttavia nessuna regola fissa vige qua. La Sicilia è una terra tormentata di cui non si riesce a stabilire con certezza la storia geologica. Troviamo strati antichi sopra strati più recenti, accostamenti insoliti e inspiegabili. Ovunque andiamo alla cieca. In Sicilia, più che altrove... " 






Il lavoro è complicato dal fatto che le carte geologiche della Sicilia furono preparate e disegnate tra il 1830 e il 1880, quando ancora non si praticava l'arte di classificare l'età delle rocce in base ai microfossili, fossili riconoscibili al microscopio. Rocce simili ma distanti epoche intere come formazione venivano dipinte sulle carte dello stesso colore, per cui il dottor Allison, i geologi della Regione e quelli delle altre compagnie sono costretti a correggere le vecchie carte come possono prima di formulare qualsiasi congettura..."


venerdì 20 dicembre 2024

LA SVILITA POLITICA SICILIANA IN UNA PAGINA DI EGIDIO STERPA



"Giornalista di lunga militanza, appartiene alla generazione di mezzo che ha maturato la coscienza della gravità del problema meridionale prima che questo diventasse tema di attualità a livello di partiti e sindacati". Così nel 1973 Alfonso Madeo scrisse di Egidio Sterpa, autore allora del saggio "La rabbia del Sud", edito da Società Editrice Internazionale. Nel libro, Sterpa dedicò una trentina di pagine all'esame dei problemi siciliani, forte di una documentazione nata da una costante frequentazione della Sicilia e di incontri - fra i tanti - con Leonardo Sciascia, Aldo Scimè, Fausto Flaccovio, Franco Nicastro, Giovanni Ciancimino, Roberto Ciuni, Lillo Pumilia, Vittorio Nisticò e politici - lui, di ispirazione liberale - di ogni partito. Nelle pagine di "La rabbia del Sud" dedicate alla realtà dell'Isola, Sterpa sottolineò di avere intenzione di coltivare l'idea di scrivere una "Storia dell'ultima Sicilia", approfondendo gli argomenti proposti nel romanzo-documento "I Papi invisibili", edito da Rusconi nel 1972. Quel saggio rimase incompiuto, trovando però nelle pagine di "La rabbia del Sud" un'anticipazione ricca di attualissimi spunti di analisi sulle cause dei ritardi dello sviluppo in Sicilia, non a caso attributi da Sterpa alle tare strutturali della politica regionale: 

"... Venticinque anni sono un quarto di secolo ed è legittimo esprimere giudizi duri nei confronti di una classe dirigente che non ha saputo far meglio. Perché meglio, non c'è dubbio, si poteva e si doveva fare... Lo stesso istituto regionale, che poteva essere un fatto innovativo dal punto di vista burocratico, è nato vecchio, perché si è mosso sulle orme dello Stato. Dal sistema nazionale ha ereditato e copiato tutto o quasi, a volte volgendolo al peggio. Si è creato lo schema di un piccolo Stato con forme esteriori che spesso si sono rivelate una caricatura di quelle nazionali. Lo strumento regionalistico, così, si è sclerotizzato dopo pochi anni di vita. Funzionò assai bene nel primo decennio, con realizzazioni che rimangono tuttora le più valide... Poi la Regione si invischiò nella lotta per il potere tra i partiti e tra le correnti. E da allora l'autonomia non ha dato più frutti. S'è andati avanti a sussulti, a sprazzi, senza programmi di respiro, con un deterioramento di forze politiche, di uomini, di energie intellettuali, con lo svilimento delle idee, dei tormenti e dei sogni migliori. Questo processo di frantumazione non ha risparmiato nessuno, né maggioranza né opposizione..."

La fotografia del post è di Vittorugo Contino ed è tratta dalla rivista "Ciclope" edita a Palermo nell'ottobre del 1957 dalla "Società Editoriale Ciclope"

domenica 8 dicembre 2024

IL MARE INSICURO E BEFFARDO PER I SICILIANI DI SCIASCIA

Barche da pesca a Porticello.
Fotografia tratta da "Panorama"
dell'ottobre del 1963 ed attribuita a
"Foto Randazzo"


Uomo "terragno", Leonardo Sciascia, nato e cresciuto nelle province delle zolfare e legato alla campagna della "Noce": luogo di riposo e di ispirazione per i suoi romanzi e saggi grazie anche allo scambio di pensieri con pastori e contadini ( un contributo di testimonianze poi confluito nella raccolta di espressioni, proverbi e modi dire contenuta nel saggio "Occhio di capra", edito da Adelphi Milano nel 1990 ). Nell'opera sciasciana il mare è presente soprattutto nei racconti, come in "Il mare colore del vino" o in "Il lungo viaggio" ( entrambi pubblicati in "Il mare colore del vino", Einaudi, Torino, 1973 ). In quest'ultimo racconto, un gruppo di migranti siciliani imbarcati da uno scafista fra Gela e Licata con l'impegno di raggiungere gli Stati Uniti dopo undici notti di traversata vengono sbarcati a Santa Croce di Camerina. Il mare dunque per Sciascia sembra essere un elemento naturale fonte di inganno e di rischiosa beffa. Una visione che lo scrittore di Racalmuto aveva in precedenza esplicitato nel saggio "La corda pazza. Scrittori e cose della Sicilia" ( Einaudi, Torino, 1970 ):

"... Il mare è la perfetta insicurezza della Sicilia, l'infido destino; e perciò anche quando è intrinsecamente parte della sua realtà, vita e ricchezza quotidiana, il popolo raramente lo canta o lo assume in un proverbio, in un simbolo; e le rare volte sempre con un fondo di spavento più che di stupore. "Lu mari è amaru" ( Il mare è amaro ). "Loda lu mari, e afferrati a li giummari" ( Loda il mare, ma afferrati alle corde ). "Cui pò jiri pri terra, nun vaja pri mari" ( Chi può andare per terra, non vada per mare ). "Mari, focu e fimmini, Diu nni scanza" ( Mare, fuoco e donne, Dio ci salvi ). "Cui nun sapi prigari, vaja a mari" ( Chi non sa pregare, vada a mare ). E non è, quest'ultimo proverbio, dettato dalla meraviglia e dal rapimento: chi andrà a mare non apprenderà a pregare nel senso della lode, ma nel senso della paura e della superstizione..."

sabato 30 novembre 2024

LA STORIA SICILIANA RACCONTATA DALLE ANFORE DA TRASPORTO

Anfore da trasporto
conservate a Marsala all'interno
del Museo Archeologico del Baglio Anselmi.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Più delle estese rovine archeologiche di Selinunte, più dei resti colossali dei  templi di Agrigento, più della grandezza scenografica dei teatri di Segesta, di Taormina e di Siracusa, sono le migliaia di antiche anfore da trasporto marittimo accumulate nei musei dell'Isola a raccontare la vita ed i traffici di persone e di merci che da millenni pongono la Sicilia al centro della storia del Mediterraneo. Dinanzi a questi contenitori di olio, di vino e di granaglie, ci appare evidente il continuo riciclo e mischiarsi, in quest'isola, di persone e di popoli diversi, ciascuno con proprie abitudini e diverse culture di origine.

"A chi cerchi di abbracciare con uno sguardo solo tutta quanta la storia della Sicilia - ha scritto a questo proposito il geografo Ferdinando Milone in "Sicilia. La natura e l'uomo" ( Paolo Boringhieri, Torino, 1960 ) - due motivi balzano evidenti: la situazione geografica, che ne ha fatto un ponte tra l'Oriente e l'Occidente, il Settentrione e il Mezzogiorno, ponendola nel bel mezzo del Mediterraneo; e la complessità del suo popolamento... In conseguenza, l'antichità e la complessità della storia dell'isola, delle sue città e dei suoi borghi; la diversa economia, nel mutare delle condizioni storiche; e forse anche la originaria differenza tra le genti che la abitarono, dovevano necessariamente fare composita la psicologia della popolazione..."

venerdì 29 novembre 2024

FRA CONSOLAZIONE E TRASGRESSIONE, TUTTO IL GUSTO DELLA CASSATA DI SICILIA

"Ragazzo con la cassata siciliana",
disegno acquarellato di Bruno Caruso, 1975


"I dolci accompagnano l'esistenza del siciliano. Forse a compenso di amarezze e disinganni", ha scritto l'attore palermitano Pino Caruso; e, fra tutti i dolci dell'Isola, la cassata può essere quello che più di tutti esprime il parossismo del piacere consolatorio della gola. Le origini della cassata - dolce che in origine si consumava in occasione del giorno di Pasqua - sono incerte; di certo, come ha scritto Maria Oliveri in "I segreti del chiostro. Storie e ricette dei monasteri di Palermo" ( Il Genio Editore, Palermo, 2017 ), "il testo più antico in cui appare il vocabolo "cassata" è il "Declarus", un vocabolario siciliano-latino, redatto da Angelo Senisio ( 1305-1486 ), primo abate del monastero di San Martino delle Scale: si trattava di una torta, cotta al forno, ripiena di formaggio". Nella seconda metà dell'Ottocento, il successo commerciale della cassata - sfarzosamente decorata con frutti canditi - si legò alla produzione della pasticceria palermitana del cavaliere Salvatore Gulì. Fu in quel periodo che le cassate, imballate in eleganti scatole di latta, cominciarono ad essere esportate oltre lo Stretto di Messina



Insieme ai cannoli, questo ricchissimo dolce identifica da allora la Sicilia. Nel saggio "Il pranzo di Mosè" ( Giunti Editore, Milano, 2014 ), Simonetta Agnello Hornby ne ha così illustrato la modalità di consumo:

"La cassata, tra i dolci siciliani, è il più amato in famiglia. A noi piace mangiarla in tarda mattinata. Seduti al tavolo ancora non conzato, la serviamo nei piatti da frutta, come per farci perdonare il nostro cedimento alla golosità. La accompagniamo con un bicchiere d'acqua. Chi passa è invitato ad unirsi a noi, in questa trasgressione comune. Quando prepariamo la cassata da servire a tavola, adoperiamo la forma più grande che abbiamo per avere dei resti sostanziosi e lasciarne una buona parte per il giorno dopo: sappiamo tutti che la cassata è più buona dopo qualche giorno..."


ARISTOTELE ONASSIS E L'AFFARE SICILIANO DEI CARRETTI-SOUVENIR DI MONREALE

Aristotele Onassis
si imbarca a Palermo sullo yacht "Costa del Sol"
dei reali di Monaco nel settembre del 1960.
In mano, uno dei carrettini acquistati a Monreale.
Sotto, la principessa Grace Kelly
in viale della Libertà.
Le fotografie del post sono tratte
dalla rivista "Sicilia" dell'ottobre 1960



Il primo settembre del 1954, Raimondo Lanza di Trabia ospitò Aristotele Onassis e la moglie Athina nel suo castello di Trabia. Nipote di Giulia Florio - figlia di Ignazio - e frequentatore dei più celebrati salotti internazionali del tempo, Raimondo Lanza di Trabia ricambiò per tre giorni l'ospitalità ricevuta poco prima dall'armatore greco a bordo del suo famoso yacht, il "Christina". Le cronache del tempo riferiscono che Onassis - nato da famiglia povera e diventato miliardario soprattutto grazie ai traffici marittimi del petrolio - visitò in quell'occasione a Palermo lo Steri ed altri monumenti cittadini. Poi mollò gli ormeggi,  facendo risalire a bordo l'ospite siciliano per un soggiorno a Taormina. L'anno successivo - a luglio - Onassis avrebbe fatto ritorno a Palermo - sempre a bordo del "Christina" - ospitando al largo di Villa Igiea anche Greta Garbo. In questa occasione, l'armatore si sarebbe concesso una visita alla Cappella Palatina. Il capoluogo dell'Isola doveva essere per lui una località apprezzata, visto che nel luglio del 1959 il lussuoso panfilo proveniente da Capri e diretto a Corfù, fece nuovamente tappa a Palermo. A bordo, fra gli illustri ospiti figuravano questa volta Winston Churchill e Maria Callas. Le cronache mondane avrebbero in seguito indicato che, proprio durante quella crociera, fra la soprano e il ricchissimo armatore sarebbe iniziata una relazione destinata a segnare negativamente la vita della Callas.  Fu durante una successiva traversata con destinazione i siti della Magna Grecia - un viaggio che incluse uno sbarco a Palermo, dal 12 al 14 settembre del 1960 - che Aristotele Onassis fece il suo unico affare in Sicilia: l'acquisto di un paio di carretti in miniatura, comprati nel corso di una visita al duomo ed al chiostro di Monreale



In quella occasione, l'arrivo dell'armatore greco - raggiunto in aereo, a punta Raisi, da Maria Callas - coincise con quello a Palermo di Ranieri III di Monaco, della principessa Grace Kelly e dei figli della coppia, Alberto e Carolina, a bordo dello yacht "Costa del Sol". Insieme ai due ragazzini, la Kelly visitò la città a bordo di una carrozza, offrendosi in viale della Libertà agli obiettivi dei fotografi. Onassis e la Callas invece si concessero un pranzo all'"Approdo Ristorante Renato" di via Messina Marine, luogo storico ( da tempo ormai perduto ) della cucina siciliana. Salpati dal porto di Palermo, il "Christina" e il "Costa del Sol" fecero rotta verso Ustica. Sembra che il sindaco dell'isola abbia allora offerto ad Onassis un appezzamento di terreno con l'invito a costruirvi una villa. Il miliardario greco, appagato dall'acquisto dei carrettini-souvenir di Monreale, ignorò però la proposta: un rifiuto che tradì le speranze di quegli usticesi che speravano forse di poter trarre qualche vantaggio dall'ospitalità offerta nella propria isola al ricchissimo armatore.    

giovedì 28 novembre 2024

TORRE POZZILLO, UN INTEGRO LEMBO DI COSTA E DI STORIA PALERMITANA

Torre Pozzillo.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


La costruzione dell'aeroporto di punta Raisi e quella dell'autostrada Palermo-Mazara del Vallo hanno prodotto la ben nota proliferazione di una edilizia costiera per lo più abusiva e di scarsa qualità strutturale, capace di sfregiare un tratto di costa che da Isola delle Femmine si estende sino a Marina di Cinisi. E' perciò difficile rintracciare lungo questo litorale luoghi che abbiano conservato un habitat naturale integrato a manufatti che raccontino la secolare storia di questo territorio palermitano. Uno di questi è il sito della secentesca Torre Pozzillo, rimasta negli ultimi decenni miracolosamente isolata su una scogliera calcarenitica, lontana dalle costruzioni circostanti ed a guardia di una omonima cala sabbiosa. Qui, lo scorso luglio, incurante della frequentazione stagionale di numerosi bagnanti, ha nidificato una tartaruga "caretta caretta". L'edificio, a sezione quadrata, fa parte del ben noto sistema di torri difensive costruite fra i secoli XVI e XVII per difendere le coste dal palermitano dalle incursioni corsare; incursioni che si protrassero in questo tratto di litorale almeno sino al 1811, quando i tre "torrari" di guardia alla Torre Pozzillo preferirono non intervenire a difesa di una imbarcazione americana vittima di un depredamento. 



Restaurata all'interno nel 1970 con criteri poco ortodossi - un restauro "lodevole nelle intenzioni, ma eseguito in modo alquanto approssimativo", hanno scritto nel 1985 Salvatore Mazzarella e Renato Zanca in "Il libro delle torri", Sellerio editore Palermo - Torre Pozzillo non ha purtroppo trovato un utilizzo che ne valorizzasse il ruolo di presenza storica di questo territorio. L'accesso alla torre è sbarrato da una vecchia porta in ferro, chiusa da un più moderno lucchetto. Nel 2015, il posizionamento di alcuni blocchi in cemento ha impedito che il pianoro che precede la secolare costruzione e la sottostante cala continuasse a rivestire la funzione di parcheggio di automobili. Nel lontano 1960, Rosario La Duca aveva suggerito in un articolo pubblicato dalla rivista "Vie Mediterranee" che l'edificio venisse utilizzato come sede di un museo delle numerose altre torri di quel tratto di costa: proposta caduta nel vuoto, a perpetuare l'inutilizzo del severo e ben conservato manufatto.

martedì 26 novembre 2024

UN PROGETTO INDUSTRIALE CHE AVREBBE POTUTO DEVASTARE FAVIGNANA

Il porto di Favignana.
Fotografia di Franco Patini,
opera citata nel post


Il 19 maggio del 1992 la Gazzetta Ufficiale pubblicò il decreto di istituzione della Area Marina Protetta delle Isole Egadi, risalente al 27 dicembre dell'anno precedente. Venne così riconosciuta l'importanza ambientale e faunistica dell'arcipelago trapanese, sui cui fondali prospera una delle più estese praterie di Posidonia Oceanica del Mediterraneo. Negli anni successivi, la creazione dell'Area Marina Protetta non ha impedito a Favignana, Levanzo e Marettimo di sviluppare le attività turistiche, talora - soprattutto a Favignana, negli ultimi anni - con un numero di presenze estive soverchiante rispetto alla capacità ricettiva delle tre isole. L'attuale scenario delle Egadi - un luogo che conserva ancora le sue attrattive naturalistiche e storiche - avrebbe potuto subire un traumatico stravolgimento tra gli anni Sessanta e gli inizi del decennio successivo del Novecento.



Fu un quindicennio in cui l'arcipelago rischiò di seguire la sorte di altre località marine siciliane all'epoca sacrificate in nome dello sviluppo dell'industria petrolchimica ed elettrochimica ( Gela, Priolo, Augusta, Milazzo, e, con diverse modalità produttive, Termini Imerese ). In quel periodo, questi litorali della Sicilia vennero devastati - sottolineò Fulco Pratesi nel 1974 - da "pestilenziali insediamenti industriali, dal beneficio economico illusorio e discutibile ma dall'inequivocabile peso territoriale e contenuto d'inquinamento". Analoga sorte avrebbero dovuto subire le Egadi - in particolare, Favignana - secondo quanto riferito nell'aprile del 1969 dalla rivista del Touring Club Italiano "Vie d'Italia e del Mondo". Dopo avere illustrato la crisi della pesca del tonno, dell'attività estrattiva del tufo e delle attività agricole, il giornalista Franco Patini - autore anche delle fotografie riproposte nel post - nel suo reportage così illustrò un progetto promosso allora dall'IRFIS ( l'Istituto Regionale per il Finanziamento alle Industrie in Sicilia ) per lo "sviluppo" dell'isola: 

"Il problema di creare a Favignana e nella Sicilia Occidentale condizioni di vita migliori viene preso in esame dall'IRFIS in uno studio forse ambizioso ma senza dubbio organico. La soluzione proposta situa la piccola isola al centro del progetto tendente a creare nella Sicilia occidentale un polo industriale capace di realizzare un processo evolutivo pari a quello sviluppatosi su altri versanti della Sicilia. L'idea motrice consiste nella localizzazione nel Trapanese di industrie elettrochimiche ed elettrometallurgiche che dovrebbero utilizzare l'energia prodotta a basso costo da una centrale da costruire in zona franca. Certamente non manca da queste parti, sia sotto forma di salgemma che di sale marino da raffinare ulteriormente, il cloruro di sodio indispensabile ai relativi procedimenti tecnologici, mentre l'acqua dolce necessaria potrebbe essere distillata dal mare, a somiglianza di quanto è stato fatto in altre località dell'Italia meridionale. Lo studio dell'IRFIS, situa il suo fulcro proprio a Favignana, che se da un lato si presterebbe alla creazione del porto, con relativi depositi, necessario per ricevere il grezzo e gli idrocarburi nordafricani con i quali alimentare la centrale elettrica e fornire la materia prima all'industria di raffinazione e a quella chimica. 



Giocherebbero a favore dell'isola la ubicazione al centro del Mediterraneo, la disponibilità di aree pianeggianti anche per installazioni industriali, gli eccellenti fondali del versante sud-orientale che permetterebbero lo scarico delle superpetroliere di pescaggio superiore ai venti metri. Come si vede, non si può dire che manchino i progetti. Quando se ne formulano di così ambiziosi e capaci di mutare radicalmente la immobilità della situazione ambientale di una vasta area, molto si può sacrificare a quella vocazione..."

Lo spaventoso progetto dell'IRFIS che avrebbe dovuto trasformare il mare delle isole Egadi in un luogo di transito e stazionamento di enormi "superpetroliere", distruggendo per sempre uno degli habitat che raccontano la storia del Mediterraneo, rimase fortunatamente incompiuto. Come sono rimasti inattuati altri analoghi progetti di impianti industriali la cui installazione venne prospettata in quegli anni nel trapanese, a Castelluzzo e a Torretta Granitola: luoghi scampati alla irreparabile alterazione del patrimonio ambientale subita dalla Sicilia in nome di un fallace sviluppo economico, pagato a caro prezzo dal territorio dell'Isola.




domenica 10 novembre 2024

LE VOLITIVE DONNE DI STROMBOLI

Paesaggio di Stromboli.
Fotografia di Alfredo Camisa
tratta dalla rivista "Sicilia"
edita dall'assessorato Turismo e Spettacolo
nell'aprile del 1961



"A Stromboli - ha scritto Ida Fazio nel saggio "Il tesoro dei santi di Stromboli", edito nel 2017 dall'Associazione di Promozione Sociale "Attivastromboli!" - l'economia e la società sembrano essere un contesto aperto e dinamico in cui le donne hanno un ruolo forte, come anche nel resto dell'Arcipelago ( delle Eolie, n.d.r. )... La popolazione di Stromboli nel XIX secolo è formata più da donne che uomini... Le donne non solo sono spesso proprietarie delle case e delle terre come gli uomini, ma sono anche presenti in tutti i tipi di mestiere. Gli atti notarili lasciano nell'ombra l'economia informale, praticata giornalmente dalle donne più che dagli uomini. 



Ma le testimonianze dei viaggiatori e le altre fonti storiche, come inchieste, indagini, processi, sanzioni fiscali ce le mostrano attive nell'agricoltura, nella marineria e nella pesca, nel commercio e nell'intermediazione, nel piccolo credito. Nel primo Ottocento, alcune indagini governative contro il contrabbando e la frode rivelano che le donne a Stromboli erano attive nei piccoli commerci tra le isole, da sole o insieme ai loro mariti... 



Abbiamo l'occasione di osservare, come alcune donne facessero da intermediarie, altre offrivano servizi ai marinai e ai corsari che sostavano sull'isola, davano e ricevevano denaro in prestito o facevano credito sui prodotti smerciati. Infine, una preziosa testimonianza processuale su una imbarcazione venduta di frodo "con reti di piscare, ed altri ordegni di pesca" ci conferma che "in quell'Isola talune donne sono prattiche dell'arte marinaresca": ecco un Rosalia Cincotta che va in mare per conto di un sacerdote che ha comprato quella barca, da sola, così come ci vanno anche i suoi due fratelli, marinai..."



lunedì 4 novembre 2024

L'IRONIA DI UN "PREMIO PULITZER" SUI RISCHI DELLA GUIDA IN SICILIA

Traffico a Palermo
in via Ruggero Settimo.
Foto tratta dalla rivista "Sicilia Mondo"
edita nel gennaio del 1956


Inviato del "New York Herald Tribune" in Europa, residente per anni a Parigi, Art ( Arthur ) Buchwald è oggi ricordato per essere stato sino al 2007 - anno della sua morte - uno dei più graffianti ed irriverenti giornalisti americani. Membro dal 1991 dell'"American Academy of Arts and Letters", vincitore nel 1982 del "Premio Pulitzer", Buchwald raccontò ai lettori con tagliente satira il lato grottesco di numerosi Paesi europei e - in anni di piena "guerra fredda" - anche dell'Unione Sovietica. Autore di una trentina di libri e collaboratore di oltre 500 periodici, Buchwald ebbe forse modo di frequentare anche la Sicilia. In assenza di dati documentari certi, la supposizione si fonda sul fatto che il giornalista ambientò nell'Isola il suo primo romanzo, intitolato "A gift from the boys" ed edito a New York nel giugno 1958 da Harper & Brothers. Pubblicizzato negli Stati Uniti come "il libro più divertente dell'anno", il romanzo venne pubblicato in Italia nel gennaio del 1960 da Arnoldo Mondadori Editore con il titolo di "Pacco a sorpresa". Prendendo forse spunto dal clamore delle sanguinose cronache di mafia di quegli anni - dalla faida a Corleone tra i clan Liggio e Navarra, a quella che a Palermo aveva come obiettivo l'accaparramento delle aree edificabili - Buchwald raccontò lo strampalato ritorno in Sicilia dagli Stati Uniti di un boss di origini isolane: Franco Bartelini, alias Frank Bartlett

Art Buchwald,
in una fotografia tratta dal romanzo
"Pacco a sorpresa", opera citata


Nel suo approdo al paese di origine dei genitori, indicato con il nome immaginario di "La Coma", il protagonista incorre in una serie di bizzarre avventure. La trama di questo racconto satirico vede come comparse un giornalista, un'anziana principessa proprietaria di un castello, un bandito-mafioso chiamato "Mondello" e  "Karen", un'avvenente donna bionda ispirata alla figura di Marilyn Monroe. Durante il viaggio in auto lungo le strade dell'Isola, Frank Bartlett sperimenterà i rischi provocati dall'imprudenza dei guidatori siciliani:

"La circolazione in Sicilia è la più pericolosa al mondo. In confronto, i banditi della mafia sono degli angioletti paragonati a quelli che qui hanno la patente di guida"



Non sappiamo se davvero Art Buchwald abbia rievocato nelle pagine di "Pacco a sorpresa" una personale esperienza di guidatore o passeggero di auto in Sicilia. Di certo, il 13 gennaio del 1956 - due anni prima della pubblicazione del romanzo negli Stati Uniti - la rivista "Sicilia Mondo" aveva riportato un testo di Buchwald accompagnato da una breve premessa in cui si accenna ad sua presenza nell'Isola, oggetto di un'ironica descrizione dell'anarchia del traffico stradale:

"Il simpatico giornalista americano è stato fra noi. Si è guardato intorno, ha scritto le sue impressioni e le ha affidate a "Lettura" di Milano":

"Basta trascorrere poche ore sulle strade tortuose di questa bellissima isola per comprendere la ragione che ha indotto tanti siciliani a lasciare la loro terra per emigrare in America. Un automobilista straniero in Sicilia non sa mai come comportarsi, tanti sono gli incontri che si possono fare su una carrozzabile siciliana; Fiat a quattro cilindri, Ferrari a otto, Alfa Romeo a 12, carri da fieno, camion, motociclette, motorette, biciclette, carri trainati da cavalli e da asini, carri spinti a mano, cani, capre, pecore, galline, bambini, pescatori, ecclesiastici, carabinieri, banditi. Per tradizione, i siciliani nutrono un certo disprezzo per il mezzo di trasporto usato dal loro prossimo e questo disprezzo dà luogo ad una specie di eterna guerriglia tra gli utenti della strada. Quando un siciliano ne supera un altro, si affretta a rivolgergli la parola per dirgli a gran voce che lui è cretino o idiota, che sua madre era una capra o suo padre un questurino. Il sorpassato risponde per le rime e, poiché i siciliani non possono rinunciare all'uso delle mani, quando parlano, né l'uno né l'altro automobilista avrà le mani sul volante nel corso di questi scambi verbali. Gli unici punti della strada in cui un siciliano sorpassa un altro siciliano sono le curve. Qualche volta capita che un'automobile o un camion arrivino dalla direzione opposta, e allora l'automobilista si trova di fronte a quello che i toreri chiamano "il momento della verità". Se sterza lui passerà per vigliacco e, per evitare il tutto, fa sterzare l'altro. Un pò di riguardo si ha solo per i carretti trainati dagli asinelli. I carrettieri quando devono dormire, dormono per la strada, i loro asinelli fanno altrettanto, il carretto occupa un terzo della strada, il fieno disposto trasversalmente ne occupa un altro terzo e, qualche volta, gli altri due terzi. Norma rigorosissima è che l'automobilista, prima di entrare in un. entro abitato, spinga l'acceleratore e schiacci con tutte le sue forze il pulsante del clacson, facendo sui passanti l'effetto opposto del panico. I bimbi si precipitano fuori dalle case per giocare sulla strada, i cani accorrono per vedere cosa mai succeda, le galline giudicano opportuno il momento per recarsi dall'altro lato della strada. La gente si rifiuta di togliersi di mezzo, l'automobilista si rifiuta di rallentare e chiude gli occhi..." 

sabato 2 novembre 2024

MILLENARIA STORIA E MODERNO ASSEDIO DEL CEMENTO A VILLA NAPOLI

Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Assediata dall'edilizia urbana proliferata durante i decenni del "sacco di Palermo", Villa Napoli - acquisita nel 1981 dalla Regione Siciliana - racconta una complessa storia architettonica. L'edificio, che oggi appare con un volto che risale al Settecento, ha di recente svelato primitive tracce di epoca islamica. La sua identità di età normanna, sul lato orientale, emerse nel 1920, grazie alla rimozione di più moderni intonaci. A quel periodo, risale la costruzione della adiacente "piccola Cuba" in quel che resta del parco di caccia allestito a Palermo dalla monarchia normanna, in un sistema di peschiere e ambienti porticati costruiti da maestranze islamiche. Anche questo prezioso esempio di architettura del secolo XII è scampato al dilagare del cemento contemporaneo.







 

Oggi Villa Napoli, la "piccola Cuba" ed il giardino a questa annessa - un lembo trascurabile dell'originario "genoard" di epoca normanna - paiono soffocati dai palazzi circostanti. Per alleviare il disagio suscitato da questo soverchiante contesto cementizio, basterebbe completare il restauro della villa e bonificare il giardino da detriti e rifiuti: un modo per restituire a Palermo un pezzo della sua millenaria storia.    

lunedì 28 ottobre 2024

LA RACCOLTA DELLE OLIVE A CASTELLUZZO

Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Dallo scorso 5 ottobre in molte zone della Sicilia - come a Castelluzzo, nel trapanese - è iniziata la raccolta delle olive. Sono giorni in cui migliaia di braccianti sono impegnati in una vendemmia che si svolge secondo consuetudini secolari, rinnovate solo dall'utilizzo di sempre più comodi ed efficaci "abbacchiatori" elettrici. La raccolta delle olive riesce a coinvolgere intere famiglie. Alcune le ammassano ancora all'interno di "panàra" in vimini foderati con sacchi di juta: una protezione che evita le ammaccature delle olive, conservandole integre per la molitura. Specie gli olivicoltori che dispongono di uliveti più estesi, preferiscono invece utilizzare ceste in plastica. In ogni caso, per ottenere una buona resa dal raccolto, ciascuna pianta dovrà essere accuratamente "annittata",  cioè ripulita dai frutti che di lì a breve forniranno il prezioso olio.

giovedì 24 ottobre 2024

PALERMO, METROPOLI PROVINCIALE E CAPITALE INCOMPRENSIBILE



"Forse poche città come Palermo - ha scritto il giornalista, scrittore e saggista agrigentino Pasquale Hamel in "Palermo. Passeggiate d'autore" ( Bruno Leopardi Editore, Palermo, 2001 ) - hanno avuto tanto spazio nelle cronache quotidiane, nell'informazione, nel comune sentire di gente d'ogni parte, ma come spesso accade di un oggetto del quale tanto si parla, si scopre che ben pochi lo conoscono. Pochissimi, infatti, conoscono realmente questa metropoli...

... Palermo è una città forte, densa di umori, carica di sentimenti, incapace, ed è il suo limite, di menare vanto della sua storia e per questo, troppo spesso, chiusa in un provincialismo che non fa giustizia di anni, di secoli, di grande cultura. Eppure basta dare un'occhiata, anche di sfuggita, a quell'imponente complesso edificato del centro storico per rendersi conto che ci trova di fronte non ad una città qualsiasi, ma ad una capitale, una grande capitale le cui fabbriche riflettono livelli di civiltà altissime..." 

La fotografia del post attribuita a Brassai ( Gyula Halasz )  ritrae Porta Nuova a Palermo ed è tratta dalla rivista "Ciclope" edita nel gennaio del 1958 a Palermo da De Giacomo e La Zara 


lunedì 21 ottobre 2024

domenica 20 ottobre 2024

L'ADDIO E I RICORDI DEGLI ULTIMI "CORDARI" DELLA GROTTA A SIRACUSA

La "Grotta dei Cordari" a Siracusa.
Foto tratta dall'opera "Sicilia d'Oggi"
edita dall'Istituto Poligrafico dello Stato nel 1955


Il 7 maggio del 1968 a Siracusa, Vincenzo Ambrogio senior ed il nipote Vincenzo, all'epoca di 80 e 48 anni, lasciarono il loro storico lavoro di "cordari" all'interno della omonima grotta, adiacente all'Orecchio di Dionisio. Per anni, i due Ambrogio avevano resistito alla tentazione di interrompere l'attività, sconfitta dall'avvento delle fibre sintetiche e dalla produzione di canapa ritorta a macchina. Le cronache del tempo ricordano che il più anziano degli Ambrogio, prima di abbandonare la grotta, volle bere un bicchiere di vino insieme ad alcuni amici ed a un paio di giornalisti accorsi per raccontare l'evento. A questi ultimi ricordò una precedente e più affollata ressa di cronisti e fotografi all'interno della "Grotta dei Cordari". Era l'aprile del 1955, quando Winston Churchill, protetto da un cordone di addetti alla sicurezza, vi piazzò il suo cavalletto da pittura per raffigurare i "cordari" al lavoro. Un giornalista tedesco cercò allora di convincere Vincenzo Ambrogio senior a ricevere in prestito una macchina fotografica; dietro compenso di centomila lire, avrebbe dovuto scattare di nascosto un paio di fotografie all'ex premier inglese. Ambrogio rifiutò l'offerta, dando ai cronisti siracusani questa motivazione:

"Come potevo tradire quell'ottimo amico che quando beveva un sorso di ottimo whisky mi passava sempre la bottiglia prima di riporla nella sua borsa?"



VISIONI ED ASPIRAZIONI A LAMPEDUSA PRIMA DELL'INDUSTRIA DEL TURISMO

Il porto di Lampedusa
alla fine degli anni Sessanta dello scorso secolo.
Fotografie di Francesco Conforti,
opera citata nel post


"Il grosso rinnovamento di questo estremo lembo d'Italia dove si può quasi vedere la costa africana è quasi iniziato. Sarà il turismo a farlo camminare rapidamente? Chi ha comunque ancora interesse a vedere Lampedusa quale è stata da sempre, si affretti: le novità in via di realizzazione ne cambieranno presto l'aspetto, tanto semplice e suggestivo"

Con questa considerazione, il giornalista Francesco Conforti concluse il suo reportage dedicato alle isole Pelagie pubblicato nel febbraio del 1970 dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia e del Mondo". L'articolo - corredato dalle fotografie riproposte nel post - fornisce oggi parecchie informazioni sulla vita quotidiana a Lampedusa pochi anni prima che la "profezia" di Conforti si avverasse, facendo prevalere l'economia del turismo su quella della pesca. A partire dal 1969, grazie anche all'attivazione di regolari collegamenti aerei fra l'isola e gli aeroporti di Trapani e Palermo, il numero dei turisti lampedusani aveva fatto registrare un primo storico incremento: 4.000, rispetto ai 1.500 dell'anno precedente ed ai 700 del 1967. Quando il giornalista sbarcò sull'isola, Lampedusa contava 4.620 abitanti, una decina di piccoli stabilimenti per la preparazione degli sgombri sott'olio in scatola, circa 200 fra piccole e grandi barche da pesca ed un solo albergo, ancora in costruzione a cala Guitcia.



"Circolano circa cento fra automobili e autocarri - si legge nell'articolo - mentre altrettanti sono gli scooter e le motorette. Dal centro di Lampedusa partono tre strade in terra battuta. La prima in direzione di levante e per un paio di chilometri fino al faro; la seconda corre parallelamente al lato a mezzogiorno dell'isola per sette chilometri, fino al punto panoramico più alto, Capo Ponente, metri 113; la terza è quella che per un chilometro costeggia la pista dell'aeroporto e arriva al molo di cala Pisana"

Prima del secondo conflitto mondiale, l'interno dell'isola era stato coltivato da pastori e pecorai: attività in seguito abbandonate per le scarse risorse idriche ed il basso reddito che offriva la terra. Molti lampedusani erano così emigrati in Germania, Svizzera e Francia; chi aveva preferito non emigrare, viveva quasi esclusivamente grazie alle risorse offerte dal mare, spiegando a Conforti:

"Siamo pescatori. Solo a pochi puzzano i piedi di capra..."



Durante il soggiorno del giornalista del TCI, la maggioranza dei visitatori di Lampedusa era costituita da pescatori subacquei. Erano appassionati delle immersioni provenienti da tutta Italia e dall'estero, attirati nel cuore del Canale di Sicilia dalla possibilità di catturare un consistente numero di pesci.  Fra questi, Conforti cita Guido Pfeiffer, uno storico "profondista" che da lì a qualche anno avrebbe anche diretto alcune riviste specializzate. La presenza dei pescatori subacquei, che pure alimentavano un discreto indotto economico, non era troppo apprezzata dagli isolani:

"L'isola è piccola e perciò basta la presenza d'estate di 300 o 400 subacquei per ripulire in breve tempo quello che c'è ancora da pescare. Lo stesso Salvatore Loverde, il solo lampedusano che peschi con gli autorespiratori ad aria, non è favorito nella sua attività. Prima pescava anche sottocosta, oggi anche Loverde per prendere delle belle cernie deve scendere a profondità superiori ai 40 metri ed allontanarsi dalla costa..."

Agli occhi del giornalista, la Lampedusa di 54 anni fa mostrava un aspetto paesaggistico non ancora intaccato dall'edilizia turistica dei nostri giorni:

"Tutto è rimasto come sempre, niente ville, niente turismo organizzato nel senso tradizionale della parola. L'isola ha conservato intatto tutto il suo fascino. Nelle sue deliziose spiaggette: l'isola dei Conigli, cala Guitcia, cala Francese, cala Madonna, cala Pisana e cala Croce, di una stagione turistica sono rimasti solo qualche scatoletta di carne sventrata e i frammenti di bottiglie di acqua minerale. Chi si reca perciò nell'isola ancora oggi ha l'impressione di esserci arrivato per primo..."



Nel reportage, Francesco Conforti non mancò di segnalare che i lampedusani prospettavano allora un futuro diverso per la loro isola, non ancora entrata nella storia per l'epocale e talora drammatico flusso di migranti dalle coste del Nord Africa:

"Le grandi speranze degli isolani sono rappresentate da due società immobiliari che hanno acquistato a 50 lire il metro i terreni migliori in riva al mare nelle zone più suggestive, ripromettendosi di costruire dei villeggi turistici capaci di ospitare quattromila persone. I tempi, comunque, non sono ancora maturi. Per il momento, l'isola resta affidata all'iniziativa di un marinaio, Virgilio Ferrari, di origine parmigiana, che oltre ad avere costruito dei bungalow e un ristorante all'isola dei Conigli, è stato capace di orientare con successo i lampedusani verso questo nuovo tipo di mentalità turistica, inducendoli ad aprire le loro case ai forestieri..."



Dal 2012, una nuova aerostazione ha contribuito ad incrementare il numero di turisti che da tutta Italia raggiungono abitualmente Lampedusa in poche ore. Nel 2023, ne sono sbarcati 320.000. Le previsioni indicano che in prossimo futuro potrebbero raggiungere quota 400.000: un dato che spiega meglio di ogni altro i cambiamenti subiti da un'isola che nel 1970 poteva ancora mostrarsi a Conforti come "un luogo dove la natura non è ancora stata contaminata, dove il paesaggio ci è stato tramandato intatto da millenni" .