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venerdì 6 dicembre 2013

GIUSTO SCAFIDI, FOTO DI MAFIA QUOTIDIANA

Omicidio di mafia a Palermo
agli inizi degli anni Sessanta
sotto un cartellone
del film "12 uomini da uccidere".
Lo scatto, come gli altri del post,
furono realizzati
dal fotoreporter palermitano Giusto Scafidi.
Le immagini sono tratte
dall'inserto "La Mafia"
pubblicato da "L'Europeo"
il 1 marzo del 1964

Le fotografie riproposte da ReportageSicilia raccontano gli anni di quella violenza mafiosa che sconvolse con omicidi e "lupare bianche" le cronache palermitane tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi del decennio successivo.
L'autore degli scatti è il fotografo Giusto Scafidi, che documentò allora decine di quegli episodi per i principali quotidiani e periodici italiani e stranieri.
Le immagini del post furono pubblicate in un inserto del numero 958 de "L'Europeo" del 1 marzo 1964 intitolato "La mafia", con testi del giornalista Renzo Trionfera.

Il delitto di Giuseppe Zangara,
guardiano del cimitero di Sant'Orsola,
assassinato a Palermo nel 1961

Le fotografie colpiscono in primo luogo per la capacità di Scafidi di avvicinarsi a quella che oggi si definisce come "la scena del delitto", cui partecipano le figure dei parenti in lacrime o dei semplici curiosi assiepati a distanza.
La Palermo dei crimini mafiosi di quegli anni è così una città in cui la cultura della violenza è presente - al cospetto di quei corpi distesi sull'asfalto - nella coscienza e nella vita quotidiana di molti palermitani.


Folla di curiosi
sul luogo dell'omicidio
di Francesco Mineo,
ucciso a Palermo nel settembre del 1962

A questa partecipazione non sfuggono neppure i bambini ed i ragazzini, che l'obiettivo di Giusto Scafidi ritrae di frequente nei suo scatti; a volte non gli si risparmia loro la visione del corpo sfigurato di un padre o di uno zio, altre volte partecipano all'indifferenza dei familiari che li accompagnano in strada, come nel caso del bambino che mangia un gelato a poca distanza dal corpo dell'ultima vittima.


I familiari di una vittima di mafia,
uccisa a colpi di pistola
alla periferia di Misilmeri

"Nelle quattro province della Sicilia occidentale ( Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta ), dal 1946 al 1962, la mafia ha ucciso o fatto scomparire, secondo un calcolo approssimativo basato sulle statistiche ufficiali, circa 2.000 persone.
La maggior parte delle uccisioni - scrivevano nel 1964 Rosario Poma ed Enzo Perrone nel saggio "Quelli della lupara", edito da Edizioni Casini - si sono verificate, a volte con un crescendo impressionante, a Palermo, la città più insanguinata d'Italia, divenuta la capitale della mafia e della più qualificata delinquenza internazionale, la Chicago europea, e quindi l'epicentro dei sanguinosi contrasti tra i vari gruppi mafiosi che vogliono imporre il proprio dominio nei mercati e nei giardini, tra le ceste di pesce e i quarti di carne, negli appalti di opere pubbliche o nella speculazione edilizia, nelle banche o negli enti di bonifica, nelle attività commerciali o nel contrabbando di sigarette, nel traffico di stupefacenti...


Il corpo di Francesco Barone
vegliato dal suo cane da caccia,
nelle campagne di Borgetto.
L'omicidio venne compiuto nell'aprile del 1960

Le cronache dei delitti, consumati a volte in pieno giorno e nelle strade più centrali di Palermo e di altre città con una tecnica ereditata dalla malavita americana, hanno periodicamente allarmato l'opinione pubblica nazionale e hanno dimostrato a qual punto di ferocia e di audacia fosse giunta la criminalità mafiosa nel ricattare e nell'uccidere.
Almeno una volta al mese gli abitanti di Palermo sono stati costretti ad assistere a pubbliche sparatorie, correndo il rischio di morire crivellati da una scarica di lupara o da una sventagliata di mitra...".

Il delitto di Giuseppe Tessio,
ucciso a Misilmeri
insieme al fratello Gaetano
nell'aprile del 1963

La lunga catena di omicidi testimoniata oggi dalle fotografie di Giusto Scafidi si sarebbe interrotta proprio fra il 1963 ed il 1964.
Dopo il clamore suscitato dalla strage di Ciacullihttp://reportagesicilia.blogspot.it/2013/06/strage-di-ciaculli-quando-litalia.html, decine di arresti scompaginarono le fila di numerosi clan mafiosi. 
I processi istruiti a gregari e boss di Cosa Nostra - ed il timore di pesanti condanne - suggerirono così alla mafia una strategia di basso profilo criminale, che limitasse gli episodi di violenza e la sovraesposizione criminale degli "affiliati" sotto processo.


Familiari e curiosi
attendono l'arrivo del magistrato
dopo il delitto di Giovanni Giangreco,
a Villabate, nel settembre del 1960

In questo contesto - e grazie alle minacce indirizzate ai testi d'accusa ed agli stessi giudici - gli imputati dei processi per legittima suspicione svolti sino al 1969 a Catanzaro e Bari furono quasi tutti assolti: un segno del potere mafioso anche quando la mafia non regola i suoi conti in strada, con il fuoco delle armi.      

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