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mercoledì 2 novembre 2022

ORGOGLIO E SOLITUDINE DEGLI ULTIMI ARISTOCRATICI PALERMITANI IN UN REPORTAGE DI CORRADO STAJANO

Lo studio palermitano
del barone Corrado Fatta della Fratta.
Le fotografie riproposte dal post
corredarono nel 1964
un articolo di Corrado Stajano
sull'aristocrazia palermitana.
Opera citata nel testo


"Fieramente critici verso il mondo contemporaneo che giudicano privo di umanità, i nobili siciliani si difendono con dignitoso e sereno silenzio. Il nostro inviato che li ha incontrati nelle loro splendide case conclude con questa puntata la sua avvincente serie di ritratti che dipingono un mondo ormai al limite del tempo"

Con questo sommario, il settimanale "Tempo" dell'undici novembre del 1964 pubblicò un reportage che raccontava la vita degli esponenti della vecchia classe aristocratica palermitana del tempo. Il tema, fino ad allora ignorato dalla stampa italiana, era diventato improvvisamente d'attualità dopo la notorietà postuma acquisita da Giuseppe Tomasi di Lampedusa e dal suo romanzo "Il Gattopardo" pubblicato nel 1958, pochi mesi dopo la morte dello scrittore. Autore del reportage realizzato fra i più noti esponenti delle famiglie della nobiltà palermitana fu Corrado Stajano: lo scrittore e giornalista siciliano per parte di padre, assai vicino a certe quotidianità dell'Isola ( "Appena arrivavo a Noto correvo al Caffè Sicilia. Tano, il vecchio cameriere, mi portava subito, su un vassoietto, senza dirgli parola, il mio gelato preferito, la pagnottella, crema alla vaniglia profumata con acqua di cannella e chiodi di garofano, cubetti di scorza di limone e arancia candita, pan di Spagna inzuppato con bagna aromatica", ha ricordato Stajano in "Patrie smarrite", Garzanti, 2001 ). La galleria dei nobili raccontata dal giornalista comprese i nomi dei baroni Luigi "Lulù" Bordonaro di Chiaramonte Corrado Fatta della Fratta e del conte Ernesto Perrier de Laconnay: personaggi di un mondo destinato a prossima scomparsa, cancellato dalla storia di Palermo - in quegli anni in mano al sindaco Salvo Lima - vittima del sacco edilizio e sociale ordito dalla politica e dalla imprenditoria mafiosa.

Le opere d'arte nella villa
del barone palermitano
Luigi Bordonaro di Chiaramonte 


"Nella vecchia città - notò nel reportage Corrado Stajano - le scavatrici lavorano notte e giorno. I quartieri mutano volto, gli antichi palazzi cadono a pezzi, vittime dell'incuria di secoli, vittime della speculazione privata dalle mani lunghe. Dappertutto, sorgono le case nuove, le case-alveari per l'uomo-massa, uguali a quelle di Milano, Rimini, Spotorno. E ogni volta che, dalle strade urlanti, piene di fracasso e di gratuito rumore, sono arrivato nella quieta casa dove abitano "gli ultimi Gattopardi", i personaggi di questo mondo al limite della storia, ho sempre provato un senso di straordinaria quiete, di freschezza. Nelle loro case riescono veramente a difendersi dal mondo".

Il primo incontro di Stajano avvenne in una villa del Settecento accanto al Parco della Favorita: la sontuosa abitazione del barone  Bordonaro di Chiaramonte. Gli si presentò tutto vestito di celeste, con un eloquio "solenne come quello di un vescovo sul pulpito", baffi e capelli neri impomatati, il viso simile a quelli di certi personaggi secenteschi dipinti da Velasquez. "Al collo porta un fischietto d'argento, vi soffia dentro - notò il cronista - e dalla porta che dà sul giardino entrano di corsa sette cani: girano scatenati per la stanza, poi si accucciano quieti, sembrano anche loro incantati dal padrone". Stajano non potè non sottolineare la quantità di opere d'arte conservate dal barone: quadri di Filippo Lippi, Lorenzo Monaco, Van Dick, Brueghel, in mezzo a pale senesi, mobili Luigi XVI e Direttorio, oltre a decine di vetrine con ceramiche di varie epoca e provenienza.

Il barone Bordonaro di Chiaramonte
con alcuni ospiti ed alcuni dei suoi cani


"Io sono un uomo felice. Io non sono un uomo antico - si presentò il padrone di casa - ma un personaggio del Duemila. Io sono un uomo a sé stante, io sono una classe sociale. Ho coscienza di quello che può accadere. Non ho illusioni. A me non interessa la politica, mi disgusta. Il mondo progredisce, il mondo corre a braccia spalancate verso il comunismo. D'altra parte è normale che sia così. Qualsiasi gesto è inutile, sarebbe come una goccia nell'oceano. Io, poi, indipendentemente da ogni adesione ideologica, sono per le dittature, detesto il disordine, sono una persona quadrata, sono per la logica. Mi occupo ogni giorno della mia casa - spiegò all'ospite - vado a caccia con i miei cani, mi diverto, non vedo nessuno, sto solo in mezzo alla natura, poi torno qui a guardare di nuovo la mia casa, con compiacimento, con gioia. Osservo i quadri, di un'occhiata ai vasi e alle ceramiche chiuse nelle vetrine, sposto un mobile, lo ammiro..." Quindi il barone, trasformatosi nell'aspetto "in Carlo V alla battaglia di Muhlberg dipinto da Tiziano", guidò Stajano attraverso le decine di stanze della sua villa-palazzo verso il parco della villa. Da qui, indicò all'ospite con accoramento e con pena un edificio nuovissimo, dalle grandi vetrate illuminate, distante poche centinaia di metri. "E' il nuovo ospedale sorto con uno dei soliti criteri di modernità - scrisse il giornalista - alle spalle del pronto soccorso di Villa Sofia, una villa di stile liberty inglese, molto armonica e dignitosa: il fabbricato aveva il compito di ingrandire la vecchia infermeria e ha creato solo un pasticcio architettonico di prim'ordine. Stridente e ridicolo, accanto alla villa liberty che doveva, in verità, essere trattata con maggiore rispetto".

Stajano incontrò quindi il barone Corrado Fatta della Fratta in un palazzo a due passi dal viale della Libertà. A Palermo, si era occupato sino a qualche tempo prima dell'amministrazione del quotidiano liberale di destra "Il mattino di Sicilia". "E' un signore minuto con gli occhi penetranti e il fare gentile. Parla l'italiano - notò il cronista - senza accenti di chi è più abituato a esprimersi in francese, in inglese, in tedesco. Ha un viso impassibile, apparentemente freddo e controllato, rotto solo da minuscoli sorrisi agli angoli della bocca". Quindi Stajano ne sottolineò il valore di storico alimentato dal possesso di migliaia di libri; volumi che, malgrado le frequenti donazioni alla Biblioteca Nazionale, "rispuntano come bisce in tutta la casa". Nell'articolo, Stajano elencò le sue opere più importanti: "Ha scritto una "Storia del regno di Enrico VIII d'Inghilterra", secondo i documenti contemporanei, uscita prima dell'ultima guerra; ha pubblicato un volume sulle "Origini della Germania contemporanea fino al XVI secolo", una "Vita di John Falstaff" e uno studio su Saint-Simon. L'ultimo suo lavoro è "Du snobisme" uscito in francese nelle edizioni Buchet-Chastel nel 1961 e dedicato alla memoria di Giuseppe Tomasi di Lampedusa". La citazione dell'autore de "Il Gattopardo" diede modo a Stajano di chiedere al professore se la pubblicazione di quel romanzo avesse contribuito a far prendere coscienza ai siciliani dei propri problemi. "Non esistono lezioni - fu la secca risposta di Corrado Fatta della Fratta - noi non impariamo niente. Non credo proprio che il mondo possa cambiare: per mutarlo dovrebbero morire milioni di uomini. L'optimum sarebbe il sistema inglese. Ma per la democrazia ci vogliono i democratici. Prima sono nati i democratici, poi la democrazia. Da noi, invece, si crede nelle formule magiche, si pensa di creare il sistema senza una partecipazione dei cittadini. Il nostro Paese è uno dei infelici del mondo. Forse siamo noi che stiamo facendo le spese per la democrazia, perché in futuro possa nascere una civile convivenza... Quanto alla Sicilia, abbiamo ereditato dagli arabi il senso della morte che nasce proprio dal loro fatalismo, dall'infelicità di essere governati male e da lontano, dal fatto non vivere in uno Stato di diritto, sempre esposti all'alea di chi detiene il potere, viceré, signorotti, mafiosi, notabili... Bisognerebbe tenere la Sicilia per tre minuti sott'acqua".

Il conte Ernesto Perrier de Laconnay.
Alle sue spalle, il ritratto del nonno,
il generale piemontese che nel 1860
comandò la piazza militare di Palermo


Ultimo fra i personaggi della vecchia aristocrazia palermitani descritti sulle pagine di "Tempo" fu il conte Ernesto Perrier de Laconnay, protagonista anni prima di una polemica rilanciata da tutti i giornali italiani nei confronti Dario Fo e Franca Rame per una gag televisiva sulla mafia. Nella sua casa di via Catania condivisa con due sorelle, Stajano lo descrisse come "giocatore di poker, scapolo, gran bevitore; un aristocratico vecchio stile che è riuscito ad integrarsi nella nuova società". Proprietario dal 1954 della miniera di zolfo di Cozzo Disi, nell'agrigentino, il conte faceva infatti allora parte della commissione del Mercato Comune Europeo per lo studio dei problemi minerari. Al giornalista cui concesse l'incontro spiegò le sue origini piemontesi: il nonno generale, aiutante di campo di Vittorio Emanuele II, sposò a Palermo la figlia del principe Pintacuda. Il padre era ufficiale di carriera, anche lui rimase per molti anni come ufficiale di cavalleria e, notò Stajano, "Ernesto Perrier de Laconnay ha mantenuto qualcosa di militare in tutti i suoi gesti". L'incontro con il giornalista fu piuttosto breve, e con un atteggiamento da parte del conte che fece scrivere al giornalista: "Mi osserva con la faccia triste che deve avere avuto ai tempi della gioventù dopo i veglioni di Carnevale". In linea con questa osservazione, fece riportare sul taccuino di Stajano poche malinconiche affermazioni sulla realtà palermitana di allora: "Una volta, la città era gentile, piena di splendidi palazzi abitati da famiglie che tenevano alto il nome della casata. Anche i sindaci erano aristocratici principi, conti, baroni. Questa società si è autodistrutta. Guardi - mi dice il conte e mi mostra un libriccino con i nomi dei soci del Circolo Bellini - scompaiono tutti ad uno ad uno e non c'è nessuno fra i giovani che li sostituisca. E' la piccola borghesia, con la mentalità degli usurai di paese che ha preso il loro posto, scavalcando anche la borghesia professionale". Finita la dolente descrizione dell'inevitabile declino dell'aristocrazia palermitana, il conte si alzò di scatto dalla sedia, dando militarmente la mano al suo interlocutore. "Sembra uno degli ufficiali invitati al gran ballo del "Gattopardo"", sottolineò Stajano.

 



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