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martedì 17 giugno 2025

MAFIA E SERVIZI SEGRETI, LE TRACCE NASCOSTE DI UN RAPPORTO INCONFESSABILE

Processione a Palermo.
Fotografia di Nino Teresi
tratta dalla rivista "Sicilia"
edita nel dicembre del 1964
dall'assessorato regionale al Turismo


Quando sono iniziate in Sicilia la convivenza e la connivenza fra mafia e Stato? A questa domanda hanno risposto in maniera non univoca autorevoli storici, saggisti e studiosi del fenomeno mafioso. Di certo, un aspetto fondante di questo rapporto è stato rappresentato, oltre che dai legami fra boss e gregari di "cosa nostra" con politici ed amministratori della "cosa pubblica", dal ruolo del volto nascosto dello Stato: quei servizi segreti destinati a indirizzare nell'ombra il corso di molti eventi italiani. 

Nel 2016, la giornalista Bianca Stancanelli ha riassunto così i molti indizi che alimentano fondati motivi per credere nei collegamenti - inconfessabili e di difficile esame giudiziario - fra mafia ed apparati dello Stato:

"Molto prima che Gaspare Spatuzza collocasse un funzionario dei servizi segreti sulla scena dell'autorimessa in cui si confezionava l'autobomba per uccidere Paolo Borsellino - si legge nel saggio "La città marcia", edito a Venezia da Marsilio -  collaboratori di minore e maggior peso hanno riferito dei loro contatti con gli 007.

Francesco Di Carlo, boss di Altofonte e personaggio di rilievo dello schieramento corleonese, esule di lusso a Londra dalla fine degli anni Settanta, si vanterà delle sue frequentazioni con il generale Giuseppe Santovito, che fi capo del Sismi, il servizio segreto militare, dal 1978 al 1981 - gli stessi anni in cui militava nella P2. A voler credere a Di Carlo, i suoi rapporti con il generale erano improntati alla massima cordialità. Con Santovito, il mafioso di Altofonte sostiene di essere andato a pranzo perfino da latitante.

Dei suoi contatti con il Sisde parla con disinvoltura Leonardo Messina, numero due della famiglia di San Cataldo. E ne parla Gaspare Mutolo, il mafioso che incontrerà Paolo Borsellino diciannove giorni prima della strage di via d'Amelio e che gli farà il nome di Bruno Contrada, numero tre del Sisde, come di un uomo colluso con Cosa Nostra.

Quanto a Giovanni Brusca, sarà lui stesso a riferire che Angelo Siino gli sembrava collegato con i servizi segreti - quel medesimo Siino che era allora il plenipotenziario di Riina, chiamato a mediare tra l'imprenditoria siciliana e nazionale, la politica e la mafia.

E' ovvio che fa parte del mestiere di spia mettere il naso anche nelle più fetide organizzazioni criminali. Solo che, a rigor di logica, i servizi devono farlo per avere informazioni di prima mano e prevenire crimini. Se si considera quanti servitori dello Stato sono stati fucilati o fatti saltare in aria in Sicilia negli anni Ottanta e Novanta e il mistero che avvolge la loro morte, è difficile capire a che cosa sia servito tanto affaccendarsi dei servizi di sicurezza tra i mafiosi.

Di che cosa parlavano mafiosi e agenti segreti: di calcio?"

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