Translate

martedì 27 marzo 2018

LA SPEDIZIONE DEI MILLE DEL BELICE A MONTECITORIO

Terremotati del Belìce in piazza Montecitorio, a Roma.
Era il 31 marzo del 1976, giornata di mobilitazione
per chiedere allo Stato interventi a favore della ricostruzione.
La fotografia è tratta dall'opera
di Arturo Milanesi e Francesco Palleschi
"La questione meridionale" ( Editrice La Scuola, 1978 )
Arrivarono alla stazione Termini di Roma in treno, dopo 18 ore di viaggio, la mattina del 31 marzo del 1976.
Partiti da Gibellina, PoggiorealeSalaparutaMontevago, Santa Ninfa, Santa Margherita e dagli altri paesi terremotati del Belìce, un migliaio di manifestanti raggiunsero in corteo piazza Montecitorio.
Ad attendere quella folla di siciliani - perlopiù studenti e giovani disoccupati, oltre a 15 sindaci - c'erano i reparti di polizia e carabinieri schierati dinanzi la Camera dei Deputati dal ministro dell'Interno, Francesco Cossiga: una massiccia presenza di divise - erano gli anni del terrorismo di destra e di sinistra - che dopo qualche ora, visto l'innocuo carattere della manifestazione, venne quasi del tutto rimossa.
Già poche settimane dopo il terremoto del gennaio del 1968, gruppi di baraccati avevano raggiunto la stessa piazza per chiedere interventi urgenti al governo. 




Nel novembre del 1970 - in occasione di una discussione in aula sulla conversione del servizio militare in servizio civile per i giovani del Belìce - i dimostranti avevano tentato di fare irruzione all'interno del Parlamento. 
In quell'occasione, fu lanciata una bottiglia incendiaria contro l'ingresso: un gesto forse da attribuire ad infiltrati tra le decine di belicini che sino allora avevano impugnato soltanto striscioni e cartelli con slogan di protesta.
Le forze dell'ordine non fecero allora distinzioni fra guastatori e baraccati: l'accampamento di tende e materassi allestito dai terremotati venne smantellato in pochi e concitati minuti.
Nel parapiglia di urla e spintoni che ne seguì, 45 persone furono denunciate per manifestazione sediziosa.
Dal Belìce, i manifestanti erano ora tornati 6 anni dopo per chiedere conto allo Stato dei ritardi e degli sprechi nella ricostruzione delle opere promesse.
Nei giorni precedenti, piazza Montecitorio aveva già ospitato un'altra mobilitazione.
In rappresentanza dei 60.000 belicini costretti a vivere ancora nelle baraccopoli o ad emigrare lontano dalla Sicilia, avevano manifestato anche decine di bambini: erano "i figli delle baracche", l'ultima generazione del Belìce cresciuta tra famiglie alloggiate in strutture ormai logore e cadenti.




La protesta di piazza di quel 31 marzo di 42 anni fa raggiunse il suo obiettivo: una delegazione di terremotati, guidata dal presidente della Regione Angelo Bonfiglio, venne infatti ricevuta da Aldo Moro ed Antonino Gullotti, all'epoca rispettivamente presidente del Consiglio e ministro ai Lavori Pubblici.
L'incontro terminò con l'assicurazione che lo Stato avrebbe dato corso ad un nuovo finanziamento per le opere di ricostruzione: altri 50 miliardi di lire, oltre i 300 stanziati in precedenza.
La fotografia riproposta da ReportageSicilia testimonia quel presidio dei terremotati a Montecitorio.
L'immagine venne pubblicata nel 1978 dal saggio di Arturo Milanesi e Francesco Pallesi "La questione meridionale" ( Editrice La Scuola ). 
Sui ritardi e sugli sprechi nelle opere di ricostruzione nel Belìce molto si sarebbe scritto e detto, negli anni successivi e sino ai nostri giorni.




Lo scorso gennaio - nel cinquantenario del terremoto - si è discusso ad esempio della mancata costruzione delle opere di urbanizzazione primaria in un quartiere della nuova Santa Margherita ( centinaia di alloggi sono ancora allacciati alle fogne della vecchia baraccopoli ), ma anche del mai avvenuto rilancio  economico e sociale dell'intero comprensorio.
Il Comitato dei sindaci dei paesi terremotati ha caldeggiato l'istituzione nel Belìce di una "zona franca" per la promozione di nuovi investimenti: un progetto che tuttavia per raggiungere i suoi obiettivi dovrebbe poter contare su un tessuto infrastrutturale oggi poco sviluppato.
Nel frattempo, l'emigrazione giovanile sta finendo di spopolare i paesi ricostruiti dopo le scosse: una fuga dal Belìce che ha già coinvolto tanti di quei giovanissimi "figli delle baracche" che nel 1976 seguirono le proprie famiglie per manifestare a Roma.



Nessun commento:

Posta un commento