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sabato 8 ottobre 2016

MEZZO SECOLO DI SCONCERTO E VERGOGNA SULL'AUTOSTRADA A CARINI

Una pagina di Roberto Alajmo e una breve cronaca dello scempio edilizio dei "villini" cresciuti fra punta Raisi e la periferia di Palermo 


Un clamoroso esempio di abusivismo edilizio
sulla costa di Carini.
Le fotografie del post
sono di ReportageSicilia
"Guardando a sinistra, verso il mare, più o meno all'altezza di Carini vedrai una bidonville costruita direttamente sulla spiaggia.
Lo stato di abbandono in cui versano le baracche, il fatto che sembrino costruite con materiali raccolti in una discarica, che siano corrose dalla salsedine, tutto lascia pensare che si tratti di un quartiere abusivo per necessità.
Gente costretta a vivere in condizioni da terzo mondo.






Magari sei autorizzato a immaginare che qualcuno avrà fatto il furbo trasformando la necessità in virtù: dovendosi costruire un tetto sotto il quale dormire, tanto valeva costruirselo in riva al mare.
E invece no, nessuna necessità abitativa: queste baracche sono le seconde case degli abitanti della Città.
Le case dove la gente si trasferisce d'estate per fare la villeggiatura.
A suo tempo vennero costruite secondo le regole del far west"






Con queste indicazioni ad un immaginario viaggiatore diretto per la prima volta a Palermo dall'aeroporto "Falcone e Borsellino", Roberto Alajmo descrive in "Palermo è una cipolla" ( Laterza, 2005 ) l'escrescenza abusiva di "villini" e villette sul lungomare Cristoforo Colombo di Carini.
La cortina edilizia - fra edifici ancora abitati ed altri abbandonati, fra cumuli di macerie e recinti di mura utilizzate come discariche abusive - nasconde la vista del mare lungo il tratto autostradale fra punta RaisiCapaci.
Alajmo coglie nella precarietà costruttiva di quelle abitazioni nate sulla scogliera o sulla sabbia  l'identità di una storica "inconcludenza" palermitana.
Di certo, la bidonville cresciuta su un tratto di costa che mezzo secolo fa prese la beffarda denominazione di "Riva Smeralda" ha finito col cancellare uno dei più godibili tratti di litorale palermitano.




Gli anziani di Carini ricordano ancora quando il mare abbondava di aragoste ed arselle; e del tempio in cui la terra - sin quasi ai tratti sabbiosi della riva - regalava uve che producevano un profumatissimo zibibbo.  
Le prime costruzioni furono edificate già pochi mesi dopo la costruzione dell'autostrada che a partire dai primi anni Sessanta collegò Palermo con l'aeroporto di punta Raisi.
Sembra che i paladini della nuova impresa edilizia avessero ricevuto il via libera dall'amministrazione di Carini, grazie all'appoggio di notabili e burocrati degli uffici all'epoca delegati alla promozione del turismo a Palermo.
Fra i primi proprietari delle nuove "seconde case" al mare non mancarono rispettabili professionisti e qualche magistrato.




Sia l'Anas che il Demanio Marittimo rimasero inerti dinanzi all'arbitraria crescita edilizia; che, col passare degli anni - e in assenza di un'adeguata rete fognaria - diventò sempre più invadente, inquinante e di bassa qualità costruttiva.    
Negli anni passati, il Comune di Carini ha avviato una serie di demolizioni.
Le ruspe hanno però lavorato in maniera saltuaria, buttando giù una piccola parte di costruzioni e senza rimuoverne le macerie.
L'inconcludenza degli interventi ha così avuto l'effetto di rendere i ruderi un perfetto deposito incontrollato di rifiuti.
Alcuni sindaci di Carini hanno poi fermato gli abbattimenti per un semplice tornaconto elettoralistico.


Una non comune fotografia della costa
di Carini scattata da Italo Zannier.
L'immagine venne pubblicata nell'opera "La Sicilia"
della collana "Coste d'Italia", edita nel 1968 dall'ENI 

Lo scempio ambientale e paesaggistico continua così ad essere uguale a quello descritto undici anni fa da Roberto Alajmo.
Solo che oggi il degrado strutturale degli edifici e il loro utilizzo come discarica si sono aggravati, tra lo sconcerto di chi per la prima volta si muove dall'aeroporto alla Città  e la vergogna che ancora turba la coscienza di qualche palermitano.       

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