Translate

sabato 29 settembre 2018

L'INFINITA RICERCA DEI "BORGHI DI SICILIA"


"Questo volume nasce da un'ambizione fondamentale: certificare l'esistenza di una Sicilia ai più sconosciuta.
Trama territoriale minuta che brilla per risorse artistiche, architettoniche, paesaggistiche e culturali, eppure poco nota al forestiero e spesso anche all'abitante locale colto da quella tipica cecità che colpisce inesorabilmente tutto ciò che si ha davanti...
Questa Sicilia è come quegli scrigni dimenticati in fondo ai forzieri: se solo si ha la ventura di scovarli, svelano sorprendenti tesori, cui l'ombra e l'oblio cui sono stati relegati contribuiscono a mantenerne sincero e incontaminato lo splendore...
Si è scritto così tanto sulla Sicilia che un altro libro potrebbe sembrare superfluo.
Crediamo tuttavia che questa guida, originale nell'approccio e nella forma, proponga n'inconsueta via d'accesso all'Isola, svelando una Sicilia unica e pure misteriosa, capace di richiamare significati e valori non scontati..." 
dall'introduzione di FABRIZIO FERRERI

Fabrizio Ferreri ed Emilio Messina
BORGHI DI SICILIA,
Atmosfere, cultura, arte e natura di 58 luoghi di straordinaria bellezza
DARIO FLACCOVIO EDITORE, 2018
24 euro





lunedì 24 settembre 2018

IL "PITTORESCO" PERDUTO DI CASTELLAMMARE DEL GOLFO


"Una pittoresca visione del borgo di pescatori e del castello"

Questa la didascalia che illustrò la fotografia panoramica di Castellammare del Golfo nell'opera "Sicilia", edita nel 1961 (?) da E.Chiusa e G.Casolaro per la collana "Enciclopedia Turistica" ( Azienda Grafica Editoriale Torino ).
L'immagine ritrae la zona del porto della cittadina trapanese dall'alto belvedere che corre appena fuori dalla cittadina - lungo la statale 113 - in direzione di Scopello: un piazzale ancor oggi fra i più battuti in Sicilia da viaggiatori e turisti alla ricerca di uno scatto che racconti l'Isola.  
Qualche anno prima - il 1953 - l'aggettivo "pittoresco" era stato già utilizzato per Castellammare del Golfo dalla "Guida Rossa" del Touring Club Italiano:

"Castellammare del Golfo è una pittoresca cittadina in fondo al golfo omonimo, a scacchiera sopra un piano inclinato verso il mare"


L'enciclopedia Treccani illustra così il significato del termine "pittoresco":

"Di paesaggio, veduta, scena, oggetto che, per le loro caratteristiche di composizione e di colore, attirino l'attenzione, siano capaci di suscitare emozioni piacevoli, interesse, curiosità"

Leggendo questa definizione - e osservando oggi quei luoghi dallo stesso belvedere - rimane intatta la bellezza dei colori del mare sottostante: un Tirreno declinato in una variabile tavolozza di blu, di azzurri e di verdi, ogni giorno diversi per i cambi di luce e di vento.

Si è perso invece il carattere del "pittoresco" di Castellammare del Golfo, a causa delle radicali trasformazioni urbanistiche nel frattempo subìte dalla cittadina e dal suo porto, un tempo delimitato da una larga e candida spiaggia. 
E' l'inevitabile effetto dello stravolgimento ambientale per mano dell'uomo e delle sue attività, qui a Castellammare del Golfo come in altri luoghi un tempo definiti "pittoreschi" della Sicilia ( ad esempio - per rimanere nell'ambito delle località costiere - Cefalù, Acitrezza o Marzamemi ).




UN'ANTICA ED APOCALITTICA PROFEZIA DEL PARROCO DI USTICA

Paesaggi usticesi di Giovanni Omiccioli.
Immagini tratte dall'opera di Domenico Jacarone
"A Ustica con Omiccioli",
edita da Edizioni Gielle nel 1958
A più di 50 chilometri di distanza dalla costa Nord del palermitano, Ustica è quanto resta di un vulcano esploso migliaia di anni fa nel Tirreno.
L'attività sismica, specie quella nei fondali che circondano l'isola, è abbastanza frequente; ma pochi usticesi oggi vi fanno più caso, e questi sommovimenti marini trovano anche poco spazio nelle cronache nazionali.
Ben diverse reazioni provocarono invece una serie di scosse, alcune delle quali forti e rovinose, che investirono Ustica fra la sera del 19 marzo ed i primi giorni di aprile del 1906.
Pare che dopo i primi tremori si udissero forti boati, mentre da una fenditura nei pressi del Semaforo sfiatassero getti di aria calda: al contatto con l'aria, i soffioni si condensavano in fumo, accrescendo le paure degli abitanti. 
La terrò tremò soprattutto nella parte Sud Est dell'isola. 
Molte case rurali e gli uffici della Pretura rimasero lesionati, costringendo gran parte popolazione a dormire all'aperto o a bordo delle barche dei pescatori, a debita distanza dalla terraferma.



I timori degli usticesi furono accresciuti allora da una profezia diffusa molto tempo prima da Michele Russo, già parroco  della comunità di isolani ed autore nel 1810 dell'opera storica "Memoria sull'isola di Ustica"
Secondo il sacerdote, l'isola sarebbe prima o poi sprofondata in mare per la ripresa dell'attività vulcanica: un'opinione basata su basi affatto scientifiche, ma in grado di generare la paura di una  incombente catastrofe in più generazioni di residenti.
Così, dopo i primi tremori del 19 marzo, gli usticesi organizzarono una processione con il simulacro di San Bartolomeo, loro patrono; nel frattempo, un piroscafo partito da Napoli sbarcò sull'isola quattro medici e alcune casse di medicinali.


  
Il ripetersi delle forti scosse e l'accrescersi dei danni strutturali consigliarono allora lo sgombero della maggior parte dei 2.000 abitanti.
Insieme a circa 500 detenuti - guardati a vista da carabinieri - gli sfollati si imbarcarono sulle navi "Marco Polo", "Aretusa" e "Tirso" per essere trasferiti a Palermo, in attesa delle fine delle scosse.
Rimasero ad Ustica solo un presidio di militari e poche decine di usticesi con il compito di prendersi cura del bestiame e degli animali domestici.
Quasi tutti gli isolani - e una parte degli ospiti del carcere - fecero ritorno dopo circa un mese.
Il 13 maggio dello stesso anno, Vittorio Emanuele III - reduce da un viaggio a Palermo - visitò Ustica per rendersi conto dei danni provocati dal terremoto, donando alle autorità locali 1.000 lire per la ricostruzione.



Nel novembre del 1924, una nuova scossa lesionò l'edificio del Semaforo; ma anche quell'evento smentì l'apocalittica previsione di padre Michele Russo sull'inabissamento di Ustica, che nei giorni di più chiara visione si staglia ancora - un profilo scuro e frastagliato - all'orizzonte della costa palermitana. 

venerdì 21 settembre 2018

LE LAUREEN BACALL DELLA VILLA DEL CASALE NEL REPORTAGE DI SALVALAGGIO

Un operaio pulisce i mosaici
da poco scoperti nella villa tardo romana del Casale,
a Piazza Armerina.
La fotografia è tratta dal settimanale "Epoca"
del 28 luglio del 1951 

Giornalista, saggista e scrittore - una carriera che lo ha visto via via scrivere su "Il Giorno", "Epoca", "Il Tempo", "Corriere della Sera" prima di fondare la rivista "Panorama" - ed orgogliosamente veneziano, Nantas Salvalaggio ( 1923-2009 ) ha lasciato parecchie tracce di solidi legami con la Sicilia.
In molte delle sue opere ( da "Il salotto rosso" a "Il campiello sommerso", da "Italia come non detto" a "La nave dei miliardari" ) l'Isola è presente in maniera più o meno diretta, con i suoi paesaggi ed i fenomeni di costume e sociali ( a cominciare da quello della mafia ).
Nella guida "Vedere la Sicilia", edita nel 1985 da Edizioni Primavera, Salvalaggio offre poi alcuni bozzetti di vita quotidiana della regione, frutto dei tanti reportage qui realizzati da inviato di quotidiani e riviste.
Una dei suoi primi articoli riguardanti la Sicilia ebbe per tema gli scavi archeologici della villa romana del Casale, a Piazza Armerina.
Il resoconto venne pubblicato il 28 luglio del 1951 dal settimanale "Epoca": un pezzo che un tempo si definiva "di costume", ( intitolato "In punta di piedi nella stanza delle ragazze" ) che raccontava l'approccio assai poco scientifico degli operai che in quel periodo stavano faticosamente riportando alla luce le strutture ed i mosaici dell'edificio di tarda età romana:
   
"Da Piazza Armerina, gli operai addetti agli scavi vanno in contrada Casale a dorso di mulo.
I tecnici vengono invece da Siracusa - dalla Sovrintendenza alle Belle Arti - e hanno un pò di 'charme' e la disinvolta alterigia dei divi del cinema che vanno a girare un film in un paesetto e lì trovano delle comparse assolutamente sconosciute.
Ma la passione della ricerca archeologica è tutt'altra cosa dal cinema.
E' come una febbre.


Solo qui si spiegano certi personaggi favolosi, che si innamorano di una statua, e non possono più continuare a vivere senza di essa.
Neanche i cercatori d'oro capiranno mai qualcosa di simile.
E' davvero stupendo scavare sotto un campo di cavoli, e trovare, per esempio, una statua immensa, pavimentata a mosaico, e dentro certe figure a colori, così vive, così fresche, che il cuore resta come gelato dall'emozione.
Che cosa dorme sotto i nostri piedi?
Quali città sepolte, quali meravigliose ville aspettano d'essere liberate?
A Casale, poco a poco, ho veduto resuscitare una villa quasi intatta.
Ecco le colonne dell'ingresso, ecco le sale dei ricevimenti, le immense stanze dei bagni.
Le colonne, che gli operai lavano al sole, fanno pensare, da lontano, a bianche donne che si svegliano, e hanno solo voglia di stirare le braccia.
Ansimano i cavalli nel trasportare i carri colmi di pietre e di terra.
La villa, per diciassette secoli, fu oppressa da venti e più metri di terra.
Il tempo vi aveva camminato sopra, senza troppe delicatezze, con passo orrendo degli elefanti in mezzo ai fiori.
E le colonne, sotto il peso di tanti secoli, avevano ceduto, si erano piegate di fianco; e sulle stanze levigate, sui mobili, sulle anfore, sui bei vestiti precipitò la rovina.
Ci sono ancora, qua e là, tracce di incendio.
Chi morì fra queste mura, chi fu ucciso?
Forse, se gli operai stesso molto attenti, e per un istante smettessero di battere il suolo coi picconi, udirebbero le voci che la terra tenne prigioniere per tanti secoli.
Solo verso l'una del pomeriggio, quando gli operai smettono di lavorare e mangiano pane e mortadella, c'è un grande silenzio.
Le api e le farfalle vengono a curiosare in mezzo alle colonne dissepolte, e tutto sommato hanno un'aria molto sorpresa e non si rendono conto di quello che succede.
Fino a oggi è venuta alla luce un'immensa villa, che dovette appartenere a una famiglia patrizia del terzo secolo dopo Cristo.
Senza dubbio era gente che non risparmiava, e ogni cosa è improntata al lusso, alla nobiltà, e soprattutto al buon gusto.


Nell'ora in cui gli operai si riposano, io mi siedo per terra, sui mosaici, e contemplo i draghi, i giganti, i putti che pigiano l'uva, i legionari con la svastica; e penso alla differenza che passa tra questo pavimento costruito diciassette secoli fa ( al tempo in cui si ignorava che la terra fosse tonda ) e la mia stanza da pranzo a mattonelle blu ( costruita al tempo della televisione e dell'aeroplano ultrasonico ).
Mentre mi perdo dietro queste malinconie, l'archeologo Biagio Pace così riassume la sua esperienza in materia:

'Amico mio, fra diciassette secoli vorrei sfidare i miei posteri a capire i quadri dei miei contemporanei; al contrario, guardi queste donne, questi soldati: parlano un linguaggio chiarissimo; ci sentiamo molto più legati a queste creature vissute tanti secoli fa, che alle donne di Picasso'

La sera, quando si chiudono le baracche e gli operai rimettono nel cestino le posate e il tovagliolo, una luce bluastra scende sulla contrada Casale.
Le colonne, dopo un così tetro sonno di secoli, tornano a guardare la luna, se c'è.
E gli operai, prima di andarsene, passano in punta di piedi davanti alla 'stanza delle ragazze'.
Non ho mai veduto niente di simile: sono dieci donne ( purtroppo solo dipinte ) che giocano.
Una ha in testa la corona di lauro, e negli occhi la superbia della vincitrice.
Le altre sono ferme nei loro passi di danza che nessuno ha ancora interrotto.
Non si sono accorte di nulla.
Il mondo è tanto cambiato, dal terzo secolo dopo Cristo, ma le dieci ragazze sono sempre lì, né liete, né tristi.
I loro corpi non ricordano la bellezza opulenta della Venere di Milo, ma piuttosto le asciutte figure delle donne del nostro secolo; sono più vicine a Laureen Bacall, che a Giunone.
Gli operai, vi dicevo, non le finirebbero mai di guardarle; qualcuno si sdraierebbe volentieri accanto a loro, sperando che a un certo punto, magari a notte alta, la piantino di correre e di danzare.
Tutto ha un limite, anche i 'ludi' del terzo secolo.
Ma il capo chiama dal cancello, ci sono ordini severissimi.

'Ah, se avessi una fidanzata così',

mormora l'operaio Turiddu.
Poi accende una sigaretta, abbassa la fiamma fino al viso della ragazza che ha il lauro fra i capelli.

'Buonanotte, buonanotte, Antonietta',

le mormora dolcemente.
Sì, perché m'ero dimenticato di dirvi che ogni ragazza di mosaico è stata battezzata, man mano che veniva liberata dal peso della terra.
Qualcuno assicura che , appena uscita dal sole, Antonietta ha tirato un lungo sospiro.


Ma credo che sia meglio andarci piano per quanto riguarda le storie che si raccontano qui, a Casale.
Pensate che, l'altra mattina, gli operai hanno sparso la voce che uno degli archeologi ( non faccio nomi per ovvie ragioni ) era scappato con le dieci ragazze e si era imbarcato in un battello clandestino, da Taormina.
Ma la storia non poteva essere vera per due ragioni: primo, le ragazze dei mosaici sono serissime e non accettano la corte da nessuno; secondo, la moglie dell'archeologo non abbandona mai il marito e gira sempre armata"



  

martedì 18 settembre 2018

LO SFRUTTAMENTO DEI RAGAZZI DI MAZARA CHE TAGLIAVANO LA TESTA AI GAMBERI

Lavoro minorile in Sicilia.
La fotografia è tratta dal mensile di economia e cultura
"il Mediterraneo", edito dalla Camera di Commercio di Palermo
nel luglio del 1969
Nella primavera del 1969 l'Italia fu messa all'angolo sulla piaga del lavoro minorile in Sicilia, fenomeno già segnalato dalle ricerche di Danilo Dolci e presente pure nella narrazione de "Le parrocchie di Regalpetra" di Leonardo Sciascia ( quella dei bambini impiegati come garzoni dai nobili e dai ricchi del paese ).
La denuncia portò la firma di Joseph Mueller, deputato democristiano   della Germania Occidentale: un rapporto consegnato alla commissione lavoro del MEC - un preciso atto d'accusa contro il governo italiano - descrisse l'esito di un'ispezione condotta in Sicilia occidentale.
Il documento rivelò il diffuso utilizzo di minori soprattutto nei porti pescherecci di Sciacca e Mazara del Vallo.
Penoso e sconcertante risultò soprattutto il loro sfruttamento nella cittadina trapanese. 
Almeno 150 ragazzini - in prevalenza tunisini - risultarono da tempo impiegati per riempire cassette da dieci chilogrammi di gamberi, dopo averne tagliato le teste: un duro lavoro notturno pagato 350 lire a contenitore, privo di ogni tutela sindacale e sanitaria.



La denuncia di Mueller, accompagnata dai dati sullo sfruttamento minorile a Palermo - qui, nel febbraio del 1969, il 12enne Antonio Scalici era morto cadendo da un camion di una ditta di trasporti - provocò lo scontato susseguirsi di promesse a vari livelli per l'eliminazione dell'"odioso fenomeno".
Poche settimane dopo, il Parlamento Europeo condannò la gravità delle indicazioni contenute nel rapporto del deputato di Bonn.
Ministero del Lavoro e Regione Siciliana assicurarono maggiori e più severi controlli; e se a Mazara del Vallo il numero di bambini impegnati a tagliare teste di gamberi scese di colpo, negli anni successivi il lavoro minorile in Sicilia ha continuato ad essere una pratica diffusa.
Oggi il numero di ragazzini impiegati soprattutto nelle attività agricole, pur sfuggendo a precise statistiche, è ancora rilevante. 



Le cronache quotidiane segnalano con frequenza episodi di "caporalato minorile" ai danni soprattutto di ragazzini extracomunitari sbarcati in Sicilia come migranti: un destino di sfruttamento che è il frutto della fragilità delle condizioni economiche nell'Isola, per le quali il prezzo maggiore viene pagato dai più deboli. 

mercoledì 12 settembre 2018

L'OSCURA FEDE DEVOZIONALE DEI SICILIANI DI AGLIANO'

Settembre 2018, festeggiamenti a Palermo
per Maria Santissima del Paradiso
"Regina di Porta Carini" al Capo.
Le fotografie sono di ReportageSicilia

"Direi che il popolo siciliano non conosca ancora un'armonia vera, fatta di conquiste spirituali e di amore intenso, eppure disinteressato, alla vita: si trova a contatto con un mondo nuovo, ma è rimasto alla fede del trascendente di derivazione medievale e secentesca: in questo è la ragione prima delle sue esperienze anacronistiche.
L'Europa di liberò dal peso della trascendenza sin dai primi dell'Ottocento con la rivoluzione idealistica e romantica, e al mondo superumano definitivamente perduto sostituì la forza fattiva delle opere e l'orgoglio della personalità.
Per i siciliani del popolo e della piccola borghesia Iddio è ancora la forza oscura inattingibile, il Governo è anch'esso un'oscura forza, lontana da noi e mai identificabile con la nostra volontà..."



Attualissima considerazione, quella fornita nel 1945 da Sebastiano Aglianò in "Cos'è questa Sicilia" ( R.Mascali, Siracusa ): un saggio psicologico collettivo che fissò lucidamente i comportamenti e gli atteggiamenti dei siciliani.
Le notazioni di Aglianò ne chiamano in causa anche le espressioni di natura religiosa, spesso legate ad un accentuato culto devozione per Dio ed i Santi: un approccio legato alla necessità di soddisfare tramite la protezione di una figura trascendente le aspettative ed i bisogni di una società deficitaria nella tutela dei diritti e delle garanzie sociali.
Difetta insomma ad una parte dei siciliani la dote di una religiosità alimentata da una piena spiritualità e dalla coscienza del proprio credo.






A Dio-padre può essere riconosciuto un ruolo piuttosto autoritario: "u Patreternu" assume così a volte un ruolo pericolosamente assimilabile alle figure terrene di personaggi dal distorto prestigio.
L'aberrazione di questo atteggiamento ha effetti deleteri e spiega le logiche di pensiero di un personaggio come il vecchio boss Michele Greco, capace di dichiarare:

"Mi chiamano il Papa ma io non posso paragonarmi ai papi per intelligenza, cultura e dottrina.
Ma per la mia coscienza serena, per la profondità della mia fede posso anche sentirmi pari a loro, se non superiore a loro"






Nel contesto di devozione alle figure sacre, quella di Maria assume in Sicilia un ruolo primario.

"In ogni angolo delle chiese - ha scritto in proposito Salvatore Basilio Randazzo in "Sicilianità"  ( EDI OFTES, 1985 ) - si trovano statue della Madonna invocata con titoli e attribuzioni diverse, così come in casa si trova dappertutto la madre in diritti-doveri che offrono affetto, sicurezza e protezione da ansie esistenziali"




Il culto di Maria è così presente sotto varie denominazioni in ogni  centro abitato dell'Isola, e soprattutto nei quartieri più popolari e poveri; qui, la devozione religiosa diventa spesso bisogno di trovare collettivo conforto alle difficoltà quotidiane e speranze per un futuro con meno affanni. 

venerdì 7 settembre 2018

CRONACA DEL PIZZO MAFIOSO AI TEMPI DEGLI INGHAM

Maiolica siciliana.
Fotografia ReportageSicilia

"Ad Alcamo, la cosiddetta 'componenda' ( parola spagnola, cioè la mafia ) fa il bello e il brutto tempo, e il mio agente locale, Gaspare Ospedale, ha a più riprese ricevuto lettere anonime di minaccia in cui gli sono chieste, sotto pena di morte, prima trecento e poi quattrocento sterline.
Per salvarsi la vita, Ospedale è costretto a rimanere in città, sicché i miei interessi non sono tutelati.
I malfattori hanno dato alle fiamme parecchie case a Bosco d'Alcamo.
Melle campagne attorno a Vita si sono impadroniti, alla luce del giorno, del grano sui campi e persino delle foglie di sommacco quand'erano ormai pronte per la raccolta.
In una parola, non c'è limite alle loro ruberie e rapine, né la proprietà è minimamente salvaguardata.
Le locali autorità, cui ci si deve rivolgere per avere soddisfazione, dimostrano con evidenza la loro incapacità in merito, ripetendo ai miei agenti che per darla dovrebbero avere l'assistenza del governo di Palermo.
Questo stato di cose è destinato forse a continuare?
Nessuno sarebbe in grado di valutare con esattezza le perdite, dirette e indirette, che sto subendo a causa delle condizioni attuali dell'isola, e devo aggiungere che la prosperità di uno Stabilimento dell'entità del mio, e che dà da vivere a tanti dipendenti, non può che andare a beneficio dell'isola stessa..."

lettera di Benjamin Ingham al console inglese John Goodwin ( 1860 )

"I VOLTI DI PIETRA" COMISANI DI GIOVANNI IEMULO

Volti femminili scolpiti su chiavi d'arco
ed altri elementi architettonici "liberty" a Comiso.
Le fotografie sono di Giovanni Iemulo.
Furono esposte nel 1993 nella cittadina ragusana
nell'ambito della mostra "Volti di Pietra"

"A Comiso mancano le maschere barocche che riscontriamo nei centri vicini di Ragusa, Modica e Scicli.
Il ricco repertorio liberty diventa pertanto una testimonianza ancora più preziosa, dato l'elevato numero di sculture ( oltre un centinaio mi pare ) che Giovanni Iemulo ha individuato.
Sono volti di ragazze i cui capelli lunghi scendono sulle guance e talvolta si avvitano con fiori e rami ricchi di foglie; alcune hanno visi rotondi e occhi luminosi; altre hanno lineamenti asciutti e occhi bassi e riflessivi.
In modo sorprendente non risentono del tempo, non sono come si suol dire datati, ma sembrano recuperati da rotocalchi freschi di stampa, da studi fotografici contemporanei..."

Così lo storico dell'arte Paolo Nifosi illustrò le fotografie di Giovanni Iemulo nel catalogo di presentazione della mostra "Volti di Pietra", ospitata nell'aprile del 1993 all'interno del foyer del Teatro Comunale di Comiso.







Gli scatti di Iemulo - oggi bibliotecario della Fondazione Gesualdo Bufalino e generoso ambasciatore della cultura iblea ( suo il cortese via libera alla loro riproposizione su ReportageSicilia ) - riscoprono i volti di donna scolpiti su porte d'ingresso, chiavi d'arco e balconi del tessuto urbano comisano datato fra fine Ottocento ed inizi del secolo successivo.
Si tratta di piccole opere d'arte che, sia pure presenti in altre zone del liberty siciliano, a Comiso sembrano avere trovato particolare sviluppo ed abilità d'esecuzione.






In un'altra prefazione al catalogo della mostra, Massimo Onofri - il maggiore estimatore della letteratura siciliana degli ultimi decenni ( suo il recente "Passaggio in Sicilia", edito da Giunti Editore nel 2016 ) ricorda il contesto ambientale ed artistico dal quale germinarono i "Volti di Pietra" ritratti da Iemulo:

"E scopriamo, finalmente, quale prezioso pantheon di domestiche divinità abbia eretto, in felice concordia, quell'anonima folla di picconieri sbozzatori e tagliapietre, scalpellini e capomastri che in questo paese hanno operato e vissuto nei primi trenta quarant'anni del secolo.
Siamo, occorre aggiungerlo, in quella ormai lontana Comiso, stretta fra infiniti muri a secco e rinomate cave, ove nasceva nel 1907 la Regia Scuola D'Arte e da cui si muovevano, sulla linea ferroviaria Siracusa-Licata, lenti convogli carichi di pietra bianca per le più varie destinazioni.
Quella Comiso, insomma, ove si celebravano gli umili fasti di una società fondata 'sull'abilità manuale e l'innocenza del cuore' di cui tante volte ha scritto Gesualdo Bufalino..."






Chi fossero gli anonimi artisti della pietra capaci di dare espressione e umano carattere a quei volti lapidei, è ancora materia di citazione per Paolo Nifosi: Biagio Lucenti, Biagio Vitale, Biagio Puglisi, i fratelli Iacono, i fratelli Catalano.
Il suo elenco di nomi comisani si unisce a quello di altri compaesani che lo stesso Bufalino aveva inserito nel 1982 nel "ritratto-epitaffio" di "Museo d'ombre": il cantoniere Agostino, Papè "Carruvedda", Cola Gallo, Roccu Pilliru, il dottore Cabibbo, Niniello Caruso... 
Le fotografie di Giovanni Iemulo - immagini che restituiscono respiro e stati d'animo all'inerte fissità di donne centenarie - riscoprono un pezzo d'identità di quella Comiso che Gesualdo Bufalino, nelle pagine di "Museo d'ombre", indicava come un paese ormai omologato a luoghi e persone delle città.
Un luogo che, secondo Bufalino  

"scimmiotta ormai a tal segno - in cemento, decibel, gerghi, diossine - le gravezze metropolitane da far nascere il dubbio che sia prossima l'omologazione finale, quando, distrutto l'ultimo vestigio del Singolo e dell'Alieno, non rimarrà ai superstiti che scendere nelle catacombe con un disco di Mozart nascosto sotto la giacca..."

sabato 1 settembre 2018

LA SECOLARE PIAGA DEI RIFIUTI A PALERMO

Studenti tedeschi raccolgono rifiuti
in una strada di Palermo.
L'immagine venne pubblicata nel luglio del 1969
dal mensile "il Mediterraneo"
Da secoli, Palermo ed i palermitani hanno stretto un rapporto di fedele convivenza con la spazzatura: un legame che resiste all'avvento di una capillare "differenziata" e frutto dell'innata ritrosia verso il decoro comune e l'igiene delle pubbliche vie.
La pratica di gettare cartacce, sacchetti e rifiuti ingombranti in strada risale molto indietro nei secoli: già nel 1331, come ricordato da Rosario La Duca ( "I palermitani e l'immondizia: un rapporto poco felice", in "Giornale di Sicilia" del 23 luglio 1998 ) un regolamento cittadino tentò di affrontare la questione, vietando di lanciare all'esterno delle finestre e della porta di casa "mundizi" e "acqua lorda".
Nel secolo successivo, i palermitani di origine ebrea furono incaricati di curare la pulizia delle strade: un compito che venne meno nel 1492, a causa della loro espulsione dalla città.
Ricorda quindi il La Duca che

"Di crisi della nettezza urbana nel Seicento e Settecento sono piene le cronache cittadine, anche perché dei relativi bandi che venivano emanati nessuno teneva alcun conto"



Della disaffezione dei palermitani per il pubblico decoro si rese conto anche Wolfgang Goethe - in visita in città il 5 aprile del 1787 - allorché un bottegaio gli spiegò che la spazzatura serviva a colmare le numerose buche stradali.
Goethe osservò a tal proposito con un certo sarcasmo:

"Le male lingue dicono essere la nobiltà quella che favorisce questo stato di cose, affinché le carrozze, andando di sera alla passeggiata, possano procedere senza scosse sopra un pavimento meno duro..."

A distanza di 182 anni dalle impressioni dell'autore di "Viaggio in Italia", altri visitatori tedeschi avrebbero mostrato il loro interesse verso le maleodoranti strade palermitane.
La fotografia riproposta da ReportageSicilia - pubblicata dal mensile di economia e cultura "il Mediterraneo", edita nel luglio del 1969 dalla Camera di Commercio di Palermo - ritrae un gruppo di giovani della Germania Ovest intenti a raccogliere rifiuti in una strada cittadina.
All'epoca, gli incendi della spazzatura non raccolta dai cassonetti erano già materia di cronaca; così pure le polemiche sulla scarsa funzionalità del servizio di nettezza urbana, affidata alla "Vaselli".
Nel 1967, l'impresa romana del conte Romolo Vaselli impiegava 2529 spazzini, 300 in più rispetto a quelli impegnati a Milano: un organico incapace di garantire la raccolta dei rifiuti e sovradimensionato dalla gestione clientelare fra azienda e politici locali.



Tre anni dopo - nell'aprile del 1970 - il "caso spazzatura"Palermo  sarebbe finito sulle pagine dei principali giornali europei grazie ad una fotografia che ritraeva la passeggiata di due ragazze sui sacchi di rifiuti.
Per 15 giorni, il servizio di raccolta venne allora interrotto da uno sciopero dei netturbini con una motivazione che appare paradossale: la richiesta di un "bonus" in busta paga da mezzo milione di lire per compensare i maggiori carichi di lavoro causati ( solo sulla carta ) dalla riduzione del personale.
Il risultato fu che Palermo si riempì di 6.000 tonnellate di spazzatura e che i Vigili del Fuoco ebbero il loro daffare per spegnere decine di incendi dei cumuli, soprattutto nelle periferie cittadine: roghi che si ripetono ai nostri giorni.



Nella didascalia de "il Mediterraneo", l'immagine di quei ragazzi tedeschi impegnati nel 1967 a riempire i sacchi con i rifiuti abbandonati in strada venne illustrata proprio con un riferimento all'opera di Goethe:

"'Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?', dice una ben nota poesia di Goethe.
Questi giovani studenti tedeschi non la conoscevano e sono venuti in Sicilia per arricchirsi di immagini e profumi inconsueti: ad accoglierli hanno trovato invece maleodoranti cumuli di rifiuti, che a Palermo sono diventati l'ambiente della città, più del giallo dei limoni della Conca d'Oro.
Allora, per non smentire il loro grande connazionale, si sono messi diligentemente a pulire"