Lo scatto di quel duplice omicidio, considerato il primo dei delitti di mafia "eccellenti" per l'alta figura istituzionale di Scaglione, ha la rara dote del racconto: quella capacità cioè di una fotografia di descrivere in un solo fotogramma un'articolazione di situazioni che narrano la trama di un evento.
Guadagnato il balcone al secondo piano di una palazzina in via dei Cipressi - una strada della Palermo più povera e sofferente, delimitata da un vecchio muro oltre il quale si scorge una folta macchia di alberi - il fotografo fissò sulla pellicola la "scena del delitto": nessuna delle 32 persone raffigurate nella pellicola mostrò allora di accorgersi del suo scatto.
A differenza di altre crude immagini di omicidi di mafia di quegli anni, in questa fotografia non compaiono lenzuoli bianchi stesi sui cadaveri, dettagli anatomici delle vittime o chiazze di sangue.
A differenza di altre crude immagini di omicidi di mafia di quegli anni, in questa fotografia non compaiono lenzuoli bianchi stesi sui cadaveri, dettagli anatomici delle vittime o chiazze di sangue.
Lo sguardo si concentra dalla Fiat 1500 scura targata Trieste, con la carrozzeria lucidata a specchio e fori di colpi di arma da fuoco sul parabrezza.
Le ruote anteriori si trovano sopra il marciapiede, segno che Lorusso ha tentato una manovra disperata per evitare il fuoco dei sicari: forse quattro, scesi da una Fiat 850 bianca ed armati di pistole calibro 9 e 38.
La loro azione - avvenuta sotto gli occhi di una statuetta di Santa Rosalia posta in una nicchia di un'edicola votiva - è stata rapida e micidiale.
Hanno dapprima accostato la 1500 sul lato sinistro, cominciando ad esplodere i primi colpi; poi - secondo un'iniziale ricostruzione dell'agguato - hanno finito di ammazzare i due uomini sparando all'impazzata contro il lunotto posteriore e gli altri finestrini.
Intorno all'abitacolo, a pochi passi dal civico 242 - l'abitazione di Rosa Badalamenti, che dichiarerà di non essersi accorta di quanto accaduto - si muovono quattro investigatori in borghese ed un poliziotto.
Uno di loro, tenendo le braccia incrociate dietro la schiena, infila quasi la testa all'interno di un finestrino posteriore, per osservare i sedili bordeaux che ospitavano il procuratore Scaglione.
Al centro della strada, altri poliziotti e carabinieri - alcuni dei quali in borghese - sembrano scambiare le prime impressioni sull'agguato.
Fra di loro, ci sono sicuramente dei funzionari che dovranno presto riferire le prime indicazioni sull'accaduto ai loro superiori, a cominciare dalla notizia del recupero di sette bossoli sull'asfalto.
Sembra di riconoscere, tra questi investigatori, il profilo di Giorgio Boris Giuliano, il dirigente della Squadra Mobile che verrà anche lui ucciso dalla mafia nel luglio del 1979.
Infine, come in ogni "scena del delitto" palermitana, c'è il pubblico silenzioso dei curiosi e di chi forse ha visto o sentito qualcosa e che non parlerà: persone che allungano lo sguardo oltre la "pantera" del 113 che impedisce loro di avvicinarsi al luogo dell'agguato.
Con la passare delle ore, in via dei Cipressi gli investigatori raccoglieranno a fatica poche e reticenti indicazioni.
Un falegname che risulterà essere stato l'uomo che ha avvisato della sparatoria il 113 dirà di avere chiamato solo perché impaurito dai numerosi colpi di arma da fuoco.
Un ragazzino di 14 anni sarà invece protagonista di una testimonianza che per poche ore sembrerà cambiare la prima ricostruzione dell'agguato.
Dirà che a sparare contro l'auto di Scaglione sono state due persone che aspettavano sul marciapiede di via dei Cipressi: la Fiat 850 sarebbe dunque stata solo una vettura di appoggio per i sicari.
Risentito una seconda volta per fornire gli identikit dei due presunti killer, il ragazzino dichiarerà però di essersi inventato tutto.
Qualcuno, nel frattempo, gli aveva imposto di non parlare più di ciò che aveva visto in quella mattinata di maggio, grigia e ventosa, in cui la mafia aveva appena ucciso per la prima volta a Palermo un alto magistrato.
Le ruote anteriori si trovano sopra il marciapiede, segno che Lorusso ha tentato una manovra disperata per evitare il fuoco dei sicari: forse quattro, scesi da una Fiat 850 bianca ed armati di pistole calibro 9 e 38.
La loro azione - avvenuta sotto gli occhi di una statuetta di Santa Rosalia posta in una nicchia di un'edicola votiva - è stata rapida e micidiale.
Hanno dapprima accostato la 1500 sul lato sinistro, cominciando ad esplodere i primi colpi; poi - secondo un'iniziale ricostruzione dell'agguato - hanno finito di ammazzare i due uomini sparando all'impazzata contro il lunotto posteriore e gli altri finestrini.
Intorno all'abitacolo, a pochi passi dal civico 242 - l'abitazione di Rosa Badalamenti, che dichiarerà di non essersi accorta di quanto accaduto - si muovono quattro investigatori in borghese ed un poliziotto.
Uno di loro, tenendo le braccia incrociate dietro la schiena, infila quasi la testa all'interno di un finestrino posteriore, per osservare i sedili bordeaux che ospitavano il procuratore Scaglione.
Al centro della strada, altri poliziotti e carabinieri - alcuni dei quali in borghese - sembrano scambiare le prime impressioni sull'agguato.
Fra di loro, ci sono sicuramente dei funzionari che dovranno presto riferire le prime indicazioni sull'accaduto ai loro superiori, a cominciare dalla notizia del recupero di sette bossoli sull'asfalto.
Sembra di riconoscere, tra questi investigatori, il profilo di Giorgio Boris Giuliano, il dirigente della Squadra Mobile che verrà anche lui ucciso dalla mafia nel luglio del 1979.
Infine, come in ogni "scena del delitto" palermitana, c'è il pubblico silenzioso dei curiosi e di chi forse ha visto o sentito qualcosa e che non parlerà: persone che allungano lo sguardo oltre la "pantera" del 113 che impedisce loro di avvicinarsi al luogo dell'agguato.
Con la passare delle ore, in via dei Cipressi gli investigatori raccoglieranno a fatica poche e reticenti indicazioni.
Un falegname che risulterà essere stato l'uomo che ha avvisato della sparatoria il 113 dirà di avere chiamato solo perché impaurito dai numerosi colpi di arma da fuoco.
Un ragazzino di 14 anni sarà invece protagonista di una testimonianza che per poche ore sembrerà cambiare la prima ricostruzione dell'agguato.
Dirà che a sparare contro l'auto di Scaglione sono state due persone che aspettavano sul marciapiede di via dei Cipressi: la Fiat 850 sarebbe dunque stata solo una vettura di appoggio per i sicari.
Risentito una seconda volta per fornire gli identikit dei due presunti killer, il ragazzino dichiarerà però di essersi inventato tutto.
Qualcuno, nel frattempo, gli aveva imposto di non parlare più di ciò che aveva visto in quella mattinata di maggio, grigia e ventosa, in cui la mafia aveva appena ucciso per la prima volta a Palermo un alto magistrato.