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mercoledì 2 luglio 2025

LO SGUARDO DI COMISSO SU CALASCIBETTA

Il paese di Calascibetta, nell'ennese.
Fotografia attribuita a Pedone
tratta dal II volume dell'opera "Sicilia"
edita nel 1961 da Sansoni e dall'Istituto Geografico de Agostini


Nel corso dei suoi numerosi viaggi estivi in Sicilia - stagione in cui "nell'ora meridiana... è come respirare il fiato uscente dalle fauci di un leone" - Giovanni Comisso si addentrò sino ad Enna, il cuore dell'Isola

Lo scrittore e saggista veneto vi arrivò con ancora il sapore in bocca di un latte di mandorla bevuto a Piazza Armerina, capace di "rinfrescare e togliere ogni stanchezza".

All'alba, svegliato dal chiarore già energico del giorno, dalla balaustra di una piazza ennese, scoprì Calascibetta, con le sue case distese ad anfiteatro ai piedi del monte Xibet. Nell'apprendere il nome di quel paese, Comisso - cultore del mondo greco - ne spiegò erroneamente l'origine, riconducendola al greco "kalos" ed all'arabo "gebel", invece che al termine "qal'ah" ( "rocca, cittadella, fortezza costruita su un'altura" ) e al nome del monte Xibet

"Nella notte fitta di stelle le luci dei paesi elevati sulla cima dei monti - si legge in "Sicilia", edito nel 1953 a Ginevra da Pierre Cailler - emergevano come fosforescenti meduse sulle acque di un mare notturno. Il grande silenzio era rotto solo dal latrare dei cani a guardia dei casolari sparsi nella valle...

Già il primo albore definiva a oriente la piramide dell'Etna e per duri sentieri della valle incominciò lo scalpiccio degli zoccoli ferrati dei muli coi contadini in groppa assonnati. Uno scalpiccio che discendeva dai casolari invisibili verso il fondo della valle per andare oltre; nella stessa ora, altri contadini in groppa di altri muli discendevano dai villaggi o dai casolari sparsi, in tutta l'isola...



Alla prima brezza dell'alba le tortore presero a tubare sommesse e subito dopo gli usignoli martellarono l'aria e già rosseggiava l'aurora, sparite le ultime stelle...

Non mi era più possibile ritornare a dormire dopo che questo sole mi aveva del tutto risvegliato nello sguardo. Uscii sulla piazza deserta e ancora mi attrasse la balaustra che la limitava verso la valle. Oramai il canto degli usignoli aveva sommerso quello delle tortore e i colori ritornavano alla terra battuti dal sole nel suo ripreso vigore.

Anche un uomo della città si era risvegliato ed era venuto ad appoggiarsi alla balaustra, vicino a me. Osservano il paese al di là della valle stretto sulla cima del piccolo monte erto e roccioso, le case grigie nelle loro pietre sembravano cristallizzazioni del monte e senza riguardare l'uomo che mi stava vicino gli chiesi quale era il nome di quel paese che gli additai.



Intesi una voce fievole rispondermi cadenzando ogni sillaba:

"Calascibetta"

Indubbiamente quel nome risultava dalla fusione di due parole, una greca: "Calos", e l'altra araba: "Gebel", per significare: "bel monte". Queste due invasioni di popoli, tra le altre, più feconde, venute attraverso il Mediterraneo a questo fiore sospeso tra il mare e il cielo avevano frammisto il loro polline in quel nome che permaneva ancora..."