"Sicilia", assessorato regionale Turismo e Spettacolo, 1953 |
ReportageSicilia è uno spazio aperto di pensieri sulla Sicilia, ma è soprattutto una raccolta di immagini fotografiche del suo passato e del suo presente. Da millenni, l'Isola viene raccontata da viaggiatori, scrittori, saggisti e cronisti, all'inesauribile ricerca delle sue contrastanti anime. All'impossibile fine di questo racconto, come ha scritto Guido Piovene, "si vorrebbe essere venuti quaggiù per vedere solo una delle più belle terre del mondo"
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martedì 31 dicembre 2024
domenica 29 dicembre 2024
LO "SPETTACOLO RARO E MERAVIGLIOSO" VISIBILE UN TEMPO DA SOLUNTO
Panorama dalle rovine di Solunto in una fotografia di "Brogi" pubblicata nel 1933 dal volume "Sicilia" del Touring Club Italiano |
Il sito archeologico di Solunto non è certo paragonabile per ricchezza del patrimonio architettonico a quelli più noti di Selinunte, Segesta o dell'agrigentina Valle dei Templi. Più di altri siti della Sicilia, continua però a riservare uno spettacolo paesaggistico che da solo merita la visita. Dai pochi resti di una città che fu ellenistica e romana, lo sguardo spazia verso la piana di Bagheria e la lontana catena montuosa delle Madonie, sino alla rocca di Cefalù. Quest'ultima - insieme ai profili di Alicudi e Filicudi, le più occidentali delle Eolie - nelle giornate più nitide si staglia con chiarezza sulla distesa del mar Tirreno. Negli ultimi 50 anni, le profonde trasformazioni del territorio - fortemente urbanizzato e segnato dalla costruzione di numerose strade - hanno ovviamente intaccato la originaria integrità ambientale di un paesaggio esaltato dai racconti di numerosi viaggiatori. Fra questi, figura quello di Leonida Coggi, geologo del Museo Geologico "G.Cortesi" di Castell'Arquato e più volte autore di reportage sul patrimonio naturalistico ed archeologico della Sicilia.
"Solunto. Sopra lo sperone più meridionale del monte Catalfano - scrisse Coggi nel marzo del 1965 sulle pagine della rivista "Sicilia" edita dall'assessorato regionale al Turismo - le rovine della città, punica, ellenistica e romana, confuse nella frammentarietà armoniosa della riesumazione sapiente, quasi pareggiate col suolo dalle distruzioni dell'uomo e del tempo, parevano volersi ergere ancora verso l'alto, ai lati del decumàno, in un anelito di rinascita, più che le stesse colonne ritte e compiute del Gymnasium dorico. Ai piedi del monte, una distesa verdissima di agrumeti odorosi si allargava dalla costa fin oltre Bagheria, cingendo da presso l'abitato e i segreti giardini delle ville settecentesche, anch'esse chiuse e deserte. Il mare della baia di Porticello era uno smalto lucidissimo di azzurro intenso, punteggiato di gemme, le vele e le barche variopinte a pesca. Uno spettacolo raro, meraviglioso, una sinfonia perfetta e inconscia, un capolavoro..."
giovedì 26 dicembre 2024
IL PORTO VECCHIO DI CEFALU', DOVE IL MARE SI FA PIAZZA
Il "porto vecchio" di Cefalù. Fotografia di Bruno Stefani pubblicata nel 1967 nel volume "Il folklore" della collana "Conosci l'Italia" edita dal Touring Club Italiano |
Malgrado le trasformazioni subite da un turismo di massa che ha omologato l'atmosfera e l'identità di una località che un tempo possedeva un aspetto unico ed irripetibile, Cefalù conserva ancora tracce di irripetibile suggestione. Una di queste - lo specchio di mare del "porto vecchio" - è rimasta nella memoria di Matteo Collura. Nel 2012 il giornalista e saggista agrigentino ne fece cenno nella prefazione del libro di Angelo Pitrone "Cefalù", edito da Salvatore Sciascia Editore e dalla Fondazione Culturale Mandralisca:
"Certe mattine, a Milano, dove da molti anni lavoro e abito, la tazzina del caffè in mano, per meglio propiziarmi la giornata, immagino di trovarmi in un angolo, che so io, la Rocca davanti, e gli scogli color carne della Kalura a far da argine a un mare i cui riflessi mutano di continuo, e che per i cefaludesi è una sorta di ambiente domestico, dove si va a passeggiare più che a navigare. So quel che dico perché, grazie alla generosità di una coppia di amici che hanno casa proprio nella parte più antica del paese, quella che si affaccia sul porto vecchio, di tanto in tanto mi capita di potermi svegliare davanti a quel mare. Una distesa d'acqua placida dove la gente passeggia, i piedi a mollo, parlottando e gesticolando, così come si fa all'uscita della messa, la domenica. Non mi è mai capitato di assistere a uno spettacolo del genere. Un mare che si fa piazza dove la gente si ritrova..."
martedì 24 dicembre 2024
ABITUDINI NATALIZIE DEI SICILIANI NEL RACCONTO DEL PITRE'
Decorazione natalizia ad Erice. Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia |
"Che si mangi e beva in questa notte sacra - ha scritto Giuseppe Pitrè nel 1879 in "Usi natalizi, nuziali e funebri del popolo siciliano" - è noto a chicchessia; noto del pari che la cena spesso trasmoda fino alla gozzoviglia; ma non tutti sapranno che la chiesa, il luogo stesso nel quale si attende la nascita del bambino, sia il teatro di cotali scene. In alcuni dei nostri paesi il popolo non saprebbe assistere alla sacra funzione notturna, né vedere nascere Gesù, senza farsi una sventrata di roba da sgranocchiare e da bere, che esso ha avuto l'accortezza di portare seco. Il mangiare ed il bevacchiare è allegro, perché nasce colui che porta la letizia e l'allegria in ogni cuore..."
domenica 22 dicembre 2024
L'ULTIMA TESSITRICE DEI TAPPETI DI ERICE
Franca Vario, l'ultima tessitrice di tappeti ad Erice. Fotografie Ernesto Oliva-ReportageSicilia |
"Assai simili ad alcuni tappeti della Valtellina e sardi, i cosiddetti "pezzotti", sono le "frazzate" di Erice, ridente città medievale posta sulle alture del Monte San Giuliano sovrastante Trapani. Le frazzate sono ottenute ritessendo minuti frammenti di stoffa, ridotti a filamenti e variamente colorati. La trama decorativa di questi tessuti è costituita da composizioni geometriche, intrecciate o libere. La composizione e la accesa vivacità dei colori li distingue in genere dai pezzotti. Gli sforzi compiuti dall'Ente Nazionale per l'Artigianato e le Piccole Industrie per l'affermazione delle attività artigianali di questo centro sono oggi coronati da un buon successo organizzativo e commerciale. Va notato che dallo stesso tessuto vengono anche ricavate borse di varie fogge e capacità..."
Così nel 1966 il "Repertorio dell'artigianato siciliano" di Vittorio Fagone ( Salvatore Sciascia editore, Caltanissetta-Roma ) attestava allora la vitalità dell'artigianato ericino delle "frazzate", rappresentate da tappeti e coperte, retaggio di un'economia domestica in cui nulla veniva sprecato. Da stracci ritagliati in fettucce tessute al telaio, le donne di Erice erano in grado di creare una varietà di colorati motivi geometrici a rombi ed a bande trasversali variamente alternate. Ancora oggi, alcune case del borgo conservano vecchi telai costruiti sino a qualche decennio fa da falegnami locali con una tecnica perfezionata nel corso dei secoli.
Nel marzo del 1956, grazie alla costituzione di una Cooperativa Artigiana del Tappeto Ericino all'interno della chiesa di San Domenico, l'attività di tessitura era stata organizzata in maniera strutturata. Negli ultimi anni però lo spopolamento del borgo di Erice e le produzioni industriali dei tessuti hanno contribuito a far decadere questa forma di artigianato. Oggi l'ultima attiva tessitrice di tappeti è Franca Vario, figlia di Pina Parisi, una delle donne che contribuirono in quel lontanissimo 1956 allo sviluppo della Cooperativa. Nella sua bottega, il telaio occupa buona parte delle due stanze quasi foderate da tappeti colorati soprattutto in blu, rosso, giallo, bianco e nero: una ricchezza ed una vivacità di tonalità che, specie nei mesi invernali, contrastano con la fitta foschia che spesso ammanta la severa architettura di pietra di Erice.
LA DIFFICILE RICERCA DEL PETROLIO SICILIANO DEL GEOLOGO SCOZZESE ALLISON
Lavori preparatori per l'estrazione del petrolio alla periferia di Ragusa. Fotografie tratte dall'opera citata nel post. |
Tra la fine del 1952 e gli inizi del 1953 la "Gulf Oil Company" di Pittsburgh e la "Anglo Iranian Oil Company" avviarono a qualche centinaio di metri dalla periferia di Ragusa i lavori per l'attivazione di un primo pozzo d'assaggio per l'estrazione di petrolio. Una grande trivella era arrivata dagli Stati Uniti sino alla stazione di Ragusa; da qui, i pezzi erano stati trasportati a bordo di parecchi camion. Nell'area di installazione delle attrezzature di perforazione lavorarono operai del posto, scavando la pietra a colpi di mazza, senza martelli pneumatici o l'utilizzo della dinamite. Il cantiere ragusano attirò allora le attenzioni del settimanale "Epoca", che affidò a Luigi Barzini junior un reportage su quel primo tentativo di estrazione del petrolio nella Sicilia del secondo dopoguerra. Nel suo lungo articolo - pubblicato il 18 aprile 1953 e corredato dalle fotografie riproposte nel post - Barzini segnalò le difficoltà allora incontrate in Sicilia dai ricercatori delle multinazionali del petrolio:
"Il capo geologo della Anglo Iranian che risiede a Caltanissetta, in un villino modesto nei sobborghi, si chiama Archibald Allison, scozzese, occhialuto, esile, titubante. E' molto cauto nel parlare e solo indirettamente si capisce che, in fondo, non è pessimista. Dice:
"In nessun paese in cui ho lavorato ho trovato le difficoltà della Sicilia. In Persia, per esempio, individuate le varie falde si poteva contare che, per chilometri, le cose sarebbero state quasi uguali, salvo minori variazioni. Qua non si può prevedere nulla. Di solito noi studiamo le rocce che emergono per giudicare come potrebbero essere gli strati del sottosuolo, dove le rocce antiche sono coperte, come nel meridione dell'Isola, da una spessa coltre di formazione più recente. Tuttavia nessuna regola fissa vige qua. La Sicilia è una terra tormentata di cui non si riesce a stabilire con certezza la storia geologica. Troviamo strati antichi sopra strati più recenti, accostamenti insoliti e inspiegabili. Ovunque andiamo alla cieca. In Sicilia, più che altrove... "
Il lavoro è complicato dal fatto che le carte geologiche della Sicilia furono preparate e disegnate tra il 1830 e il 1880, quando ancora non si praticava l'arte di classificare l'età delle rocce in base ai microfossili, fossili riconoscibili al microscopio. Rocce simili ma distanti epoche intere come formazione venivano dipinte sulle carte dello stesso colore, per cui il dottor Allison, i geologi della Regione e quelli delle altre compagnie sono costretti a correggere le vecchie carte come possono prima di formulare qualsiasi congettura..."
venerdì 20 dicembre 2024
LA SVILITA POLITICA SICILIANA IN UNA PAGINA DI EGIDIO STERPA
"Giornalista di lunga militanza, appartiene alla generazione di mezzo che ha maturato la coscienza della gravità del problema meridionale prima che questo diventasse tema di attualità a livello di partiti e sindacati". Così nel 1973 Alfonso Madeo scrisse di Egidio Sterpa, autore allora del saggio "La rabbia del Sud", edito da Società Editrice Internazionale. Nel libro, Sterpa dedicò una trentina di pagine all'esame dei problemi siciliani, forte di una documentazione nata da una costante frequentazione della Sicilia e di incontri - fra i tanti - con Leonardo Sciascia, Aldo Scimè, Fausto Flaccovio, Franco Nicastro, Giovanni Ciancimino, Roberto Ciuni, Lillo Pumilia, Vittorio Nisticò e politici - lui, di ispirazione liberale - di ogni partito. Nelle pagine di "La rabbia del Sud" dedicate alla realtà dell'Isola, Sterpa sottolineò di avere intenzione di coltivare l'idea di scrivere una "Storia dell'ultima Sicilia", approfondendo gli argomenti proposti nel romanzo-documento "I Papi invisibili", edito da Rusconi nel 1972. Quel saggio rimase incompiuto, trovando però nelle pagine di "La rabbia del Sud" un'anticipazione ricca di attualissimi spunti di analisi sulle cause dei ritardi dello sviluppo in Sicilia, non a caso attributi da Sterpa alle tare strutturali della politica regionale:
"... Venticinque anni sono un quarto di secolo ed è legittimo esprimere giudizi duri nei confronti di una classe dirigente che non ha saputo far meglio. Perché meglio, non c'è dubbio, si poteva e si doveva fare... Lo stesso istituto regionale, che poteva essere un fatto innovativo dal punto di vista burocratico, è nato vecchio, perché si è mosso sulle orme dello Stato. Dal sistema nazionale ha ereditato e copiato tutto o quasi, a volte volgendolo al peggio. Si è creato lo schema di un piccolo Stato con forme esteriori che spesso si sono rivelate una caricatura di quelle nazionali. Lo strumento regionalistico, così, si è sclerotizzato dopo pochi anni di vita. Funzionò assai bene nel primo decennio, con realizzazioni che rimangono tuttora le più valide... Poi la Regione si invischiò nella lotta per il potere tra i partiti e tra le correnti. E da allora l'autonomia non ha dato più frutti. S'è andati avanti a sussulti, a sprazzi, senza programmi di respiro, con un deterioramento di forze politiche, di uomini, di energie intellettuali, con lo svilimento delle idee, dei tormenti e dei sogni migliori. Questo processo di frantumazione non ha risparmiato nessuno, né maggioranza né opposizione..."
La fotografia del post è di Vittorugo Contino ed è tratta dalla rivista "Ciclope" edita a Palermo nell'ottobre del 1957 dalla "Società Editoriale Ciclope"
domenica 8 dicembre 2024
IL MARE INSICURO E BEFFARDO PER I SICILIANI DI SCIASCIA
Barche da pesca a Porticello. Fotografia tratta da "Panorama" dell'ottobre del 1963 ed attribuita a "Foto Randazzo" |
Uomo "terragno", Leonardo Sciascia, nato e cresciuto nelle province delle zolfare e legato alla campagna della "Noce": luogo di riposo e di ispirazione per i suoi romanzi e saggi grazie anche allo scambio di pensieri con pastori e contadini ( un contributo di testimonianze poi confluito nella raccolta di espressioni, proverbi e modi dire contenuta nel saggio "Occhio di capra", edito da Adelphi Milano nel 1990 ). Nell'opera sciasciana il mare è presente soprattutto nei racconti, come in "Il mare colore del vino" o in "Il lungo viaggio" ( entrambi pubblicati in "Il mare colore del vino", Einaudi, Torino, 1973 ). In quest'ultimo racconto, un gruppo di migranti siciliani imbarcati da uno scafista fra Gela e Licata con l'impegno di raggiungere gli Stati Uniti dopo undici notti di traversata vengono sbarcati a Santa Croce di Camerina. Il mare dunque per Sciascia sembra essere un elemento naturale fonte di inganno e di rischiosa beffa. Una visione che lo scrittore di Racalmuto aveva in precedenza esplicitato nel saggio "La corda pazza. Scrittori e cose della Sicilia" ( Einaudi, Torino, 1970 ):
"... Il mare è la perfetta insicurezza della Sicilia, l'infido destino; e perciò anche quando è intrinsecamente parte della sua realtà, vita e ricchezza quotidiana, il popolo raramente lo canta o lo assume in un proverbio, in un simbolo; e le rare volte sempre con un fondo di spavento più che di stupore. "Lu mari è amaru" ( Il mare è amaro ). "Loda lu mari, e afferrati a li giummari" ( Loda il mare, ma afferrati alle corde ). "Cui pò jiri pri terra, nun vaja pri mari" ( Chi può andare per terra, non vada per mare ). "Mari, focu e fimmini, Diu nni scanza" ( Mare, fuoco e donne, Dio ci salvi ). "Cui nun sapi prigari, vaja a mari" ( Chi non sa pregare, vada a mare ). E non è, quest'ultimo proverbio, dettato dalla meraviglia e dal rapimento: chi andrà a mare non apprenderà a pregare nel senso della lode, ma nel senso della paura e della superstizione..."