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lunedì 30 marzo 2020

"CAVALLERIA RUSTICANA", QUEL DUELLO SOTTO CASA CHE ISPIRO' VERGA

La scena finale di "Cavalleria Rusticana",
il film di Carmine Gallone girato nel 1953 nelle campagne di Noto
ed ispirato alla novella di Giovanni Verga.
Fonte citata nel testo.

Fu nell'autunno del 1880 che Giovanni Verga pubblicò la novella "Cavalleria Rusticana" nella raccolta "Vita dei campi", edita a Milano da Fratelli Treves: un dramma amoroso destinato al futuro successo di pubblico grazie a diverse trasposizioni operistiche e cinematografiche.
Fra queste ultime, la più famosa è quella realizzata nel 1953 dal regista Carmine Gallone nelle campagne di Noto, con Anthony Quinn nel ruolo di Alfio ed Ettore Manni in quello di Turiddu ( le fotografie riproposte da ReportageSicilia vennero pubblicate dal settimanale "Epoca" l'11 ottobre di quell'anno ).
Ricorda Nino Cappellani in "Vita di Giovanni Verga" ( Felice Le Monnier, 1940 ) che sul finire del 1883, lo scrittore catanese pensò di adattare la trama di "Cavalleria Rusticana" per il teatro:

"Con un lavoro di tre giorni, compie il miracolo, lui pigro e scontento sempre, di creare una nuova opera d'arte, in cui il dramma della gelosia è posto su basi nuove e molto più profonde e in cui i veri protagonisti non sono più Lola e Turiddu, ma Santuzza e Alfio"





Citando quanto aveva scritto in precedenza Federico De Roberto in "Stato civile della Cavalleria Rusticana" ( "La Lettura", gennaio 1921 ) lo stesso Cappellani spiegò così lo spunto ideale dal quale Verga avrebbe tratto l'ispirazione per scrivere la novella:

"Molte leggende corrono da tempo in Sicilia.
Si dice che il fatto della 'Cavalleria Rusticana' accadde realmente a Vizzini, terra d'origine della famiglia dello scrittore, e che tutti quei personaggi furono persone.
Altri asseriscono che il tragico caso si svolse tale e quale a Francofonte, dove Turiddu Macca andava a rifornire di vino il piccolo negozio della 'gnà' Nunzia sua madre.
Alcuni precisano che l'ammazzamento avvenne a mezza strada tra Francofonte e Vizzini, nella contrada Rasciuri...
La verità è tutt'altra.
La verità è che, mentre l'arte dà mere immagini degli oggetti reali, Giovanni Verga, come tutti gli artisti di genio, conferì alla sua finzione tanta consistenza e concretezza, che le immagini da lui create ottennero lo stesso credito delle cose vive, e nella vita furono ricercate e ricreate.
Egli inventò di sana pianta il dramma, egli ne trovò la linea e gli episodi, i protagonisti e le comparse..."






Senonché - nota ancora Cappellani - nella stesso scritto, De Roberto accenna da una "prima e lontana scintilla" di un fatto reale avvenuto a Catania che avrebbe suggerito a Verga la narrazione del tragico fatto di sangue:

"La portineria di casa Verga ( in via Sant'Anna, n.8 ) era a quel tempo - prima del 1860 - affidata ad una famiglia di palermitani...
Un giorno, stando al balcone, il futuro scrittore appena uscito dall'adolescenza vide il figlio del portinaio titolare attaccare lite con qualcuno, e dalle parole grosse trascorrere improvvisamente  alle mosse minacciose; poi, insultato e minacciato a sua volta, aprire le braccia all'avversario, stringerselo al petto e fare col capo un atto che all'astante parve quello del bacio.
Turbatissimo alla vista della brutta piega presa dalla lite, il giovanetto trasse allora un sospiro di sollievo.
Senonché, chi gli stava vicino lo avvertì del grave inganno; dopo il bacio, uno dei due aveva morsicato l'orecchio all'altro, e ciò significava che si erano sfidati a morte.
Quale fu l'esito del duello, il Verga non lo seppe..."  

lunedì 23 marzo 2020

IL CRATERE DELL'ETNA DI PETER DE WINT


PETER DE WINT, "Cratere dell'Etna", 
da "Sicilian scenery", Londra, 1823 

IL GRANDE INGANNO DEI CENSIMENTI AD ALCAMO DURANTE IL FASCISMO

Una strada del centro di Alcamo.
Fotografia di Josip Ciganovic,
pubblicata nel II volume dell'opera
"Sicilia", edita nel 1961
da Sansoni ed Istituto Geografico De Agostini

"Dopo il nascondiglio di Giuliano, il più grande mistero della Sicilia è la popolazione di Alcamo"

Con questo incipit, il giornalista Crescenzo Guarino - uno dei protagonisti, anni prima, della resistenza antifascista in Campania - diede sagace attacco ad un articolo pubblicato il 26 ottobre del 1949 dal "Corriere della Sera".
Intitolato "Alcamo la città enigma", lo scritto di Guarino rese noto uno di quei tanti episodi di intrallazzo governativo che il regime aveva fatto in modo di sottoporre a censura sui giornali del tempo: l'alterazione dei dati del censimento della popolazione nella cittadina del trapanese.  

"Prima della guerra etiopica, quando il popolo italiano doveva provare la sua grandezza anche facendo quanti più figli era possibile - spiegò così l'enigma Guarino - le gerarchie di Trapani constatarono con gioia prima ma poi con perplessità che in pochi anni la popolazione di Alcamo aveva obbedito un pò troppo alle direttive.
Perché crescere, in quanto 'il numero è potenza', sì ( l'avevano fatto stampigliare anche sulle mura di quel centro ), ma quelli di Alcamo, nonostante il sole e il vino assai forte, esageravano.
In così breve tempo, per esservi stato quell'aumento, le donne, nel loro amore per la patria, avrebbero dovuto avere ogni anno parti da battere quello delle sorelline Dionne ( le 5 gemelle nate nel 1934 in Ontario divenute protagoniste di una sofferta vicenda giudiziaria ed umana, ndr ).


In verità alle gerarchie non sarebbe spiaciuto il poter mostrare a Roma, in uno di quei rapporti famosi, fino a che punto in quel di Trapani si eseguivano fedelmente le 'direttive'.
Ma il fatto era troppo grosso, e poi restava un dubbio.
Alcamo, una delle roccaforti di mafia più colpite dal prefetto Mori, era fra le più esasperate contro il regime.
Che fosse dunque una beffa?
Si indagò, ma non era una beffa.
Comunque il falso c'era e decine di persone vennero processate per avere alterato i dati del censimento.
Fra gli altri, il podestà Fundarò che non si perdé d'animo e chiamò come avvocato Farinacci.
A nulla valse l'argomento che in fondo, aumentando sulla carta la sua popolazione, Alcamo avrebbe potuto finalmente realizzare il suo grande sogno: la sotto prefettura.
Parecchi ebbero pene severe.
Il podestà, riconosciuto del tutto innocente, fu assolto.
Intanto quest'ombra sulla popolazione di Alcamo rimane.
Il "Dizionario Enciclopedico Moderno" ( settima edizione, 1949 ) indica una cifra: 38.396.
La "Guida" del TCI ( del 1919 ) dice invece: 31.765.
E tutto sembrerebbe chiaro perché è evidente che, in trent'anni, cioè dal 1919 al 1949, la popolazione può essere cresciuta.
Ma l'"Annuario Generale", pure del Touring, del 1932-33, dà ad Alcamo 51.194 abitanti, mentre la "Guida" ( sempre del Touring ) del 1928, un numero maggiore ( 63.051 ).


Ora ci si domanda: siccome il 1928 viene prima del 1949 e allora v'era quasi il doppio degli abitanti rispetto alla cifra più recente, come è possibile che in vent'anni essi siano diminuiti della metà, senza bombe nè epidemie?
Insomma: secondo il "Dizionario Enciclopedico" ( 1949 ) e la "Guida" del Touring del 1919, gli abitanti di Alcamo crescono, secondo la "Guida" del Touring del 1928 ( 63.051  abitanti ) e lo stesso "Dizionario" ( che nel 1949 dà 38.396 abitanti ) diminuiscono.
Dov'è dunque la verità?"  

venerdì 20 marzo 2020

EPIDEMIE E RELIGIONE, LA SALVIFICA PREGHIERA ALLA "SANTUZZA"

Fotografia di Letizia Battaglia,
tratta da "Santa Rosalia e la sua gente",
con un testo di Salvo Licata, Palermo, 1987

Come accade in tutte le stagioni di epidemie e pandemie che la storia ricordi - e quella del coronavirus sarà fra queste, la prima anche in Sicilia del secondo millennio - si riscopre in questi giorni la dimensione della quotidianità domestica.
La casa diventa il luogo in cui far scorrere la vita, da soli o in famiglia.
Si mette alla prova la capacità di relazione fra marito e moglie, tra genitori e figli, tra i fratelli e le sorelle; si rivaluta la forza di questi rapporti e la loro fragilità, anche in funzione di quando - chissà quando, e chissà come - tutto questo sarà finito. 
Balconi e finestre permettono i contatti a distanza con l'esterno; anche con i vicini mai frequentati o, sino a pochi giorni fa, mal sopportati.
Le città in cui ci muoviamo hanno ormai da giorni dimensioni comprese fra la porta di casa ed il più vicino supermercato.
In tanti tornano a pregare.
Non nelle chiese - dove le messe sono sospese ( con le lagnanze di qualche sacerdote ) - ma nel chiuso delle pareti domestiche.
Si invoca la fine della epidemia a Dio Onnipotente, al Signore Gesù, a Maria Ausiliatrice, a San Michele, a Santa Rita, a San Rocco, ai Santi Cosma e Damiano ed ad altre figure religiose di venerazione locale.
Catene di orazioni viaggiano in rete, ma non mancano le riunioni carbonare di "gruppi di preghiera" casalinghi che oppongono al rischio del contagio la recita collettiva di rosari e invocazioni.  
Palermo sta ovviamente ricorrendo all'intervento salvifico alla sua "Santuzza": quella Santa Rosalia che, secondo tradizione, liberò la città dalla peste dopo l'attracco al Molo Nord - il 7 maggio del 1624 - di un vascello della "redenzione delli cattivi", ossia del riscatto dei cristiani prigionieri degli "infedeli" in Tunisia.

Fotografia di Melo Minnella.
Opera citata

In quei giorni - scrisse il giureconsulto e diarista Gianfrancesco D'Auria - l'epidemia di peste non svuotò le strade, ma le trasformò in teatro dei famigerati spettacoli dell'Inquisizione:

"Vanno i padri per la città, confessando et communicando li malati di contagio e di questi padri ni sono morti per causa del contagio et travaglio.
L'abito è di tela azola.
I devoti portano collari, catene, teschi di defunti. libbrazzi attaccati a travi et altri simili che a molti parve essere spettaculo della Santa Inquisizione..." 


mercoledì 4 marzo 2020

I VENDITORI AMBULANTI A PALERMO DELLA WILCZYNSKI


KATERINA WILCZYNSKI ( 1894-1986 ), "Venditori ambulanti a Palermo"

martedì 3 marzo 2020

LE REGALI E POSSENTI TORRI DEL DUOMO DI CEFALU'

Una delle due torri
che dominano il prospetto del duomo di Cefalù.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia

Fra tutte le grandi chiese siciliane costruite in età normanna, il duomo di Cefalù è quella che in origine ha rappresentato il più felice connubio tra forme architettoniche ed ambiente naturale.
Il colpo d'occhio offerto dalla costruzione fondata per volontà di Ruggero II offre la visione di un manufatto solidamente ed armoniosamente incastonato fra il mare e la sovrastante rocca rocciosa.
Da un punto di vista architettonico, il duomo cefaludese viene indicato come il più tipico esempio di "ecclesia munita" della Sicilia normanna: quel modello cioè di "chiesa-fortezza" che doveva esaltare pienamente il potere regio dei dominatori cristiani della Sicilia del secolo XII.


Così, le due possenti torri che dominano il prospetto del duomo -    recentemente aperte alle visite - raccontano la natura stessa del potere ruggeriano, fondato sull'ostentata e ben riconoscibile affermazione di un prestigio politico che voleva trarre fondamento dalla difesa di una fede religiosa. 
Tutti gli studiosi di architettura normanna hanno colto la peculiarità costruttiva dell'edificio; ma in maniera più perspicace ed acuta, l'identità del duomo è stata così descritta dal critico letterario e d'arte cefaludese Steno Vazzana:

"Il duomo - si legge in "Cefalù oltre le mura" ( Edizioni dell'ARNIA, 1981, Roma ) - si offre con la visione dei due torrioni e della volta del transetto sud, allineati ad uguale altezza, sicché se ne ricava a colpo d'occhio il rilievo di una forma pressoché cubica, proprio da fortezza, solidamente piantata sul declivio del paese, quasi come una continuazione della massa calcarea della montagna che le fa da sfondo...


E' pur vero che le linee del paesaggio addolciscono molto l'impressione d'insieme, ma non sì da cancellare l'imponente dimostrazione di forza quasi naturale che il monumento spira dalle sue masse angolose, dominanti sul sottostante abitato compatto e dimesso con imperiosità regale... 




In verità si esprime nell'esterno del duomo cefaludese la nordica dignità guerresca di un popolo ancora fedele alle sue origini, giustamente e giovanilmente cosciente della sua missione storica, che dal contatto con il mondo islamico traeva piuttosto elementi di contrasto che di similarità..."