Translate

venerdì 29 marzo 2024

LA PASSIONE DI CRISTO A SAN CATALDO

Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia




 

domenica 24 marzo 2024

I CALENDARI DELLE RONDINI CHE RICORDANO LE PRIMAVERE DI NICOSIA

Fotografie di
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Sulla rocca a ovest della Cattedrale si eleva, maestosa, la chiesa del SS.Salvatore, originariamente realizzata sul finire del XII secolo. Affascina il suo portico esterno a colonne binate, la meridiana e il curioso Calendario delle rondinelle..."

Così nel saggio "Borghi di Sicilia" edito a cura di Fabrizio Ferreri ed Emilio Messina ( Dario Flaccovio Editore, Palermo, 2018 ) si legge uno dei pochi riferimenti letterari ai "Calendari delle rondinelle" visibili sulle mura del portico della chiesa del SS.Salvatore, edificio che guarda dall'alto l'intero comprensorio di Nicosia



Si tratta di curiosi registri trascritti su malta dove furono annotati gli arrivi delle rondini per gran parte del secolo XVIII: avvistamenti che segnalavano l'arrivo della primavera, in anni non ancora stravolti dai cambiamenti del clima. 



E' probabile che l'abitudine di lasciare traccia di queste date sia da mettere in relazione all'importanza rivestita dalla primavera per la rinascita delle attività agricole: una delle fonti di ricchezza per la cittadina dell'ennese che, secoli prima, i Normanni avevano ripopolato di "lombardi" provenienti dal Nord Italia

sabato 16 marzo 2024

IL PREZZO DEL NORD PER I SICILIANI DIVENTATI "STRANIERI SENZA PATRIA"

Partenza di emigranti siciliani da Palermo.
Foto tratta dalla rivista "Il Mediterraneo"
edita dalla Camera di Commercio di Palermo
nel marzo del 1970


Nel dicembre del 1960 Vallecchi Editore pubblicò a Firenze un libro-inchiesta nella collana "Mezzo secolo" curata da Carlo Bo, Enrico Emanuelli e Giancarlo Vigorelli. Il saggio, con una prefazione di Geno Pampaloni, portava il titolo "Il prezzo del nord": una non comune analisi degli scompensi sociali sofferti nelle regioni del Settentrione d'Italia da molti emigrati provenienti dal Mezzogiorno. Nella sola Milano, in quel 1960, se ne contavano 45.000 provenienti dalla Sicilia; si calcola che quelli diretti soprattutto in Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna negli anni Sessanta siano stati 610.000. Negli ultimi dieci anni, l'Isola ha nel frattempo continuato a patire il fenomeno migratorio: sarebbero circa 200.000 i siciliani - per lo più giovani con il possesso di titoli di studio - che hanno trovato occupazione nel Centro-Nord d'Italia ed all'estero. Nel libro-inchiesta di quel lontano 1960, furono raccolte alcune testimonianze di emigrati siciliani incontrati a Milano, Torino e Pavone Canavese. Ne riportiamo tre, a ricordo delle sofferte storie di quelle centinaia di migliaia di isolani diventati allora - per usare la definizione di uno di loro - "stranieri senza patria":  

SEBASTIANO G., disoccupato a Milano

"Venni via dalla Sicilia nel 1951.Prima giunsi a Milano io e stetti da solo quasi un anno. Una volta che ebbi trovato lavoro come manovale e anche la casa feci venire su la moglie e i figli. In Sicilia lavoravo sempre ma non ero mai pagato, facevo il falegname. Da quando sono a Milano faccio un pò di tutto: il manovale e anche il facchino. Il mio maggiore guadagno però è quando faccio le forme per le scarpe, di quelle con la molla che tengono bene la scarpa. In tempo di fortuna riesco a guadagnare anche 600 lire al giorno. A Milano mi trovo come tanti altri compaesani miei. Siamo ormai gente senza patria e si vive dove ci stanno i soldi che ci permettono di vivere"



CARMELO M., anni 41, manovale edile a Milano

"Cosa sono venuto a fare nel Nord, cosa ci rimango a fare. Chiunque mi domanda questa cosa io penso che non ci so rispondere perché mica sono sicuro che mi sistemerò bene anche se qui ci stanno i soldi e ci sta la gente ricca che si diverte e va in giro tutto il giorno. Credete che non la veda? Sicuro che la vedo, lavoro in un cantiere in via Palmanova e vedo la gente che cammina e sale in macchina uscita da belle case. Lavoro in centro dove ci sta la metropolitana e vedo tutte le persone che vanno nei negozi e sono contenti e ridono. Io da quando sono venuto su ho sempre lavorato, prima lavoravo al mio paese anche solo cento o centoventi giornate all'anno. Qui ho lavorato tutti i giorni, meno i primi due mesi quando andavo in giro a chiedere a questo e a quello. Tutti i giorni. So fare bene il mio mestiere e il mio capo dice che deve ancora vederne di uomini come me che sanno impastare bene la calcina, e indovinare subito quale è il mattone da mettere e come lo si deve tagliare per farlo entrare giusto insieme agli altri. Ma anche se lavoro tutti i giorni non prendo mai più di quaranta o quarantacinquemila lire al mese. A Castelvetrano, da dove vengo, prendevo assai meno, certe volte nulla, come già dissi, ma laggiù la vita costava pochissimo e per mangiare si spendeva una miseria. Qui da voi tutto costa caro e il pane e la pasta, la carne la mangiano tutti e si vede che la comprano ma io non so come fanno quelli come me al cantiere e che guadagnano come me. Loro pure la comprano, e prendono soldi come ne prendo io. Mi chiedete se sono contento di essere qui. Non vorrei fare discussioni. Può darsi di sì e può darsi di no. I punti da vedere sono tanti. Certo che quando stavo a campagna al mio paese era una vita assai più misera. E certe volte non si mangiava che pane e fichi, e quando erano le volte anche pane solamente. Ma lì si era tutti uguali. Qui non si è tutti uguali e c'è gente stessa come me che mi dice "terrun", che mi guarda male anche alla mia famiglia. Cosa credete che anch'io non mi sia chiesto da solo se ho fatto bene a venire al Nord, o se ho fatto male. Me lo chiedo tante volte. Ma non so mai cosa rispondere. Forse rispondo che ho fatto bene, che qui almeno lavoro anche se non mi basta per vivere. Non mi importa se mi dicono terrone, se dicono della gelosia e delle donne. Non ci dò risposta e non mi preoccupo. Ma è un'altra cosa quella che mi fa pensare. E' se potrò continuare a vivere così. Io dico che non si può vivere sempre male, che non ci si riesce. Lavorare o non lavorare, avere una busta paga o non averla, che differenza c'è se poi i soldi non ti bastano? Allora lavorare è come non lavorare. Qui ci sta la verdura che costa anche 100 lire l'etto. E l'uva costa 500 lire al chilo quando è la prima stagione. E anche i fichi costano tanto. Qui uno che guadagna quello che guadagno io è come se al mio paese non lavorasse. Fa quasi la stessa vita. Mia moglie non può aiutarmi perché è malata. Ecco come è la mia vita, sempre uguale da quando sono nato. Si può fare qualcosa per cambiarla? Io ci provo, più che lavorare non posso fare. Ma vedo che c'è troppa ingiustizia in giro. Chi ha tutto e chi ha niente. Io sono di quelli che non hanno niente, e se domani mi ammalassi, o cadessi da una scala col carico di mattoni sulle spalle? Chi pensa poi a me e ai miei? Non abbiamo mai avuto soldi da parte. I miei soldi finiscono subito, nel mangiare e quel poco per vestirci e l'affitto. Abito in via Forze Armate, in quella via ci stanno altri due di Castelvetrano e anche loro sono come me ma non ci pensano perché sono sempre contenti a vanno bere all'osteria..." 


  

GIUSEPPE G., 57 anni, lattaio a Milano

"Io vengo da Piazza Armerina, in provincia di Enna, e sono a Milano dal 1925. Al mio paese facevo il calzolaio, non guadagnavo molto anche se avevo il lavoro assicurato e così sono venuto al Nord, in cerca di fortuna. In poche settimane trovai casa e lavoro, dapprima come calzolaio e poi potei acquistare questo negozio e da 7-8 anni faccio il lattaio. Io sono venuto a Milano molto giovane e perciò mi sono adattato senza fatica al nuovo tipo di vita che affrontavo; però, se non avessi avuto fortuna, sarei senz'altro tornato al mio paese. Adesso, io ho là parenti che sono poveri e vivono come delle bestie e vorrebbero venire a Milano: Però se nel Sud ci fosse da lavorare, io ci tornerei e credo che nessuno verrebbe via, perché là il clima è migliore e il paese è più bello e poi là ci sono anche i parenti e gli amici: Ma siccome giù non c'è più niente da fare, non penso nemmeno più a ritornare in Sicilia. Qui invece ci sono molte possibilità di lavoro, e non è nemmeno vero che la gente ce l'abbia con i meridionali. Io qui sto bene, ho la famiglia, gli amici, molti dei quali miei compaesani che come me si sono ben sistemati al Nord ed è talmente tanto tempo che sono qui che quasi mi sento più settentrionale che meridionale"  

mercoledì 13 marzo 2024

FATICHE E SOFFERENZE DEI SALINARI DI TRAPANI

Salinari al lavoro a Trapani.
Foto tratta dalla rivista
"Vie Mediterranee"
edita da Palermo nel settembre del 1959


Si deve a Guido Piovene ed al suo "Viaggio in Italia" ( Arnoldo Mondadori Editore, 1957, Milano ) una non comune descrizione dell'organizzazione del lavoro allora adottata nella raccolta del sale a Trapani. Prima di lui, la narrazione delle saline da parte di viaggiatori e saggisti di passaggio a Trapani si era limitata a sottolineare la suggestione del paesaggio, ignorando la durissima opera dei salinari. Daniel Simond, ad esempio, pochi mesi prima aveva scritto in "Sicilia" ( Edizioni Salvatore Sciascia, Caltanissetta-Roma, 1956 ):

"Il sole ed il vento agevolano l'evaporazione, trasformando queste lagune in altrettante tovaglie abbaglianti di neve. Gli operai, a loro volta, ammucchiano il sale in coni cristallini. Tutto questo candore, aggiunto al volo dei gabbiani, alle vele che solcano il vicino mare, al bianco delle case che in esso si specchiano, dona a Trapani un aspetto singolarissimo..."



Ben più attento alle condizioni di impiego degli operai impegnati nelle saline è il racconto di Piovene:

"I lavoratori del sale sono divisi quasi in due caste distinte, i trapanesi addetti alle saline tutto l'anno, e gli stagionali, braccianti agricoli provenienti dalle campagne circostanti per la raccolta. L'andamento di una salina è molto simile del resto a quello di un'azienda agricola, con un fattore responsabile, che prende il nome di curatolo. Fissi o stagionali che siano, i lavoratori del sale devono possedere una grande robustezza fisica, ed essere immunizzati per abitudine dagli effetti nocivi.



Infatti il sale si trasporta per lunghi tratti a spalla, chiuso in grossi sacchi e di corsa, perché il compenso è a cottimo; e l'acqua delle salamoie, che corrode e brucia, copre di piaghe i piedi degli inesperti, come in tempo di guerra coi lavoratori avventizi..."

domenica 10 marzo 2024

LO SPOPOLAMENTO DI POLLINA, IL "PITTORESCO BORGO" DI CESARE BRANDI

Scena di vita quotidiana a Pollina
negli anni Sessanta dello scorso secolo.
Fotografia tratta dalla rivista
"Palermo", edita dalla Provincia di Palermo
nel giugno del 1965


"Pittoresco borgo" definì Pollina lo storico dell'arte Cesare Brandi, dando lustro al piccolo comune delle Madonie abbarbicato in piena solitudine a 760 metri sul livello del mare. Qui la torre del castello venne utilizzata nel 1548 dal matematico ed astronomo messinese Francesco Maurolico per l'osservazione del cielo e la correzione delle tavole Alfonsine, le Effemeridi astronomiche del suo tempo.

Tre secoli dopo, Vito Amico lo descrisse come un paese "fondato nella vetta di un monte, che soprastando sugli altri alla spiaggia aquilonare della Sicilia, sovraneggia a tutta la regione ed all'opposto mar Tirreno..."

Insieme a Castelbuono, Pollina ha conservato per lungo tempo il primato siciliano nella produzione della manna, un prodotto che sino alla vigilia del secondo dopoguerra veniva coltivato in una ventina di comuni del palermitano e del trapanese. Come tanti altri centri montani, oggi Pollina soffre gli effetti dello spopolamento, qui accentuato dallo sviluppo turistico e commerciale del sottostante centro abitato di Finale di Pollina, lungo la statale 113. Nel giugno del 1993, uno sciame sismico provocò nel vecchio centro storico il crollo di alcune palazzine e seri danni al patrimonio monumentale: una calamità naturale che accrebbe allora il numero di famiglie che decisero di abbandonare il "pittoresco borgo" descritto anni prima da Brandi

mercoledì 6 marzo 2024

L'ELOGIO DEL FICODINDIA DEL SIGNOR BUCAN

Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Nel corso del suo viaggio in Sicilia, nell'estate del 1891, lo scrittore francese René Bazin ebbe modo di notare la diffusione del ficodindia: una pianta capace di crescere spontaneamente nei luoghi più inaccessibili ed imprevedibili di campagne e città. Da un ex ufficiale francese - il signor Bucan, procuratore generale dei beni in Sicilia del duca d'Aumale - Bazin apprese le virtù di questa specie botanica e dei suoi frutti, ancora più gustosi se mangiati dopo una pioggia: 

"Con una ventina di fichidindia, il valore di due soldi forse, e un pò di pane - si legge nell'opera di Bazin "Sicilia. Bozzetti italiani" ( Edizioni e Ristampe Siciliane, Palermo, 1979 ) - un siciliano trova la maniera di fare la prima colazione, di pranzare, di cenare e di cantare nell'intervallo. Sono freschi, sono sani. Avvolti in carta sottile, si conservano fino ad aprile. Non è quindi un frutto prezioso? L'albero non lo è di meno. Difende i nostri vigneti e i nostri campi di grano come nessun roveto e barriera lo può fare. La pala, affettata, viene data al bestiame in inverno. I rami malati servono da lettiera. Nulla si perde del ficodindia..."

LA PRIMA PIETRA DI GIBELLINA NUOVA

La posa della prima pietra
di Gibellina Nuova.
Fotografia tratta da "Il Mediterraneo",
opera citata


La mattina del primo febbraio del 1973 - cinque anni dopo il terremoto che aveva distrutto il vecchio paese di circa 6.000 abitanti - il sindaco di Gibellina Ludovico Corrao pose la prima pietra e sparse mucchi di terra nel luogo in cui ebbe inizio la costruzione del nuovo centro abitato. Il sito era quello di contrada Salinella, a distanza di 18 chilometri dalle rovine dell'originaria Gibellina. L'evento venne immortalato dallo scatto riproposto nel post e tratto dalla rivista "Il Mediterraneo", edita dalla Camera di Commercio di Palermo nel febbraio del 1973. Nella didascalia che accompagnò allora la fotografia si legge:

"Corrao ha sottolineato che la manifestazione, indetta dal consiglio comunale, che ha approvato il piano di opere per il trasferimento totale dell'abitato, non vuole essere soltanto un simbolo ma un momento di lotta. Ha annunciato inoltre che l'elaborazione del piano di attuazione avverrà in stretto contatto e collaborazione con l'amministrazione comunale, quale espressione della volontà popolare"