Elda Barbieri, moglie di Mauro De Mauro. Le fotografie ed il testo riproposto da ReportageSicilia sono tratti dalla settimanale "Domenica del Corriere" pubblicato il 13 giugno del 1972 |
Il prossimo anno ricorrerà a Palermo il mezzo secolo dalla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro.
Decennio dopo decennio, la verità sulla sorte del cronista de "l'Ora" è precipitata in quel pozzo senza fondo dei misteri carichi di ambiguità di tanta cronaca siciliana.
Di questa circostanza diede già conto Giuliana Saladino, nel saggio "De Mauro, una cronaca palermitana", edito nel 1971 da Feltrinelli.
Dopo avere ricostruito un diario giornaliero dei fatti che anticiparono e seguirono il rapimento, la Saladino concluse il suo libro con questa amara constatazione:
"Ogni brandello di novità ha gettato nuovo buio sulla vicenda, ogni filo di notizia ha contraddetto e ingarbugliato tutto il resto"
Fra le persone che più tenacemente hanno cercato la verità sulla scomparsa di Mauro De Mauro vi sono stati, ovviamente, i familiari; e, fra questi - soprattutto - la moglie Elda Barbieri, scomparsa a Roma nel febbraio del 2018.
In questo post, ReportageSicilia ripropone integralmente un suo scritto pubblicato il 13 giugno del 1972 dal settimanale "Domenica del Corriere": una sorta di "memoriale" - così lo presentò allora il periodico - nel quale Elda De Mauro annunciava la costituzione in parte civile, insieme alla figlia Junia, nel processo istruttorio a carico del consulente finanziario e commercialista palermitano Antonino Buttafuoco ( l'anziano professionista che nei giorni successivi alla scomparsa del giornalista si offrì come mediatore per consentire il ritorno a casa del giornalista ).
L'avvocato della famiglia De Mauro, Giuseppe Lupis, chiese allora al giudice Mario Fratantonio un supplemento di indagini con l'audizione di un'ottantina di persone; lista che comprendeva i nomi di alcuni politici regionali, dell'editore palermitano Fausto Flaccovio e di Italo Mattei, fratello di Enrico, morto il 26 settembre del 1962 nell'attentato di Bascapè.
Lo scritto di Elda De Mauro ricostruisce i contatti avuti nei giorni successivi al rapimento con Buttafuoco; un racconto che rivela i sentimenti contrastanti - speranza, attesa, scoramento, paura e incertezza - di una moglie decisa comunque a conoscere la verità sulla sparizione del marito.
Da un lato, il suo testo suggerisce la speranza di potere ricostruire l'accaduto, grazie a nuovi elementi di conoscenza sul sequestro e sul ruolo in esso ricoperto "da importanti personaggi"; dall'altro, Elda De Mauro - per anni insegnante di educazione fisica a Palermo - non nasconde l'amarezza per l'inatteso trasferimento a Roma deciso dal ministero della Pubblica Istruzione.
Nel suo memoriale, infine, la moglie del cronista de "l'Ora" sottolinea il suo legame con Palermo e con quella Sicilia matrigna che gli ha tuttavia trasmesso - scrive - "la fierezza che porta a non accettare i soprusi".
In nome di quell'orgoglio, Elda De Mauro si dice pure pronta a farsi giustizia da sola contro i responsabili della scomparsa del marito.
Mezzo secolo dopo, la contorta storia del "caso De Mauro" - chiusa da una sentenza della prima sezione penale della Cassazione che nel 2015 ha definitivamente prosciolto Salvatore Riina dall'accusa di essere stato il mandante della scomparsa - dimostra che le speranze coltivate per 48 anni da Elda De Mauro non hanno trovato ancor oggi alcun seguito.
IL MEMORIALE DI ELDA DE MAURO
"A un anno e nove mesi da quella drammatica notte del 16 settembre 1970, in cui mio marito venne rapito e fatto sparire nel nulla, io e mia figlia Junia abbiamo deciso di rompere gli indugi e di costituirci parte civile contro gli sconosciuti autori del sequestro che, come si ricorderà, avvenne proprio sotto le finestre di casa nostra, a Palermo.
Questa decisione è maturata in seguito al desiderio di essere presenti come parti attive in una prevedibile imminente svolta delle indagini, che sarò possibile in base ad alcuni importanti elementi nuovi venuti in possesso nostro e degli inquirenti negli ultimi tempi.
Naturalmente, non posso dire quali siano questi fatti nuovi, perché violerei il segreto istruttorio e recherei danno al proseguimento delle indagini.
Posso tuttavia precisare che si tratta di elementi che potrebbero arrivare a spiegare il perché mio marito è stato sequestrato e che comportano gravi responsabilità per alcuni personaggi molto noti.
E' indubbio, ad ogni modo, che tutto questo si riferisce alle ricerche che mio marito stava facendo per conto del regista Francesco Rosi sulle ultime due giornate di vita in Sicilia del presidente dell'ENI, Enrico Mattei.
D'altra parte, in quel periodo lui non si occupava di nessuna altra inchiesta importante.
Sui traffici della droga non seguiva più niente dal 1968.
E poi si trattava di droga così, per modo di dire.
Anche della mafia, quella tradizionale, non scriveva più da almeno due anni.
Restava, insomma, soltanto il 'caso Mattei', sul quale doveva avere scoperto qualcosa di veramente importante, qualcosa che avrebbe fatto grande scalpore.
Purtroppo, in quel periodo, contrariamente al mio solito, non seguivo il suo lavoro in quanto ero tutta presa dall'insegnamento e dai preparativi di nozze della nostra figlia.
La nostra costituzione a parte civile ha anche un altro scopo, quello di consentire al nostro legale, l'avvocato Giuseppe Lupis, di seguire più da vicino il corso delle indagini, chiedendo la citazione di nuovi testi e un supplemento di interrogatorio di alcuni personaggi, tra cui il procuratore legale Nino Buttafuoco, che finora si sono dimostrati reticenti o contraddittori.
Nei giorni successivi la sparizione di mio marito, Buttafuoco si fece vivo con me, chiedendo notizie di Mauro e rassicurandoci con mezze frasi sulla sua sorte.
In un primo momento, forse anche per lo stato di disperazione e di ansia in cui mi trovavo, credetti molto in lui, anche se quel suo modo di agire lasciava adito a molte perplessità.
E' da tenere presente che non era un amico di famiglia e un intimo di casa, ma soltanto il nostro consulente fiscale, per cui era piuttosto singolare che si interessasse tanto di quello che ci stava succedendo.
GLI STRANISSIMI APPUNTAMENTI
Gli prestai quindi ascolto, nonostante lo strano discorso che mi fece la sera del 20 settembre ( quattro giorni dopo la scomparsa ).
'Non si preoccupi per Mauro' - mi disse - 'forse alcune persone che vengono da fuori Palermo dovranno incontralo e parlargli.
Sa, Mauro non è stato molto attento negli ultimi tempi'
Poi aggiunse:
'Se lei mi avesse avvertito subito, appena è sparito, cinque minuti dopo avrebbe riavuto Mauro a casa'
Rimasi senza fiato.
'Oh Dio' - mormorai non appena mi ripresi dallo stupore - ma perché avrei dovuto avvertire proprio lei?'
Lui non rispose, ma ripeté:
'Se lei mi avesse avvisato, nel giro di cinque minuti Mauro sarebbe ritornato a casa'
Prima di andarsene, però, volle rassicurami:
'Ho incontrato i due amici che mi hanno baciato tre volte e mi hanno detto che faranno tutto il possibile perché l'affare del giornalista abbia buon esito'
E mi chiese se io o la polizia avessimo trovato qualcosa tra le carte di mio marito o comunque fossimo venuti a conoscenza di qualche notizia utile per salvare Mauro.
Naturalmente, avvertii gli inquirenti di questo misterioso atteggiamento del Buttafuoco e venni consigliata di dargli corda, nell'eventualità che lui potesse veramente adoperarsi per il rilascio di mio marito.
Ai quei primi contatti, seguirono altri, per telefono o per stranissimi appuntamenti.
Risulterà poi che tutti i colloqui venivano controllati scientificamente dalla polizia, che seguiva ogni mio spostamento.
Dopo quel primo contatto, Buttafuoco mi telefonò nuovamente che 'con l'aiuto degli esperti, dopo avere guardato la pratica, va tutto bene al 98 per cento'.
In seguito, mi fece sapere:
'Forse, c'è qualcuno che deve parlare con Mauro, ma il posto in cui si trova non è sicuro.
Devo sentire una persona di Palma di Montechiaro, a me molto devota, che mi darà notizie precise'
Dietro mia richiesta, affermò che i rapitori non sarebbero mai stati identificati perché si trovavano molto lontano, avendo già riscosso il compenso pattuito.
A mio cognato Tullio, poi, spiegò:
'Ho letto la pratica e i documenti del vostro affare, ho trovato qualche difficoltà, ma grazie all'aiuto di alcuni esperti, tutto è ormai chiarito.
L'affare si mette bene e si concluderà positivamente al novantotto-novantanove per cento.
C'è un medico che deve venire da fuori per visitare il malato e solo dopo la sua visita si potrà concludere l'affare'
In pratica, per tre settimane noi facemmo tutto quello che Buttafuoco ci chiedeva: prima aveva voluto copia della registrazione di un nastro che era giunto per posta al giornale di mio marito e in cui si ascoltava una voce che diceva:
'De Mauro è vivo, non gli facciamo alcun male.
Speriamo che si arrangi.
Vogliamo solo chiacchieragli bene'
Poi volle la fotocopia della busta entro la quale era arrivato il nastro.
Infine, insistette perché mi recassi dal questore a chiedere informazioni.
Voleva sapere i nomi sui quali indagava la polizia, mentre non gli interessava niente, ad esempio, di quello che facevano i carabinieri.
'Si faccia dare i nomi' - diceva - a lei debbono darli.
Non si preoccupi, vada e chieda i nomi, poi li porti a me.
Si fidi, si fidi'
L'APPELLO ALLA TELEVISIONE
Questo tira e molla, che ora può apparire assurdo ma che allora rappresentava per me l'esile speranza di potere rivedere mio marito sano e salvo, durò fino al 7 ottobre.
La mattina di quel giorno, telefonai a Buttafuoco per accordarmi sul luogo in cui avremmo dovuto vederci, ma non lo trovai.
Il pomeriggio richiamai la sua segretaria e lei mi comunicò il messaggio che lui le aveva lasciato per me.
Diceva:
'La signora vada subito al solito treno'
Purtroppo, non riuscivo a capire che cosa significasse: dovevo andare alla stazione?
Quale treno dovevo aspettare?
Richiamai la segretaria, la quale mi disse di recarmi immediatamente in casa di Buttafuoco.
Vi andai subito, ma lui si dimostrò scostante, nervoso.
Eluse tutte le nostre domande, rimase a lungo in silenzio.
Da quel momento i nostri rapporti si interruppero.
Delusa dal comportamento di colui dal quale avevo sperato la salvezza di mio marito e disperata perché le indagini non progredivano, tentai un'altra carta.
Mi rivolsi al cuore di Palermo, indirizzando una lunga lettera al giornale di Mauro e leggendo un appello alla radio e alla televisione: pregavo chiunque fosse stato in possesso di una qualsiasi notizia utile di fornirla senza indugio alla magistratura.
Purtroppo, anche questo tentativo cadde nel vuoto.
Il 19 ottobre ci fu l'arresto di Buttafuoco.
Durante i lunghi interrogatori, in cui gli vennero contestati questo suo strano modo di agire e le gravi ammissioni fatte, lui si dimostrò abilissimo.
Sostenne di aver agito così per divertirsi, lasciò capire che il suo comportamento era stato dettato dal sadico gusto di vivere da attore un evento così drammatico per Palermo.
Accettò senza battere ciglio il rischio di essere considerato un folle.
Tutto fa pensare che Buttafuoco sia stato costretto a svolgere un gioco per conto di qualcuno.
Secondo me, è stato usato contro la sua volontà, mandato allo sbaraglio da persone molto potenti che volevano essere tenute al corrente di quello che sapevamo sia noi, in famiglia, sia gli inquirenti.
La prima volta che si è fatto vivo, del resto, era sconvolto quanto noi, poi si è ripreso e ha svolto il suo compito come ha potuto.
Alla fine, dovendo giustificare il suo modo di comportarsi senza poter compromettere nessuno, ha dovuto fingere un eccesso di sadismo e di follia, contro il quale invano hanno urtato gli sforzi degli inquirenti per venire a capo di qualche notizia utile.
Così, pur schiacciato da indizi gravissimi, venne rilasciato a piede libero, con la giustificazione della tarda età e della salute malferma, probabilmente nella convinzione che servisse più fuori che dentro.
Ora che ci siamo costituiti parte civile, penso che tutto il suo comportamento di allora potrà essere riveduto.
Anche perché il nostro avvocato chiederà che vengano sentiti nuovi testi, e dovrà essere messo al corrente del punto in cui si trova l'inchiesta.
Avremo, insomma, la possibilità di influire sul corso delle indagini.
Finché sono stata a Palermo, infatti, ero sempre al corrente delle persone che il giudice interrogava e a mia volta fornivo agli inquirenti ogni notizia che ritenevo utile.
E' stato scritto, e molti ancora lo credono, che ci sia stata una specie di sabotaggio nei confronti delle indagini svolte dai carabinieri, il cui rapporto sarebbe stato tenuto in frigorifero dalla Procura della repubblica di Palermo.
In realtà, la supposizione è infondata in quanto il rapporto passò subito all'esame del giudice istruttore.
A Roma, invece, mi sento tagliata fuori e mi sono stancata un pò di questa attesa senza elementi precisi di riferimento.
Tanto più in un momento come questo in cui intuisco che sta per accadere qualcosa di importante.
LA RACCOMANDATA DEL MINISTERO
Il mio trasferimento a insegnare in una scuola della capitale, d'altra parte, è stato un altro motivo di profonda amarezza per me.
Me lo comunicarono il 28 novembre 1971, con una raccomandata del ministero della Pubblica Istruzione.
Così, al trauma della sparizione di mio marito si aggiunsero il trauma di dover lasciare una casa e una città in cui avevo vissuto ventiquattro anni e alle quali ero affezionatissima perché cariche di ricordi e di emozioni che mi ricollegavano a un periodo felice e troncato così tragicamente che quasi ancora non so rendermene conto.
E' difficile da spiegare, ma certe volte, nella nostra casa di Palermo, io riuscivo ancora ad illudermi che mio marito fosse assente per un lungo servizio e che da un momento all'altro sarebbe ritornato.
Qui a Roma è diverso.
Lo spazio delle illusioni si è ristretto.
C'è inoltre la realtà di una vita non certo facile da affrontare.
In pratica, io e mia figlia Junia, a ventun mesi dal sequestro di Mauro, continuiamo a trovarci isolate, disancorate da una realtà che non sappiamo ancora bene quale sia.
L'ultimo motivo di disagio l'abbiamo provato con l'uscita del film 'Il caso Mattei' di Francesco Rosi.
Il regista, che prese visione di tutti gli appunti che aveva raccolto mio marito, non si è neppure sentito in dovere di citare il suo nome nel cast dei collaboratori.
Queste, sia chiaro, non sono accuse.
Il mondo è fatto così, dappertutto.
Io, comunque, non intendo darmi per vinta e ho provato la sensazione che entro breve tempo riuscirò per lo meno a sapere che fine ha fatto mio marito.
Del resto, penso che anche il giudice istruttore, dottor Fratantonio, sia di questo avviso.
Fin dall'inizio dell'istruttoria, mi ha assicurato che non avrebbe guardato in faccia a nessuno, che avrebbe compiuto sino in fondo il suo dovere, a qualunque costo, chiunque vi fosse implicato.
E io gli credo.
Se però mi accorgessi che questo non avviene dichiaro fin d'ora che sono pronta a farmi giustizia da sola.
La Sicilia mi ha tolto il marito, ma dalla Sicilia, io che sono nata a Stradella nell'Olprepò pavese, ho assimilato la fierezza che porta a non accettare i soprusi".
Gli prestai quindi ascolto, nonostante lo strano discorso che mi fece la sera del 20 settembre ( quattro giorni dopo la scomparsa ).
'Non si preoccupi per Mauro' - mi disse - 'forse alcune persone che vengono da fuori Palermo dovranno incontralo e parlargli.
Sa, Mauro non è stato molto attento negli ultimi tempi'
Poi aggiunse:
'Se lei mi avesse avvertito subito, appena è sparito, cinque minuti dopo avrebbe riavuto Mauro a casa'
Rimasi senza fiato.
'Oh Dio' - mormorai non appena mi ripresi dallo stupore - ma perché avrei dovuto avvertire proprio lei?'
Lui non rispose, ma ripeté:
'Se lei mi avesse avvisato, nel giro di cinque minuti Mauro sarebbe ritornato a casa'
Prima di andarsene, però, volle rassicurami:
'Ho incontrato i due amici che mi hanno baciato tre volte e mi hanno detto che faranno tutto il possibile perché l'affare del giornalista abbia buon esito'
E mi chiese se io o la polizia avessimo trovato qualcosa tra le carte di mio marito o comunque fossimo venuti a conoscenza di qualche notizia utile per salvare Mauro.
Naturalmente, avvertii gli inquirenti di questo misterioso atteggiamento del Buttafuoco e venni consigliata di dargli corda, nell'eventualità che lui potesse veramente adoperarsi per il rilascio di mio marito.
Ai quei primi contatti, seguirono altri, per telefono o per stranissimi appuntamenti.
Risulterà poi che tutti i colloqui venivano controllati scientificamente dalla polizia, che seguiva ogni mio spostamento.
Dopo quel primo contatto, Buttafuoco mi telefonò nuovamente che 'con l'aiuto degli esperti, dopo avere guardato la pratica, va tutto bene al 98 per cento'.
In seguito, mi fece sapere:
'Forse, c'è qualcuno che deve parlare con Mauro, ma il posto in cui si trova non è sicuro.
Devo sentire una persona di Palma di Montechiaro, a me molto devota, che mi darà notizie precise'
Dietro mia richiesta, affermò che i rapitori non sarebbero mai stati identificati perché si trovavano molto lontano, avendo già riscosso il compenso pattuito.
A mio cognato Tullio, poi, spiegò:
'Ho letto la pratica e i documenti del vostro affare, ho trovato qualche difficoltà, ma grazie all'aiuto di alcuni esperti, tutto è ormai chiarito.
L'affare si mette bene e si concluderà positivamente al novantotto-novantanove per cento.
C'è un medico che deve venire da fuori per visitare il malato e solo dopo la sua visita si potrà concludere l'affare'
In pratica, per tre settimane noi facemmo tutto quello che Buttafuoco ci chiedeva: prima aveva voluto copia della registrazione di un nastro che era giunto per posta al giornale di mio marito e in cui si ascoltava una voce che diceva:
'De Mauro è vivo, non gli facciamo alcun male.
Speriamo che si arrangi.
Vogliamo solo chiacchieragli bene'
Poi volle la fotocopia della busta entro la quale era arrivato il nastro.
Infine, insistette perché mi recassi dal questore a chiedere informazioni.
Voleva sapere i nomi sui quali indagava la polizia, mentre non gli interessava niente, ad esempio, di quello che facevano i carabinieri.
'Si faccia dare i nomi' - diceva - a lei debbono darli.
Non si preoccupi, vada e chieda i nomi, poi li porti a me.
Si fidi, si fidi'
L'APPELLO ALLA TELEVISIONE
Questo tira e molla, che ora può apparire assurdo ma che allora rappresentava per me l'esile speranza di potere rivedere mio marito sano e salvo, durò fino al 7 ottobre.
La mattina di quel giorno, telefonai a Buttafuoco per accordarmi sul luogo in cui avremmo dovuto vederci, ma non lo trovai.
Il pomeriggio richiamai la sua segretaria e lei mi comunicò il messaggio che lui le aveva lasciato per me.
Diceva:
'La signora vada subito al solito treno'
Purtroppo, non riuscivo a capire che cosa significasse: dovevo andare alla stazione?
Quale treno dovevo aspettare?
Richiamai la segretaria, la quale mi disse di recarmi immediatamente in casa di Buttafuoco.
Vi andai subito, ma lui si dimostrò scostante, nervoso.
Eluse tutte le nostre domande, rimase a lungo in silenzio.
Da quel momento i nostri rapporti si interruppero.
Delusa dal comportamento di colui dal quale avevo sperato la salvezza di mio marito e disperata perché le indagini non progredivano, tentai un'altra carta.
Mi rivolsi al cuore di Palermo, indirizzando una lunga lettera al giornale di Mauro e leggendo un appello alla radio e alla televisione: pregavo chiunque fosse stato in possesso di una qualsiasi notizia utile di fornirla senza indugio alla magistratura.
Purtroppo, anche questo tentativo cadde nel vuoto.
Il 19 ottobre ci fu l'arresto di Buttafuoco.
Durante i lunghi interrogatori, in cui gli vennero contestati questo suo strano modo di agire e le gravi ammissioni fatte, lui si dimostrò abilissimo.
Sostenne di aver agito così per divertirsi, lasciò capire che il suo comportamento era stato dettato dal sadico gusto di vivere da attore un evento così drammatico per Palermo.
Accettò senza battere ciglio il rischio di essere considerato un folle.
Tutto fa pensare che Buttafuoco sia stato costretto a svolgere un gioco per conto di qualcuno.
Secondo me, è stato usato contro la sua volontà, mandato allo sbaraglio da persone molto potenti che volevano essere tenute al corrente di quello che sapevamo sia noi, in famiglia, sia gli inquirenti.
La prima volta che si è fatto vivo, del resto, era sconvolto quanto noi, poi si è ripreso e ha svolto il suo compito come ha potuto.
Alla fine, dovendo giustificare il suo modo di comportarsi senza poter compromettere nessuno, ha dovuto fingere un eccesso di sadismo e di follia, contro il quale invano hanno urtato gli sforzi degli inquirenti per venire a capo di qualche notizia utile.
Così, pur schiacciato da indizi gravissimi, venne rilasciato a piede libero, con la giustificazione della tarda età e della salute malferma, probabilmente nella convinzione che servisse più fuori che dentro.
Ora che ci siamo costituiti parte civile, penso che tutto il suo comportamento di allora potrà essere riveduto.
Anche perché il nostro avvocato chiederà che vengano sentiti nuovi testi, e dovrà essere messo al corrente del punto in cui si trova l'inchiesta.
Avremo, insomma, la possibilità di influire sul corso delle indagini.
Finché sono stata a Palermo, infatti, ero sempre al corrente delle persone che il giudice interrogava e a mia volta fornivo agli inquirenti ogni notizia che ritenevo utile.
E' stato scritto, e molti ancora lo credono, che ci sia stata una specie di sabotaggio nei confronti delle indagini svolte dai carabinieri, il cui rapporto sarebbe stato tenuto in frigorifero dalla Procura della repubblica di Palermo.
In realtà, la supposizione è infondata in quanto il rapporto passò subito all'esame del giudice istruttore.
A Roma, invece, mi sento tagliata fuori e mi sono stancata un pò di questa attesa senza elementi precisi di riferimento.
Tanto più in un momento come questo in cui intuisco che sta per accadere qualcosa di importante.
LA RACCOMANDATA DEL MINISTERO
Il mio trasferimento a insegnare in una scuola della capitale, d'altra parte, è stato un altro motivo di profonda amarezza per me.
Me lo comunicarono il 28 novembre 1971, con una raccomandata del ministero della Pubblica Istruzione.
Così, al trauma della sparizione di mio marito si aggiunsero il trauma di dover lasciare una casa e una città in cui avevo vissuto ventiquattro anni e alle quali ero affezionatissima perché cariche di ricordi e di emozioni che mi ricollegavano a un periodo felice e troncato così tragicamente che quasi ancora non so rendermene conto.
E' difficile da spiegare, ma certe volte, nella nostra casa di Palermo, io riuscivo ancora ad illudermi che mio marito fosse assente per un lungo servizio e che da un momento all'altro sarebbe ritornato.
Qui a Roma è diverso.
Lo spazio delle illusioni si è ristretto.
C'è inoltre la realtà di una vita non certo facile da affrontare.
In pratica, io e mia figlia Junia, a ventun mesi dal sequestro di Mauro, continuiamo a trovarci isolate, disancorate da una realtà che non sappiamo ancora bene quale sia.
L'ultimo motivo di disagio l'abbiamo provato con l'uscita del film 'Il caso Mattei' di Francesco Rosi.
Il regista, che prese visione di tutti gli appunti che aveva raccolto mio marito, non si è neppure sentito in dovere di citare il suo nome nel cast dei collaboratori.
Queste, sia chiaro, non sono accuse.
Il mondo è fatto così, dappertutto.
Io, comunque, non intendo darmi per vinta e ho provato la sensazione che entro breve tempo riuscirò per lo meno a sapere che fine ha fatto mio marito.
Del resto, penso che anche il giudice istruttore, dottor Fratantonio, sia di questo avviso.
Fin dall'inizio dell'istruttoria, mi ha assicurato che non avrebbe guardato in faccia a nessuno, che avrebbe compiuto sino in fondo il suo dovere, a qualunque costo, chiunque vi fosse implicato.
E io gli credo.
Se però mi accorgessi che questo non avviene dichiaro fin d'ora che sono pronta a farmi giustizia da sola.
La Sicilia mi ha tolto il marito, ma dalla Sicilia, io che sono nata a Stradella nell'Olprepò pavese, ho assimilato la fierezza che porta a non accettare i soprusi".