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mercoledì 30 ottobre 2019

IL MEMORIALE DELLE TRADITE SPERANZE DI ELDA DE MAURO

Elda Barbieri, moglie di Mauro De Mauro.
Le fotografie ed il testo riproposto da ReportageSicilia
sono tratti dalla settimanale "Domenica del Corriere"
pubblicato il 13 giugno del 1972

Il prossimo anno ricorrerà a Palermo il mezzo secolo dalla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro.
Decennio dopo decennio, la verità sulla sorte del cronista de "l'Ora" è precipitata in quel pozzo senza fondo dei misteri carichi di ambiguità di tanta cronaca siciliana.
Di questa circostanza diede già conto Giuliana Saladino, nel saggio "De Mauro, una cronaca palermitana", edito nel 1971 da Feltrinelli.
Dopo avere ricostruito un diario giornaliero dei fatti che anticiparono e seguirono il rapimento, la Saladino concluse il suo libro con questa amara constatazione: 

"Ogni brandello di novità ha gettato nuovo buio sulla vicenda, ogni filo di notizia ha contraddetto e ingarbugliato tutto il resto" 

Fra le persone che più tenacemente hanno cercato la verità sulla scomparsa di Mauro De Mauro vi sono stati, ovviamente, i familiari; e, fra questi - soprattutto - la moglie Elda Barbieri, scomparsa a Roma nel febbraio del 2018.
In questo post, ReportageSicilia ripropone integralmente un suo scritto pubblicato il 13 giugno del 1972 dal settimanale "Domenica del Corriere": una sorta di "memoriale" - così lo presentò allora il periodico - nel quale Elda De Mauro annunciava la costituzione in parte civile, insieme alla figlia Junia, nel processo istruttorio a carico del consulente finanziario e commercialista palermitano Antonino Buttafuoco ( l'anziano professionista che nei giorni successivi alla scomparsa del giornalista si offrì come mediatore per consentire il ritorno a casa del giornalista ).
L'avvocato della famiglia De Mauro, Giuseppe Lupis, chiese allora al giudice Mario Fratantonio un supplemento di indagini con l'audizione di un'ottantina di persone; lista che comprendeva i nomi di alcuni politici regionali, dell'editore palermitano Fausto Flaccovio e di Italo Mattei, fratello di Enrico, morto il 26 settembre del 1962 nell'attentato di Bascapè.
Lo scritto di Elda De Mauro ricostruisce i contatti avuti nei giorni successivi al rapimento con Buttafuoco; un racconto che rivela i sentimenti contrastanti - speranza, attesa, scoramento, paura e incertezza - di una moglie decisa comunque a conoscere la verità sulla sparizione del marito.



Da un lato, il suo testo suggerisce  la speranza di potere ricostruire l'accaduto, grazie a nuovi elementi di conoscenza sul sequestro e sul ruolo in esso ricoperto "da importanti personaggi"; dall'altro, Elda De Mauro - per anni insegnante di educazione fisica a Palermo - non nasconde l'amarezza per l'inatteso trasferimento a Roma deciso dal ministero della Pubblica Istruzione.
Nel suo memoriale, infine, la moglie del cronista de "l'Ora" sottolinea il suo legame con Palermo e con quella Sicilia matrigna che gli ha tuttavia trasmesso - scrive - "la fierezza che porta a non accettare i soprusi".
In nome di quell'orgoglio, Elda De Mauro si dice pure pronta a farsi giustizia da sola contro i responsabili della scomparsa del marito.
Mezzo secolo dopo, la contorta storia del "caso De Mauro" - chiusa da una sentenza della prima sezione penale della Cassazione che nel 2015 ha definitivamente prosciolto Salvatore Riina dall'accusa di essere stato il mandante della scomparsa - dimostra che le speranze coltivate per 48 anni da Elda De Mauro non hanno trovato ancor oggi alcun seguito.

IL MEMORIALE DI ELDA DE MAURO    
   
"A un anno e nove mesi da quella drammatica notte del 16 settembre 1970, in cui mio marito venne rapito e fatto sparire nel nulla, io e mia figlia Junia abbiamo deciso di rompere gli indugi e di costituirci parte civile contro gli sconosciuti autori del sequestro che, come si ricorderà, avvenne proprio sotto le finestre di casa nostra, a Palermo.
Questa decisione è maturata in seguito al desiderio di essere presenti come parti attive in una prevedibile imminente svolta delle indagini, che sarò possibile in base ad alcuni importanti elementi nuovi venuti in possesso nostro e degli inquirenti negli ultimi tempi.



Naturalmente, non posso dire quali siano questi fatti nuovi, perché violerei il segreto istruttorio e recherei danno al proseguimento delle indagini.
Posso tuttavia precisare che si tratta di elementi che potrebbero arrivare a spiegare il perché mio marito è stato sequestrato e che comportano gravi responsabilità per alcuni personaggi molto noti.
E' indubbio, ad ogni modo, che tutto questo si riferisce alle ricerche che mio marito stava facendo per conto del regista Francesco Rosi sulle ultime due giornate di vita in Sicilia del presidente dell'ENI, Enrico Mattei.
D'altra parte, in quel periodo lui non si occupava di nessuna altra inchiesta importante.
Sui traffici della droga non seguiva più niente dal 1968.
E poi si trattava di droga così, per modo di dire.
Anche della mafia, quella tradizionale, non scriveva più da almeno due anni.
Restava, insomma, soltanto il 'caso Mattei', sul quale doveva avere scoperto qualcosa di veramente importante, qualcosa che avrebbe fatto grande scalpore.
Purtroppo, in quel periodo, contrariamente al mio solito, non seguivo il suo lavoro in quanto ero tutta presa dall'insegnamento e dai preparativi di nozze della nostra figlia.
La nostra costituzione a parte civile ha anche un altro scopo, quello di consentire al nostro legale, l'avvocato Giuseppe Lupis, di seguire più da vicino il corso delle indagini, chiedendo la citazione di nuovi testi e un supplemento di interrogatorio di alcuni personaggi, tra cui il procuratore legale Nino Buttafuoco, che finora si sono dimostrati reticenti o contraddittori.
Nei giorni successivi la sparizione di mio marito, Buttafuoco si fece vivo con me, chiedendo notizie di Mauro e rassicurandoci con mezze frasi sulla sua sorte.
In un primo momento, forse anche per lo stato di disperazione e di ansia in cui mi trovavo, credetti molto in lui, anche se quel suo modo di agire lasciava adito a molte perplessità.
E' da tenere presente che non era un amico di famiglia e un intimo di casa, ma soltanto il nostro consulente fiscale, per cui era piuttosto singolare che si interessasse tanto di quello che ci stava succedendo.

GLI STRANISSIMI APPUNTAMENTI

Gli prestai quindi ascolto, nonostante lo strano discorso che mi fece la sera del 20 settembre ( quattro giorni dopo la scomparsa ).

'Non si preoccupi per Mauro' - mi disse - 'forse alcune persone che vengono da fuori Palermo dovranno incontralo e parlargli.
Sa, Mauro non è stato molto attento negli ultimi tempi'

Poi aggiunse:

'Se lei mi avesse avvertito subito, appena è sparito, cinque minuti dopo avrebbe riavuto Mauro a casa'

Rimasi senza fiato.

'Oh Dio' - mormorai non appena mi ripresi dallo stupore - ma perché avrei dovuto avvertire proprio lei?'

Lui non rispose, ma ripeté:

'Se lei mi avesse avvisato, nel giro di cinque minuti Mauro sarebbe ritornato a casa'

Prima di andarsene, però, volle rassicurami:

'Ho incontrato i due amici che mi hanno baciato tre volte e mi hanno detto che faranno tutto il possibile perché l'affare del giornalista abbia buon esito'

E mi chiese se io o la polizia avessimo trovato qualcosa tra le carte di mio marito o comunque fossimo venuti a conoscenza di qualche notizia utile per salvare Mauro.
Naturalmente, avvertii gli inquirenti di questo misterioso atteggiamento del Buttafuoco e venni consigliata di dargli corda, nell'eventualità che lui potesse veramente adoperarsi per il rilascio di mio marito.
Ai quei primi contatti, seguirono altri, per telefono o per stranissimi appuntamenti.
Risulterà poi che tutti i colloqui venivano controllati scientificamente dalla polizia, che seguiva ogni mio spostamento.
Dopo quel primo contatto, Buttafuoco mi telefonò nuovamente che 'con l'aiuto degli esperti, dopo avere guardato la pratica, va tutto bene al 98 per cento'.
In seguito, mi fece sapere:

'Forse, c'è qualcuno che deve parlare con Mauro, ma il posto in cui si trova non è sicuro.
Devo sentire una persona di Palma di Montechiaro, a me molto devota, che mi darà notizie precise'

Dietro mia richiesta, affermò che i rapitori non sarebbero mai stati identificati perché si trovavano molto lontano, avendo già riscosso il compenso pattuito.
A mio cognato Tullio, poi, spiegò:

'Ho letto la pratica e i documenti del vostro affare, ho trovato qualche difficoltà, ma grazie all'aiuto di alcuni esperti, tutto è ormai chiarito.
L'affare si mette bene e si concluderà positivamente al novantotto-novantanove per cento.
C'è un medico che deve venire da fuori per visitare il malato e solo dopo la sua visita si potrà concludere l'affare'

In pratica, per tre settimane noi facemmo tutto quello che Buttafuoco ci chiedeva: prima aveva voluto copia della registrazione di un nastro che era giunto per posta al giornale di mio marito e in cui si ascoltava una voce che diceva:

'De Mauro è vivo, non gli facciamo alcun male.
Speriamo che si arrangi.
Vogliamo solo chiacchieragli bene'

Poi volle la fotocopia della busta entro la quale era arrivato il nastro.
Infine, insistette perché mi recassi dal questore a chiedere informazioni.
Voleva sapere i nomi sui quali indagava la polizia, mentre non gli interessava niente, ad esempio, di quello che facevano i carabinieri.

'Si faccia dare i nomi' - diceva - a lei debbono darli.
Non si preoccupi, vada e chieda i nomi, poi li porti a me.
Si fidi, si fidi'




L'APPELLO ALLA TELEVISIONE

Questo tira e molla, che ora può apparire assurdo ma che allora rappresentava per me l'esile speranza di potere rivedere mio marito sano e salvo, durò fino al 7 ottobre.
La mattina di quel giorno, telefonai a Buttafuoco per accordarmi sul luogo in cui avremmo dovuto vederci, ma non lo trovai.
Il pomeriggio richiamai la sua segretaria e lei mi comunicò il messaggio che lui le aveva lasciato per me.
Diceva:

'La signora vada subito al solito treno'

Purtroppo, non riuscivo a capire che cosa significasse: dovevo andare alla stazione?
Quale treno dovevo aspettare?
Richiamai la segretaria, la quale mi disse di recarmi immediatamente in casa di Buttafuoco.
Vi andai subito, ma lui si dimostrò scostante, nervoso.
Eluse tutte le nostre domande, rimase a lungo in silenzio.
Da quel momento i nostri rapporti si interruppero.
Delusa dal comportamento di colui dal quale avevo sperato la salvezza di mio marito e disperata perché le indagini non progredivano, tentai un'altra carta.
Mi rivolsi al cuore di Palermo, indirizzando una lunga lettera al giornale di Mauro e leggendo un appello alla radio e alla televisione: pregavo chiunque fosse stato in possesso di una qualsiasi notizia utile di fornirla senza indugio alla magistratura.
Purtroppo, anche questo tentativo cadde nel vuoto.
Il 19 ottobre ci fu l'arresto di Buttafuoco.
Durante i lunghi interrogatori, in cui gli vennero contestati questo suo strano modo di agire e le gravi ammissioni fatte, lui si dimostrò abilissimo.
Sostenne di aver agito così per divertirsi, lasciò capire che il suo comportamento era stato dettato dal sadico gusto di vivere da attore un evento così drammatico per Palermo.
Accettò senza battere ciglio il rischio di essere considerato un folle.
Tutto fa pensare che Buttafuoco sia stato costretto a svolgere un gioco per conto di qualcuno.
Secondo me, è stato usato contro la sua volontà, mandato allo sbaraglio da persone molto potenti che volevano essere tenute al corrente di quello che sapevamo sia noi, in famiglia, sia gli inquirenti.
La prima volta che si è fatto vivo, del resto, era sconvolto quanto noi, poi si è ripreso e ha svolto il suo compito come ha potuto.
Alla fine, dovendo giustificare il suo modo di comportarsi senza poter compromettere nessuno, ha dovuto fingere un eccesso di sadismo e di follia, contro il quale invano hanno urtato gli sforzi degli inquirenti per venire a capo di qualche notizia utile.
Così, pur schiacciato da indizi gravissimi, venne rilasciato a piede libero, con la giustificazione della tarda età e della salute malferma, probabilmente nella convinzione che servisse più fuori che dentro.
Ora che ci siamo costituiti parte civile, penso che tutto il suo comportamento di allora potrà essere riveduto.
Anche perché il nostro avvocato chiederà che vengano sentiti nuovi testi, e dovrà essere messo al corrente del punto in cui si trova l'inchiesta.
Avremo, insomma, la possibilità di influire sul corso delle indagini.
Finché sono stata a Palermo, infatti, ero sempre al corrente delle persone che il giudice interrogava e a mia volta fornivo agli inquirenti ogni notizia che ritenevo utile.
E' stato scritto, e molti ancora lo credono, che ci sia stata una specie di sabotaggio nei confronti delle indagini svolte dai carabinieri, il cui rapporto sarebbe stato tenuto in frigorifero dalla Procura della repubblica di Palermo.
In realtà, la supposizione è infondata in quanto il rapporto passò subito all'esame del giudice istruttore.
A Roma, invece, mi sento tagliata fuori e mi sono stancata un pò di questa attesa senza elementi precisi di riferimento.
Tanto più in un momento come questo in cui intuisco che sta per accadere qualcosa di importante.




LA RACCOMANDATA DEL MINISTERO


Il mio trasferimento a insegnare in una scuola della capitale, d'altra parte, è stato un altro motivo di profonda amarezza per me.
Me lo comunicarono il 28 novembre 1971, con una raccomandata del ministero della Pubblica Istruzione.
Così, al trauma della sparizione di mio marito si aggiunsero il trauma di dover lasciare una casa e una città in cui avevo vissuto ventiquattro anni e alle quali ero affezionatissima perché cariche di ricordi e di emozioni che mi ricollegavano a un periodo felice e troncato così tragicamente che quasi ancora non so rendermene conto.
E' difficile da spiegare, ma certe volte, nella nostra casa di Palermo, io riuscivo ancora ad illudermi che mio marito fosse assente per un lungo servizio e che da un momento all'altro sarebbe ritornato.
Qui a Roma è diverso.
Lo spazio delle illusioni si è ristretto.
C'è inoltre la realtà di una vita non certo facile da affrontare.
In pratica, io e mia figlia Junia, a ventun mesi dal sequestro di Mauro, continuiamo a trovarci isolate, disancorate da una realtà che non sappiamo ancora bene quale sia.
L'ultimo motivo di disagio l'abbiamo provato con l'uscita del film 'Il caso Mattei' di Francesco Rosi.
Il regista, che prese visione di tutti gli appunti che aveva raccolto mio marito, non si è neppure sentito in dovere di citare il suo nome nel cast dei collaboratori.
Queste, sia chiaro, non sono accuse.
Il mondo è fatto così, dappertutto.
Io, comunque, non intendo darmi per vinta e ho provato la sensazione che entro breve tempo riuscirò per lo meno a sapere che fine ha fatto mio marito.
Del resto, penso che anche il giudice istruttore, dottor Fratantonio, sia di questo avviso.
Fin dall'inizio dell'istruttoria, mi ha assicurato che non avrebbe guardato in faccia a nessuno, che avrebbe compiuto sino in fondo il suo dovere, a qualunque costo, chiunque vi fosse implicato.
E io gli credo.
Se però mi accorgessi che questo non avviene dichiaro fin d'ora che sono pronta a farmi giustizia da sola.
La Sicilia mi ha tolto il marito, ma dalla Sicilia, io che sono nata a Stradella nell'Olprepò pavese, ho assimilato la fierezza che porta a non accettare i soprusi".










domenica 27 ottobre 2019

LA SCELTA DI MARCO NELLA SICILIA DELL'EMIGRAZIONE

Anziani di Acquaviva Platani,
paese del nisseno
fortemente segnato dall'emigrazione.
Fotografie di Ernesto Oliva-ReportageSicilia

Si parla molto di emigrazione straniera, in Italia.
La politica ha fatto suo questo tema, cavalcandolo per fini ideologici ed elettorali, forzando la prospettiva di un problema che richiede decisioni complesse e per la cui soluzione l'ultima cosa necessaria è la sua strumentalizzazione.
Tutto ciò accade mentre la crescente emigrazione dei giovani siciliani sta desertificando la società ed il tessuto economico dell'Isola.
Su questo drammatico tema - e sui dati che ne danno conto ( 12.000 siciliani abbandonano ogni anno la regione, la metà dei quali fra i 15 ed i 34 anni; ad Acquaviva Platani, ad esempio, si contano 928 abitanti e 2.445 residenti all'estero; secondo l'Istat, nel 2065, la Sicilia avrà un milione di abitanti in meno ) - il dibattito politico è invece quasi del tutto assente.
Fatta questa premessa, ci si può dedicare con giusto approccio alla lettura di un romanzo che racconta l'esperienza da migrante di un 30enne siciliano a Milano.
Lo ha scritto Luciano Basile, palermitano, imprenditore di successo con esperienze manageriali in Sicilia e lontano dall'Isola.
Marco - un avvocato che esercita la sua professione in un prestigioso studio legale - sarà costretto a fare i conti con l'esistenziale dilemma che accompagna la vita di tanti conterranei, suddivisi in "siciliani d'alto mare e di scoglio": abbandonare o meno l'Isola per trovare un lavoro e la propria dimensione umana.
Il romanzo si legge tutto di un fiato, ed alla fine - circostanza che può suggerire l'epilogo della storia - dedica una preziosa pagina alla ricetta della pasta con l'anciova.



"Normalmente a Milano il pasto era contenuto e lasciava spazio a languori notturni, fatto che in una trattoria siciliana non si sarebbe mai verificato, ma lavorare nella capitale finanziaria imponeva, oltre ad alcuni riti formali, a una grande puntualità e a un abbigliamento ricercato che gli anziani specialmente del Sud avrebbero accolto con un sorriso stranito, anche piccole porzioni di cibo.
Pensava che occorresse adeguarsi anche a quello stile di vita per poter ambire un domani a diventare un avvocato blasonato con quei titoli top legal o di top partner che solo pochi prescelti avevano avuto l'onore di ostentare.
Gli mancava però la cucina della sua giovinezza, quella della sua tormentata Sicilia e del suo paese in provincia di Palermo, dove le giornate scorrono lente ma i sapori e gli odori sono più autentici e più gustosi; l'aria della nuova città e l'eccitazione per il suo lavoro gli facevano dimenticare momentaneamente quei prelibati ricordi..."

LUCIANO BASILE
"Il successo, il denaro o la felicità?"
Romanzo
140 pp.
MONDADORI

martedì 22 ottobre 2019

RELIQUIE FOSSILI DELL'ANTICO MARE DI SICILIA

Fossili conchigliferi sulle rocce di Torre Pozzillo,
lungo la costa Ovest del palermitano.
Fotografie di Ernesto Oliva-ReportageSicilia

Una passeggiata con gli occhi bassi sulla scogliera di Torre Pozzillo, nel palermitano - un'irta roccia disseminata di fossili conchigliferi - svela lo scomparso mondo sottomarino qui presente in lontane età della Terra.
L'emersione dal mare della Sicilia non è stata né precoce ( secondo una datazione geologica, s'intende ), né si compì in un breve arco di tempo.
Antichi gioielli naturali incastonati sulla pietra, questi fossili marini ci portano a considerare l'esistenza di una Sicilia remotissima e sconosciuta; una condizione così descritta da Ferdinando Milone in "Sicilia, la natura e l'uomo" ( Boringhieri, 1960 ):    

"Cominciate con l'annotare nella memoria che l'Isola è geologicamente recente.



Se in essa incontriamo formazioni di ogni era geologica, dalla più antica alla più vicina a noi, pure, le rocce paleozoiche - e cioè quelle che appartengono all'era geologica in cui si manifestarono, probabilmente, le prime forme di vita: le più antiche, quindi, e le più semplici - sono quanto mai limitate...
Ma sono questioni che interessano i geologi, non la gente normale.
La quale può, anzi deve immaginare, per il lento volgere dei millenni e millenni senza numero, qui le onde del mare inesorabilmente chiuse, mentre altrove, sulle terre emerse, evolvevano le forme della vita...
Ma perché mi affanno tanto, quando tutti i lettori avranno a pié pari saltato queste pagine?





Per tutti costoro, basterà dire che l'Isola è sorta definitivamente dalle acque solo assai tardi, nei tempi geologici: probabilmente, appena poche centinaia di migliaia di anni fa, alla fine dell'era dalle forme recenti di vita, detta appunto cenozoica o terziaria.
Prima di allora, era emersa dalle acque dei mari geologici soltanto in regioni separate, in blocchi, in isole formanti un arcipelago.
Un arcipelago non dissimile, del resto, da quello rappresentato dalle eminenze dell'Appennino Meridionale, che sole emergevano dai mari durante il pliocene, in questa parte d'Italia.


Né sempre pur questa parte più elevata dell'Isola, che a un dipresso costituisce la fiancata settentrionale, oppure, a mezzodì, il tavolato ibleo, rimase fuori dalle acque.
Più di una volta, infatti, questi monti furono superati dai mari.
Quei mari, a testimonianza, vi lasciarono reliquie della loro vita..."


domenica 20 ottobre 2019

IL SOLITARIO PAESAGGIO DELLA TORRE DI VENDICARI

La Torre di Vendicari.
La fotografia - attribuita a Privitera -
illustrò un reportage di Erika Abramo
pubblicato nel dicembre del 1975 dalla rivista "Sicilia" 

"La massiccia costruzione, tutta in muratura a vista, mostra i segni dei rimaneggiamenti subiti nei vari secoli: all'interno si scorgono le strutture tardo-duecentesche; in tutta la parte basamentale sono visibili i grossi conci squadrati di marca aragonese; nella parte superiore rimangono le tracce del ponte levatoio ( ... ), le due piattaforme aggettanti su mensoloni sagomati, gli angoli sud-est e nord-ovest e la sopraelevazione della terrazza, tutti interventi cinquecenteschi.
La sicurezza e la capacità di resistenza erano affidate alle masse compatte, alle robustissime strutture ( muri fino a metri 3,15 di spessore ) ed al doppio minaccioso congegno difensivo che proteggeva la porta d'ingresso al piano terreno: classica caditoia esterna e condotto gettatoio ricavato nello spessore interno delle murature, entrambi serviti dal piano della terrazza"

La descrizione di Salvatore Mazzarella e Renato Zanca ( "Il libro delle torri", Sellerio, 1985 ) illustra perfettamente la storia della maestosa Torre di Vendicari, sulla punta Nord dell'omonimo golfo, lungo la strada fra Pachino e Noto.
Il luogo - 1330 ettari di area umida protetta, in un territorio che racconta la storia di antichi commerci navali ( vino, frumento, formaggio ) e delle scorrerie corsare - venne così raccontato dalla giornalista Erika Abramo nel reportage "Viaggio a Vendicari" ( rivista "Sicilia", dicembre 1975 ):

"Salendo sul terrazzo di questo maniero, si gode lo stupendo panorama della baia e dell'isolotto distante circa tre chilometri.
Il mare è di un meraviglioso tono di azzurro, le casette dei pescatori e le poche barche di legno mollemente adagiate sulla riva si inseriscono perfettamente nel paesaggio che anzi ne viene esaltato e valorizzato.
La costa è varia.
Ai lunghi arenili e alle strette insenature, in cui sfociano fiumi o pantani, si alternano lembi rocciosi più o meno alti, tormentati dai flutti e caverne sottomarine di incomparabile bellezza.
Quando il mare, specie in inverno, invade le dune, tanti piccoli pantani orlano in una collana continua il litorale..." 

venerdì 18 ottobre 2019

L'AMARO FRUTTO GELESE DI VINCENZO CONSOLO

Scorci di Gela pubblicati
il 4 luglio del 1968
dalla "Domenica del Corriere"

Dello stravolgimento ambientale ed umana inflitto a Gela negli ultimi sessant'anni hanno scritto fior di saggisti, sociologi, antropologi, economisti e giornalisti.
E della infausta sorte capitata a quella che fu una delle più importanti colonie greche di Sicilia - l'essere cioè diventata in età contemporanea una delle località per mano umana più devastate dell'Isola - ha finito con il rendere conto, nel 1994, anche la letteratura.
La purulenta presenza del petrolchimico, con i suoi veleni tossici per la natura e per gli uomini, venne allora così amaramente descritta da Vincenzo Consolo in "L'olivo e l'olivastro" ( Mondadori ):

"Dire di Gela nel modo più vero e più forte, dire di questo estremo disumano, quest'olivastro, questo frutto amaro, questo feto osceno del potere e del progresso, dire del suo male infinite volte detto, dirlo fuor di racconto, di metafora, è impresa ardua o vana ( ... )
Nacque la Gela repentina e nuova della separazione tra i tecnici, i geologi e i contabili giunti da Metanopoli, chiusi nei lindi recinti coloniali, palme, pitosfori e buganvillee dietro le reti, guardie armate ai cancelli, e gli indigeni dell'edilizia selvaggia e abusiva, delle case di mattoni e tondini lebbrosi in mezzo al fango e all'immondizia di quartieri incatastati, di strade innominate, la Gela dal mare grasso d'oli, dai frangiflutti di cemento, dal porto di navi incagliate nei fondali, inclinate sopra un fianco, isole di ruggini, di plastiche e di ratti; nacque la Gela della perdita d'ogni memoria e senso, del gelo della mente e dell'afasia, del linguaggio turpe della siringa e del coltello, della macchina fragorosa e del tritolo ( ... )" 

  

martedì 15 ottobre 2019

POTERE RELATIVO E POTERE DELLA MAFIA NELLA PALERMO DI COLLURA

Via Cappuccinelle,
all'interno del quartiere del Capo, a Palermo.
Fotografia di Ernesto Oliva-ReportageSicilia

"Palermo, come Napoli, come Bombay e Calcutta - ha scritto Matteo Collura in "Palermo" edito da Bruno Leopardi Editore ( 1999 ) - è città che costringe i suoi abitanti più poveri ad adattarsi a forme di vita altrove impensabili.
Una di queste, come ho già detto, è l'invisibilità; un'altra è l'orgogliosa ostentazione dell'indifferenza di chi troppo ha visto e tutto sa.
E' per questo che la fierezza dei suoi abitanti non ha limiti.
Tutto, visto dai quartieri popolari di questa città, è relativo, potere compreso, sia esso incarnato da un viceré, sia esso rappresentato da un deputato o un cardinale.
Se il potere ha il volto di un mafioso, allora il discorso cambia, perché in questo caso non si tratta di un potere usurpato, ma di qualcosa che naturalmente s'incarna in qualcuno del popolo, venendo a generare livelli di violenza bestiali"

domenica 13 ottobre 2019

UNA MISTERIOSA VACANZA DI ALFRED HITCHCOCK A LAMPEDUSA

Il porto di Lampedusa.
Fotografia di Ernesto Oliva-ReportageSicilia

La notizia - una breve nota di agenzia - apparve su alcuni giornali, il primo agosto del 1966.
Il "l'Ora" di Palermo la pubblicò così:

"Il regista cinematografico Alfred Hitchcock è arrivato oggi all'aeroporto di Fiumicino da New York.
Egli ha detto che intende trasferirsi subito a Lampedusa, dove resterà con la moglie una settimana, in vacanza, ospite di un suo amico"

Da Wikipedia - alla voce "Alfred Hitchcock" - ricaviamo alcune informazioni che permettono di ricostruire i giorni che precedettero quell'annunciata vacanza del regista inglese a Lampedusa, resa nota a Roma il primo di agosto di 53 anni fa.
Risulta infatti che il 27 luglio, Hitchcock si trovasse proprio a New York per presentare il film "Il sipario strappato", la cui prima aveva avuto luogo, il 14 dello stesso mese, a Boston.
Dunque, pochi giorni dopo la proiezione del film a New York, il "re del brivido" cinematografico avrebbe avuto tutto il tempo di trasvolare l'Atlantico per raggiungere dapprima Roma, e da qui Lampedusa.
All'epoca, l'isola era ignorata dai flussi turistici internazionali; ma forse Hitchcock aveva avuto modo di conoscerne l'esistenza e le attrattive naturali durante gli anni della seconda guerra mondiale, quando il regista seguì molto da vicino la campagna bellica degli anglo-americani in Europa.

La notizia della vacanza di Hitchcock
a Lampedusa pubblicata il 1 agosto del 1966
dal quotidiano "l'Ora"

Fra molte supposizioni sul prologo del suo viaggio lampedusano, il buio totale regna sulla ricostruzione dell'annunciato sbarco nell'isola delle Pelagie - ospite di un "amico" - in coppia con la moglie Alma Reville.
Nei giorni successivi a quel primo agosto, nessun quotidiano siciliano riporta notizie che parlino della presenza di Hitchcock a Lampedusa, che pure non sarebbe dovuta passare inosservata. 
Allo stesso modo, ai nostri giorni nessun isolano sembra avere memoria del presunto viaggio del regista inglese in quell'agosto del 1966.
La vacanza lampedusana di Alfred Hitchcock diventa così una sorta di giallo storico-documentario nella sua complessa biografia personale ed artistica: un piccolo mistero di vita privata di un uomo che ha fatto degli intrighi umani oggetto dell'arte cinematografica.

giovedì 10 ottobre 2019

I "PICCIOTTI" DEL FESTIVAL POP 1970

Ragazzi palermitani
al "Palermo Festival Pop 70".
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
vennero pubblicate dalla rivista "Il Mediterraneo",
opera citata

Insieme alle edizioni mondiali della Targa Florio che, tra la fine degli anni Sessanta ed il 1973 richiamarono nelle Madonie un popolo di appassionati, il "Palermo Pop Festival 1970" è l'evento oggi maggiormente impresso nella memoria collettiva dei palermitani che a suo tempo ebbero la ventura di parteciparvi.
Di tanto in tanto, la ricerca di ReportageSicilia - già testimoniata da un paio di post fra i più letti del blog - recupera articoli ed immagini che allora raccontarono il successo del Festival.
Ad incrementare la memoria del clima di quell'avvenimento - cui il musicista Carlo Loffredo ha fornito una gustosa descrizione in "Billie Holiday che palle!" ( Coniglio Editore, 2008 ) - contribuiscono ora alcune fotografie pubblicate dalla rivista "Il Mediterraneo" ( Camera di Commercio di Palermo ) nell'agosto del 1970.



Ad accompagnare le immagini non firmate riproposte da ReportageSicilia, un lungo testo anch'esso anonimo ricorda alcuni aspetti di una manifestazione destinata ad esaurire la sua energia musicale e di costume proprio al termine dell'indimenticata prima edizione:  

"I quattro giorni di 'Palermo Pop 70' sono stati paragonati alla kermesse dell'isola di Wight o di Woodstock, un'occasione di incontro della gioventù hippy, desiderosa di ascoltare buona musica e di estraniarsi dai riti e dalle banalità della vita corrente.
Lo accostamento è stato certamente esagerato, ma non c'è dubbio che la manifestazione si è conclusa con un bilancio sostanzialmente in attivo: è stata originale sul piano del costume, ed ha fornito l'opportunità di ascoltare buona musica.
Le 'quattro giornate' sono state quelle comprese fra il 16 ed il 19 luglio, il luogo prescelto per gli spettacoli lo stadio della Favorita.
Gli organizzatori hanno adottato opportunamente la formula del biglietto a prezzo unico e quasi popolare ( 1000 lire ).
Poi, in realtà, è capitato che a mezzanotte venissero aperte le porte e una massa di giovanissimi, che aveva atteso pazientemente, come è tradizione delle partite di calcio, si riversava dentro, invadendo il prato erboso del terreno di gioco.
L'incasso è stato perciò minore del previsto e di quanto era possibile.
La cornice in cui è svolta la manifestazione, ha costituito uno spettacolo nello spettacolo.



Accanto agli hippy venuta dal Club Mediterranèe di Cefalù o arrivati da altre zone d'Italia in cui erano in vacanza, migliaia di ragazzi palermitani, specialmente dei quartieri popolari, hanno indossato abiti incredibili, riuscendo in qualche occasione a darla a bere.
Qualcuno, infatti, li ha scambiati davvero per hippy, magari con la marijuana nascosta in una piega dei pantaloni.
Ci ha creduto in un certo senso anche la polizia, che ha organizzato un servizio d'ordine massiccio, come se da un momento all'altro dovesse scoppiare la rivoluzione.
Invece tutto è andato liscio, tranne la estemporanea esibizione del cantante inglese Arthur Brown che si è spogliato nudo, per interpretare meglio il suo successo, 'Fire', ed è finito dritto all'Ucciardone, sotto l'accusa di atti di libidine e atti osceni in luogo pubblico.
L'altro piccolo incidente, per cui sono stati arrestati cinque giovani, è una conseguenza dell'esibizione di Brown: i ragazzi, infatti, sventolavano all'interno della Favorita un cartellone nel quale era dipinto un poliziotto in ginocchio davanti ad Arthur Brown  e in posizione non proprio ortodossa.
Se si escludono questi due episodi, che hanno creato in qualche modo un'atmosfera simile alle grandi kermesse dell'isola di Wight, 'Palermo Pop 70' è stata solo un'occasione per ascoltare buona musica.
Orchestre come quelle di Duke Ellington e Kenny Clarke, cantanti come Aretha Franklin, Johnny Hallyday, Elza Soares, musicisti di valore come Albert Nicholas, René Thomas, Tony Scott, per non parlare che dei migliori, a Palermo non si riesce a vederli nemmeno uno per volta, figurarsi tutti insieme.


La celeberrima esibizione
del cantante Arthur Brown,
terminata con il discusso arresto
per atti di libidine

Il bilancio della manifestazione, insomma, si può considerare sostanzialmente positivo, e suscettibile di miglioramento in futuro.
La pretesa di trasformare Palermo in una capitale del 'pop' sembra eccessiva, ma non c'è dubbio che se la manifestazione fosse ripetuta e perfezionata, si potrebbe sperare in un afflusso turistico che per l'edizione 1970 non c'è stato.
Come veicolo di pubblicità, però, ha funzionato benissimo: nel bene e nel male ne hanno parlato i giornali di mezzo mondo, che alla manifestazione hanno dedicato ampi servizi.
Ed è anche questa una maniera - e tra le migliori - di propagandare all'estero il nome di Palermo, frequentemente citata, ma solo per questioni di mafia"
  

sabato 5 ottobre 2019

L'IMPALPABILE INCANTO DI UNA MILANESE A PALAZZO ADRIANO

Palazzo Adriano dalle falde di monte delle Rose.
Fotografia Ernesto Oliva-ReportageSicilia
Alla fine degli anni Cinquanta dello scorso secolo, Palazzo Adriano era uno dei tanti paesi dei monti Sicani quasi del tutto ignorati da viaggiatori e narratori di Sicilia.
La fama della sua scenografica piazza Umberto I sarebbe venuta solo molti anni dopo, grazie al film di Giuseppe Tornatore "Nuovo Cinema Paradiso".
Nel 1958, quella stessa piazza non aveva suscitato particolare ammirazione in uno dei pochi cronisti che all'epoca si spinsero fino a Palazzo Adriano, alla fine di un viaggio in auto iniziato a Palermo e completato - attraversando Misilmeri, Mezzojuso e la Rocca Busambra - dopo "un apocalittico crescendo di dossi torreggianti e asperrime rocche". 
Delfina Pettinati - questo il nome della narratrice ( piemontese di adozione, milanese di nascita, vincitrice nel 1977 del Premio Gozzano ) - riportò così le sue impressioni su Palazzo Adriano sulle pagine del quotidiano "La Stampa" pubblicato il 22 febbraio del 1958:
  "La sera è scesa quando giungiamo a Palazzo Adriano.
E' un paese tutto aperto sull'alto.
'Quasi una cittadina', postilla con un certo orgoglio il signorotto paesano che ci accoglie con cortesia.
Sa che vengo da Torino, e, mettendosi con vivacità al volante, scopre il suo desidero di farmi apprezzare le bellezze del suo paese, il suo progresso civile...
Ma in verità tali bellezze si riassumono per me nell'impalpabile incanto delle tacite strade che, allungate sotto la luna, sembrano scie di luce che raggiungono il cielo.
S'apre nel mezzo una piazza come tante, dove la gioventù dorata paesana, uomini vestiti di scuro con gli occhi neri, e brillanti, sono raccolti a conversare.
Alcune ragazze passeggiano, compostamente allineate, godendosi la sera.
Oltre questo fulcro di vita domestica, il paese appare deserto.
Il signorotto mi indica qualche villetta, qualche costruzione moderna. 
'Abbiamo tre ospedali', dice con un'ombra di compiacimento, 'e anche un castello...'
Con ingenuo rammarico depreca che sia diroccato, e anche non si dà pace che a me, venuta dal continente, le strade presentino un volto sgretolato, tutto roso dai camion.
Ma a me piacciono così: sotto la luna che le arabesca, sembrano le selci di una città dissepolta..."