ReportageSicilia è uno spazio aperto di pensieri sulla Sicilia, ma è soprattutto una raccolta di immagini fotografiche del suo passato e del suo presente. Da millenni, l'Isola viene raccontata da viaggiatori, scrittori, saggisti e cronisti, all'inesauribile ricerca delle sue contrastanti anime. All'impossibile fine di questo racconto, come ha scritto Guido Piovene, "si vorrebbe essere venuti quaggiù per vedere solo una delle più belle terre del mondo"
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mercoledì 30 novembre 2011
domenica 27 novembre 2011
SICILIANDO
giovedì 17 novembre 2011
LA SICILIA ANTICA DI VON MATT
Basta consultare una qualsiasi guida della Sicilia antica per leggere che negli anni successivi al secondo conflitto mondiale la ricerca archeologica riprese gli studi o avviò nuovi scavi nei principali siti dell’isola.
L’interesse degli studiosi – italiani e stranieri - si concentrò sulle città di fondazione greca e punica, situate in prevalenza lungo le coste; gli scavi tuttavia riguardarono anche luoghi frequentati da popolazioni autoctone – elimi, siculi e sicani – situati per lo più nelle zone più interne. Nacque allora una vasta pubblicistica di carattere documentario che fece della fotografia il mezzo essenziale per immortalare i risultati dei nuovi studi archeologici; fu allora così inevitabile che quegli scatti sottolineassero il contesto paesaggistico delle rovine, restituendoci oggi quel volto di una Sicilia in cui i più antichi fondatori di città avevano scelto siti di fondazione spesso di grande suggestione ambientale.
Qualche anno fa, nei soliti giri fra le bancarelle romane dei libri usati, trovai uno di quei libri che appunto nacquero sul solco del rinnovato interesse per l’archeologia isolana dei decenni Cinquanta e Sessanta: “La Sicilia antica”, pubblicato nel 1960 da Stringa Editore Genova, con testo di Luigi Pareti e note di Pietro Griffo. Il volume passa in rassegna le vicende dell’isola pregreca, greca e romana, ed è accompagnato da 231 fotografie in bianco e nero e colori ( poche ) per lo più a piena pagina ( 22 per 27 cm. ). Autore di quegli scatti fu il fotografo svizzero Leonard Van Matt ( 1909-1988 ), che in quegli anni realizzò in Italia reportage fotografici pubblicati in una cinquantina di monografie di carattere architettonico, artistico e religioso, soprattutto a Roma.
Il volume dedicato alla Sicilia antica rivela il gusto di Van Matt per la descrizione dell’opera architettonica – i templi di Agrigento e Segesta, le rovine di Selinunte o gli scavi in corso a Piazza Armerina – rappresentata sempre in relazione ad un riferimento ambientale di ampio respiro, con l’assenza di elementi estranei all’equilibrio fra antico monumento e paesaggio: una caratteristica di tanta architettura siciliana, le cui testimonianze – dal tempio di Segesta a tante più recenti basiliche di età normanna – vivono spesso in una situazione di isolamento fisico.
Ogni tanto il fotografo svizzero coglie nel paesaggio del luogo architettonico anche una figura umana: è il caso del gruppo di cavalieri nelle campagne ennesi di Calascibetta o del barcaiolo al largo dell’isola trapanese di Mozia.
Anche in questo caso, nel racconto di Van Matt l’uomo completa la descrizione dei luoghi, occasionale e temporanea presenza nel millenario contesto dell’opera architettonica e della natura.
In altri casi – una serie di fotografie di oggetti conservati nei musei dell’isola – il bianco e nero degli scatti scopre quasi la nuda e più vera essenza della vita quotidiana di quelle millenarie civiltà; una suggestione suggerita, ad esempio, dai coni di alcune monete siracusane, scandagliate dall’obiettivo del fotografo svizzero con l’emozione di chi racconta con i dettagli la storia.
L’interesse degli studiosi – italiani e stranieri - si concentrò sulle città di fondazione greca e punica, situate in prevalenza lungo le coste; gli scavi tuttavia riguardarono anche luoghi frequentati da popolazioni autoctone – elimi, siculi e sicani – situati per lo più nelle zone più interne. Nacque allora una vasta pubblicistica di carattere documentario che fece della fotografia il mezzo essenziale per immortalare i risultati dei nuovi studi archeologici; fu allora così inevitabile che quegli scatti sottolineassero il contesto paesaggistico delle rovine, restituendoci oggi quel volto di una Sicilia in cui i più antichi fondatori di città avevano scelto siti di fondazione spesso di grande suggestione ambientale.
Qualche anno fa, nei soliti giri fra le bancarelle romane dei libri usati, trovai uno di quei libri che appunto nacquero sul solco del rinnovato interesse per l’archeologia isolana dei decenni Cinquanta e Sessanta: “La Sicilia antica”, pubblicato nel 1960 da Stringa Editore Genova, con testo di Luigi Pareti e note di Pietro Griffo. Il volume passa in rassegna le vicende dell’isola pregreca, greca e romana, ed è accompagnato da 231 fotografie in bianco e nero e colori ( poche ) per lo più a piena pagina ( 22 per 27 cm. ). Autore di quegli scatti fu il fotografo svizzero Leonard Van Matt ( 1909-1988 ), che in quegli anni realizzò in Italia reportage fotografici pubblicati in una cinquantina di monografie di carattere architettonico, artistico e religioso, soprattutto a Roma.
Il volume dedicato alla Sicilia antica rivela il gusto di Van Matt per la descrizione dell’opera architettonica – i templi di Agrigento e Segesta, le rovine di Selinunte o gli scavi in corso a Piazza Armerina – rappresentata sempre in relazione ad un riferimento ambientale di ampio respiro, con l’assenza di elementi estranei all’equilibrio fra antico monumento e paesaggio: una caratteristica di tanta architettura siciliana, le cui testimonianze – dal tempio di Segesta a tante più recenti basiliche di età normanna – vivono spesso in una situazione di isolamento fisico.
Ogni tanto il fotografo svizzero coglie nel paesaggio del luogo architettonico anche una figura umana: è il caso del gruppo di cavalieri nelle campagne ennesi di Calascibetta o del barcaiolo al largo dell’isola trapanese di Mozia.
Anche in questo caso, nel racconto di Van Matt l’uomo completa la descrizione dei luoghi, occasionale e temporanea presenza nel millenario contesto dell’opera architettonica e della natura.
In altri casi – una serie di fotografie di oggetti conservati nei musei dell’isola – il bianco e nero degli scatti scopre quasi la nuda e più vera essenza della vita quotidiana di quelle millenarie civiltà; una suggestione suggerita, ad esempio, dai coni di alcune monete siracusane, scandagliate dall’obiettivo del fotografo svizzero con l’emozione di chi racconta con i dettagli la storia.
La fotografia di Von Matt scopre l'interno della 'grotta dei cordari', all'interno del Parco Archeologico della Neapoli, a Siracusa |
giovedì 10 novembre 2011
L'ACCECANTE RICORDO DI SAN VITO
“Ho scoperto San Vito Lo Capo in un giorno di tarda primavera, agli inizi degli anni Cinquanta. Lo raggiunsi in automobile, dopo un viaggio lunghissimo e pieno di curve. All’epoca l’autostrada Palermo-Trapani non esisteva, vi arrivai attraverso la strada statale 113 e le stesse strade provinciali che si utilizzano ancora oggi: allora però si incrociavano pochissime automobili, erano meno dei carretti e degli asini. Quando raggiunsi San Vito, rimasi quasi accecato dalla sabbia chiarissima della spiaggia e dall’azzurro intenso del mare: il paese era poco più di una macchia di case basse e bianche, gli abitanti sembravano vivere in una dimensione di isolamento dal resto del mondo: era veramente un luogo lontano da ogni quotidianità percepibile nella Sicilia di allora”
Così, qualche anno fa, un anziano avvocato siciliano mi descrisse la sua scoperta di San Vito Capo, la località della costa tirrenica trapanese che di lì a qualche decennio – quando le automobili avevano soppiantato del tutto carretti ed asini - sarebbe diventata il luogo di villeggiatura di molti palermitani.
Ancora alla fine degli anni Settanta, San Vito conservava quasi intatta la sua naturale e selvaggia bellezza: la costruzione di alcuni residence ed i primi arrivi di massa di turisti italiani e stranieri l’hanno in seguito inevitabilmente omologata a decine di altri luoghi di vacanza, siciliani e non. Beninteso: ancor oggi San Vito Lo Capo offre un mare ed un paesaggio che – specie se non li si frequenta in piena stagione estiva – meritano un viaggio ed il desiderio di un ritorno; tuttavia, quella primitiva eccezionalità del paesaggio scoperto dall’avvocato siciliano è persa per sempre: basta fare una passeggiata lungo il corso principale del paese per scoprire due avvilenti file di locali che offrono pranzi a 15 euro ‘tutto compreso’; il ristoratore di una trattoria un tempo conosciuta per la sua ospitalità avvicina gli avventori consegnando loro in strada numeretti per il turno, in maniera sbrigativa ed affatto ospitale.
Da qualche anno, l’avvocato siciliano che mi raccontò della San Vito degli anni Cinquanta non c’è più: ha fatto in tempo a non vederla cambiare aspetto, ed a non stravolgere dunque i ricordi di quella lontana giornata di tarda primavera di mezzo secolo fa. A lui dedico questo post e due fotografie di San Vito Lo Capo e del vicino golfo di Macari che conobbe, rimanendo accecato dalla sabbia e dal mare: gli scatti sono del fotografo cremonese Ezio Quiresi – autore di numerose opere dedicate alla sua città, scomparso nell'agosto del 2010 – e pubblicati nel volume ‘Sicilia’ del TCI del 1961.
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