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domenica 22 settembre 2019

L'AVVENTUROSA MIGRAZIONE IN SPAGNA DEI PESCATORI DI PORTICELLO

Battuta di pesca a largo di Porticello.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
furono realizzate da Gabriele Milani
ed illustrarono un reportage di Gianpiero Malaspina
pubblicato nel luglio del 1969 dalla "Domenica del Corriere"

Mare antichissimo di tonni e tonnare - quello della borgata palermitana di Porticello - ed oggi porto peschereccio che ospita circa 250 imbarcazioni ed almeno 1200 pescatori.
Con le loro reti a strascico e le attrezzature per il palamito, le barche di Porticello si spingono sino alle acque sarde di Sant'Antioco; ed a ragione si dice la flotta locale sia seconda per importanza in Sicilia solo a quella di Mazara del Vallo.
Intorno al 1880, la determinazione dei pescatori porticellesi li portò ad affrontare un periodo di crisi delle attività ittiche superando addirittura lo stretto di Gibilterra, sino alle coste spagnole della Cantabria.
Molti di loro si dedicarono alla salagione delle acciughe ed alla confezione del tonno sott'olio, mettendo a frutto saperi e tecniche tramandate da generazioni di abitanti della borgata palermitana.



La vicenda - una delle tante storie di emigrazione di pescatori siciliani oltre il Mediterraneo - venne così ricostruita nel 1949 da Giuseppe Quatriglio in un reportage intitolato "I pescatori di Porticello a Santander" e pubblicato da "Mediterranea - Almanacco di Sicilia" ( Industrie Riunite Editoriali Siciliane ):

"C'erano state tre annate, una dietro l'altra, di magra assoluta.
Sembrano che i pesci fossero stati inghiottiti dall'oceano o che una gigantesca barriera impedisse loro di raggiungere il Tirreno.
I pescatori di Porticello, tirate le reti all'asciutto, le avevano rammendate fin troppo nelle lunghe giornate inoperose.
Le donne nelle case pregavano la Vergine perché scongiurasse la carestia e dirigesse i tonni verso le tonnare e le sarde verso le reti e le nasse dei mariti e dei fratelli.
Il sole splendeva implacabile sulla tristezza di quella gente minacciata dalla fame.
I più baldi si riunirono un giorno dinanzi alle acque crudeli e decisero di fare qualcosa di risolutivo.
'Se i pesci non vogliono venire, saremo noi a cercarli',dissero, e armato il veliero grande, partirono dopo avere ottenuta la benedizione dei vecchi.
'Torneremo, torneremo', furono le ultime parole dei volenterosi che passarono sui molti fazzoletti sventolanti, coprendo di commozione la gente di Porticello.



La navigazione durò a lungo ed il viaggio fu ricco di avventure; finalmente, dopo avere attraversato il Mediterraneo, superato lo stretto di Gibilterra e costeggiato il Portogallo, il veliero raggiunse il golfo di Santander.
I pescatori siciliani credettero giunto il momento di toccare terra e di decidere di comune accordo sul da farsi.
Quel che avvenne dopo lo raccontano oggi i nipoti di quei coraggiosi che a Laredo, a Santona, a Castro Urdiales, a S.Vicente de la Barquera e in tutti gli altri centri costieri del Nord della Spagna esercitano l'industria della pesca.
Quando visitai quelle zone della Spagna, mi si offerse la visione di un paesaggio noto.
Incontrai lo stesso azzurro intenso dei nostri mari, le stesse casette basse dei pescatori costruite in prossimità della riva, lo stesso lindore in ogni cosa.
Rividi Porticello in aspetti cangianti ma fondamentalmente identici, e mi convinsi che non fu solo un caso a guidare settant'anni addietro i pescatori in quelle contrade, ma un intuito che valica i confini della comune comprensione"

Vent'anni dopo il racconto di Giuseppe Quatriglio - l'8 luglio del 1969 - il settimanale "Domenica del Corriere" documentò l'attività di pesca a Porticello grazie ad un reportage redatto da Gianpiero Malaspina e corredato dalle fotografie di Gabriele Milani



I due si imbarcarono a bordo del "Rosalia", impegnata insieme alla "Concetta II" in una battuta di pesca in un tratto di mare distante una quarantina di miglia da Porticello, a Nord-Est dell'isola di Ustica.
L'articolo di Malaspina non ricorda l'avventurosa migrazione dei pescatori porticellesi nelle acque spagnole raccontata due decenni prima da Quatriglio
Si da invece conto delle procedure per la complessa calata del palamito: un robusto monofilo in nailon lungo diecimila metri con grossi ami innescati con un calamaro, un sugherello o un mazzetto di sarde.



Dopo una nottata di attesa - accompagnata da una "frugalissima cena a base di pomodori, pezzi d'acciuga in salamoia e pane col sesamo" - il bottino delle pesca sarà generoso: un pescespada di 150 chilogrammi, una verdesca incappata nell'arpione dello stesso Malaspina e mezza tonnellata di alalunghe.

"Il ritorno - scrive il giornalista in chiusura del reportage - è festoso e non potrebbe essere altrimenti.
Vediamo in lontananza, tra le nebbie della calura di mezzogiorno, la punta di Priola, doppiamo capo Mongerbino e capo Zafferano.
L'equipaggio, sdraiato a prora, canta una nenia in dialetto siciliano mentre Salvatore, il comandante, ingrugnito come sempre, punta su Porticello.
Ha fretta di vendere"
  


venerdì 20 settembre 2019

PIETRO ZULLINO E LA PSICHE DELLA SETTA PANORMITA

Statua di marmo nel cortile
di palazzo Drago Airoldi di Santa Colomba, a Palermo.
Sotto, uno scorcio di piazza Rivoluzione.
Fotografie di Ernesto Oliva-ReportageSicilia

"E' necessario parlare di Palermo.
Questa città ha sempre avuto e continua ad avere un peso determinante misconosciuto nella vicenda italiana"

Quarantasei anni fa il giornalista Pietro Zullino fissò un giudizio ancora attuale sul peso di Palermo ( e della Sicilia ) nella storia d'Italia.
Dall'Unità ai nostri giorni, il capoluogo dell'Isola  rimane uno scomodo banco di prova per la politica - nazionale e regionale - e la cartina di tornasole dei gravi limiti nelle sue capacità di buon governo.
Zullino - nell'assai apprezzabile "Guida ai misteri e piaceri di Palermo" ( Sugar Editore & C. 1973 ) - così tentò di spiegare la natura di una città fortemente condizionata dalla psiche dei panormiti, i suoi abitanti: 

"L'anima della città non è fissata alle sue pietre.
Esse sono completamente mute.
Palermo non è un museo; la sua scoperta si può fare solo in una dimensione psichica.
Ma bisogna iniziarsi con serena umiltà: unico modo per arrivare pian piano a penetrare i misteri e a gustarne ( perché ci sono ) i raffinati, cerebrali, snervanti piaceri.
La città offre visioni di sfacelo e di morte.
Se riuscite a farle abbassare la maschera, vedete che sotto è ben viva.
Ma chi non si abbandona, chi non si lascia iniziare al suo culto, sente Palermo indifferente, inospitale o addirittura nemica fin dal primo mettervi piede...
Della gente, neanche a parlarne.
Sui panormiti, si potrebbe scrivere, è vero, un trattato di demopsicologia.



Ma l'italiano del nord - progressista, illuminato, seguace di una religione olimpica - rischia di perdere il sonno in una città misteriosa, anzi misterica come Palermo...
Non può, lui, non detestare Palermo.
Oltre che sudicia gli sembra abitata da una fauna pigmea dalle credenze inquietanti, irrazionali, sotterranee; da una setta che oppone alle limpide certezze dell'Olimpo l'angoscia di baccanali occulti ed incomprensibili.
Vede giusto.
Ma chissà qual è la ragione storica e sociale della setta dei panormiti, quintessenza dei siciliani occidentali.
Il nordista questo non se lo chiede.
Probabilmente è l'inseguimento di una grandezza che Palermo crede di aver posseduto quasi ottocento anni fa, quando fu per un trentennio, cioè per un attimo, la capitale del mondo.
Secondo, che li conosco, i panormiti tramano da secoli per recuperare quella loro condizione privilegiata e semidivina..."


mercoledì 18 settembre 2019

LO SGUARDO SULLE OMBRE SICILIANE DI PIERRE SEBILLEAU

Mercato ortofrutticolo di Palermo.
La fotografia, non attribuita,
venne pubblicata nel febbraio del 1970
dalla rivista "Il Mediterraneo"
edita dalla Camera di Commercio di Palermo

"Certo, non mancano le ombre nel quadro della Sicilia.
Meglio che ne siate avvertiti, in primo luogo perché esse - ha osservato il diplomatico francese Pierre Sébilleau in "La Sicile" ( Editions Arthaud, Grenoble, 1966 ) - sono talvolta di natura tale da contristare l'uomo sensibile, in secondo luogo perché rischiano di porvi dei problemi e, soprattutto, di falsare il vostro giudizio sulla Sicilia. 
Quando le vedrete, queste ombre, stendersi sotto i vostri occhi, formando uno stridente contrasto con la luce, lo splendore del clima, la bellezza dei panorami e delle opere d'arte, esse vi sembreranno a tal punto urtanti che potreste essere tentati di esagerarne l'importanza e di considerare la Sicilia come una terra di miseria di miseria, come alcuni scrittori, a cominciare da Cicerone nelle sue verrine, hanno avuto troppa tendenza a fare.
E', questo, un giudizio completamente errato e, nello stesso tempo, assurdo.



Non dimenticatevi, però, che un giudizio opposto, consistente nel non vedere nella Sicilia che il paradiso terrestre, non vale di più.
In realtà, la Sicilia è essenzialmente umana ed ha, quindi, pregi e difetti.
Guardatevi, dunque, a questo proposito da certi giudizi manichei, in  bianco e nero.
Accettatela quale essa è, con le sue grandezze e le sue miserie, come un essere umano, un essere, cioè, che si può amare"


martedì 17 settembre 2019

L'ISOLA PER MODO DI DIRE DI MARIO FILLIOLEY

Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia

"Qual'è l'idea che hanno dei siciliani i non siciliani e pure i siciliani stessi?
La Sicilia, - ha scritto Mario Fillioley in "La Sicilia è un'isola  per modo di dire" ( minimum fax, 2018 ) - ogni tanto provo ad argomentare, è un'isola per modo di dire, è enorme, è una specie di nazione, e comunque da Messina a Villa San Giovanni non sono neanche tre chilometri, venti minuti di traghetto, è Italia, è Europa, è Continente, non serve nemmeno il ponte.
Tutte queste peculiarità, queste 'stranizze d'amuri', questi contadini saggi che si siedono su un muro a secco, scrutano nel cielo l''occhio di capra' e vaticinano il meteo, che parlano per antichi detti, dove sono?
E l'insularità, allora?, mi dicono i milanesi, e Manlio Sgalambro?"



lunedì 9 settembre 2019

I RIBELLI DI PALERMO NEGLI ANNI DEL SACCO DELLA CITTA'

Ragazzi a Palermo
sul bordo della statua del fiume Oreto,
all'interno della fontana di piazza Pretoria.
La fotografia, datata 1966,
è opera di Mario Torrisi.
L'immagine illustrò un reportage di Giuseppe Fava
( opera citata )

Giornalista di amaro sarcasmo, scrittore lucido ed appassionato delle piaghe siciliane - a cominciare da quelle alimentate dalla mafia - Giuseppe Fava è stato capace di raccontare la realtà dell'Isola cogliendone gli aspetti minimi e contraddittori della vita quotidiana.
E' il caso della descrizione di un gruppo di ragazzi palermitani incontrati da Fava una sera d'estate del 1966 all'interno della cinquecentesca fontana di piazza Pretoria.
Lo scatto del fotografo Mario Torrisi li coglie mentre discutono sul bordo della vasca in cui troneggia la statua coronata che rappresenta il fiume Oreto ( uno degli storici simboli del degrado di Palermo ), pomposamente arricchita da uno scettro e da un leone. 
Sono gli anni del famigerato "sacco edilizio" della città e dell'affermazione di una classe politica locale piegata agli interessi dei capimafia delle borgate dove il cemento sfregia la secolare bellezza di Palermo.
In quel periodo - tranne qualche rara ed isolata voce, promossa soprattutto dal quotidiano "l'Ora" - nessun intellettuale o personalità della cultura cittadina fu capace di prendere pubblica posizione contro la criminosa e dissennata gestione edilizia della città.





In quel contesto di indifferenza, Giuseppe Fava identifica così in  pochi ragazzi abbigliati secondo i canoni della moda "beat" gli unici ribelli di Palermo:

"Tre di quei giovani - si legge in "Processo alla Sicilia" ( Editrice ITES, 1967 ) - avevano i capelli lunghi fin sull'omero, e il quarto invece aveva una piccola testa rapata.
Erano così languidi, così amichevoli ( ... ) erano capelloni: suonavano la chitarra, il basso, la batteria e il quarto cantava.
Si chiamavano Domenico Scalici, di 18 anni, studente d'avviamento, Gianni Ricci di 18 anni studente dell'industriale, Andrea Di Franco di 18 anni odontotecnico e Marco Murri di 19 anni meccanico.
Non si conoscevano nemmeno, si erano fatti crescere i capelli ognuno per conto suo: le gente li sfotteva.
Un giorno Domenico aveva incontrato Gianni e tutti e due si erano messi insieme alla ricerca di un terzo che avesse i capelli lunghi per formare un trio musicale.
Avevano trovato Marco.
Ma ci voleva qualcuno che cantasse, e allora avevano cercato ancora un quarto capellone, e non ne avevano trovato.
Alla fine avevano convinto Andrea a farsi crescere i capelli.
Bisognava aspettare quattro mesi.

'Vogliamo suonare canzoni beat e manifestare la nostra ribellione!'

Dissero così.
Palermo dormiva quieta, sembrava quasi paga di tutte le cose che aveva fatto durante la giornata.
L'unico segno di ribellione era questo"






giovedì 5 settembre 2019

FOTOGRAFIE DI HERBERT LIST FRA I TONNAROTI DI FAVIGNANA

Fasi della mattanza dei tonni a Favignana nel 1951.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
sono del fotografo tedesco Herbert List ( 1903-1975 ).
Gli scatti furono pubblicati dalla rivista "Sicilia"
nel giugno del 1955

Nato nel 1903 da una famiglia di mercanti ebrei di Amburgo, il fotografo tedesco Herbert List entrò a far parte del gruppo di Magnum Photos grazie all'amicizia con Robert Capa.
Dapprima in Grecia e poi in Italia, List - le cui immagini furono pubblicate da riviste come "Life" e "Vogue" - cercò di fissare nel Mediterraneo quelle "visioni controllate dove le composizioni cercano di catturare la magica essenza che occupa ed anima il mondo delle apparenze".
Di questo fotografo che agli inizi degli anni Cinquanta dello scorso secolo non sfuggì ai richiami del neorealismo, rimangono le immagini italiane di Venezia, della Napoli di De Sica e gli scorci romani di Ostia e della stazione Termini: fotografie realizzate dal 1950 al 1961 e che avvicinarono Herbert List allo studio dell'arte rinascimentale italiana.




Gli scatti riproposti da ReportageSicilia - tratti dalla rivista "Sicilia" del giugno 1955 - testimoniano la presenza di questo fotografo, chissà attraverso quali contatti in Sicilia, nell'isola di Favignana.
L'anno è il 1951, e l'occasione che si offre alla Leica di List è quella di documentare la "Thunfischfang", la tonnara: le fasi cioè della cattura dei tonni e della loro lavorazione all'interno dello Stabilimento Florio ( 34 fotografie allora scattate da List vi sarebbero state esposte nel 2015 in occasione di una mostra organizzata dalla Soprintendenza di Trapani ).
Quando Herbert List documentò il lavoro dei tonnaroti di Favignana, lungo le coste del trapanese erano ancora attive undici tonnare; e in quel 1951, risultarono catturati 6.915 tonni, per un totale di oltre 8.100 quintali.





Oltre a realizzare le fotografie, List descrisse in quella occasione in maniera quasi didascalica la storia della tonnara delle Egadi e le fasi della mattanza.
Più interessanti sono invece alcune informazioni sulla vita quotidiana dei tonnaroti favignanesi e sul lavoro svolto all'interno dello Stabilimento:


"I pescatori dell'isola di Favignana, cui non si offre localmente altra possibilità di lavoro, vengono assunti per tre mesi l'anno, e cioè dalla metà di aprile alla metà di luglio, presso la tonnara Florio.
Tutta l'organizzazione della tonnara, la manutenzione delle lunghissime reti, ma soprattutto la tenuta in esercizio del grande stabilimento annesso, nel quale il pesce viene subito lavorato, richiedono l'impiego di capitali talmente cospicui che i pescatori non potrebbero, con i loro mezzi economici, dedicarsi a questo genere di pesca...
Allo stabilimento, i pesci vengono scaricati con argani e pesati sotto il controllo della polizia urbana.
La testa viene tagliata via, non prima però che venga tolta la tenerissima carne posto sotto l'occhio.






Indi si tolgono le interiora, nei maschi gli apparati seminali, nelle femmine le uova, e i pesci vengono così appesi per la coda lunata in lunghe file.
Tutto ciò viene fatto in locali all'aperto, e molti operai con forti getti d'acqua curano che il pavimento venga subito liberato dall'abbondante sangue versato dalle vittime.
I pesci che risultano al di sotto di un determinato peso, passano subito ai compratori, i quali li rivendono allo stato fresco nei mercati ittici italiani.
Gli altri, già il giorno successivo, vengono tagliati a pezzi e indi messi a cuocere.
Dopo la cottura, i pezzi vengono messi in scatola su lunghe tavole da operaie addette.
Anche queste scatole vengono fabbricate nello stabilimento.
I figli piccoli di queste operaie vengono assistiti, durante il lavoro delle loro madri, in un piccolo asilo-nido.
Le scatole vengono in seguito portate in un altro locale, dove sono riempite di olio fino all'orlo e poi chiuse.
Lo stabilimento è considerato fuori dogana.
Esso non rimane inattivo durante la restante parte dell'anno.
Si importa il tonno da altri Paesi.
In Norvegia, ad esempio, la pesca del tonno ha luogo alla fine dell'estate.
I pesci vengono messi in ghiaccio e trasportati dal Nord fino alla Sicilia, per essere qui lavorati..."