Una pagina di Sciascia, la cronaca delle stragi e la storia sociale dell'isola sul doloroso tema dell'immigrazione
"Era una notte che pareva fatta apposta, un'oscurità cagliata che a muoversi quasi se ne sentiva il peso. E faceva spavento, respiro di quella belva che era il mondo, il suono del mare: un respiro che veniva a spegnersi ai loro piedi.
Una pagina del racconto "Il lungo viaggio" tratto dal libro di Leonardo Sciascia "Il mare colore del vino", edito nel 1973 da Einaudi |
"Era una notte che pareva fatta apposta, un'oscurità cagliata che a muoversi quasi se ne sentiva il peso. E faceva spavento, respiro di quella belva che era il mondo, il suono del mare: un respiro che veniva a spegnersi ai loro piedi.
Stavano, con le loro valigie di cartone e i loro fagotti, su un tratto di spiaggia pietrosa, riparata da colline, tra Gela e Licata: vi erano arrivati all'imbrunire, ed erano partiti all'alba dai loro paesi; paesi interni, lontani dal mare, aggrumati nell'arida plaga del feudo. Qualcuno di loro, era la prima volta che vedeva il mare: e sgomentava il pensiero di dover attraversarlo tutto, da quella deserta spiaggia della Sicilia, di notte, ad un'altra deserta spiaggia dell'America, pure di notte..."
Era il 1973 quando Leonardo Sciascia descrisse nel racconto "Il lungo viaggio" ( in "Il mare colore del vino", Einaudi ) la traumatica esperienza di alcuni migranti siciliani truffati da un gruppo di scafisti che li avrebbero sbarcati a Santa Croce di Camarina.
Quarantadue anni fa, quelle pagine ebbero quasi un carattere profetico rispetto al dramma epocale delle traversate di migranti lungo le rotte di quello stesso canale di Sicilia.
Di quei viaggi disperati, diventati ormai eccidio di massa, l'isola è diventata negli ultimi anni destinazione di morte o di salvezza.
A coloro che riescono a sopravvivere alle incognite del viaggio - prologo di altri trasferimenti - la Sicilia offre quella accoglienza che è la dote naturale di una terra da cui, nel frattempo, si continua ancora ad emigrare.
Certo, i siciliani non vanno via utilizzando i barconi; l'abbandono del loro luogo di nascita impoverisce però un'isola che con i suoi migranti perde le risorse sociali più motivate a garantirsi un futuro migliore.
Questo post è stato pensato dopo l'ennesima notizia di uno sbarco di massa di migranti a Palermo, 52 dei quali morti per asfissia.
Ancora in questa occasione, la Sicilia è insomma chiamata ad assolvere il suo doloroso ruolo di frontiera Sud dell'Europa, "madre" di tutte le migrazioni: sia dei siciliani andati via negli ultimi due secoli, sia di quelli che da vent'anni arrivano come un fiume in piena - i vivi e i morti - dalle coste della Libia.
Quarantadue anni fa, quelle pagine ebbero quasi un carattere profetico rispetto al dramma epocale delle traversate di migranti lungo le rotte di quello stesso canale di Sicilia.
Di quei viaggi disperati, diventati ormai eccidio di massa, l'isola è diventata negli ultimi anni destinazione di morte o di salvezza.
A coloro che riescono a sopravvivere alle incognite del viaggio - prologo di altri trasferimenti - la Sicilia offre quella accoglienza che è la dote naturale di una terra da cui, nel frattempo, si continua ancora ad emigrare.
Certo, i siciliani non vanno via utilizzando i barconi; l'abbandono del loro luogo di nascita impoverisce però un'isola che con i suoi migranti perde le risorse sociali più motivate a garantirsi un futuro migliore.
Questo post è stato pensato dopo l'ennesima notizia di uno sbarco di massa di migranti a Palermo, 52 dei quali morti per asfissia.
Ancora in questa occasione, la Sicilia è insomma chiamata ad assolvere il suo doloroso ruolo di frontiera Sud dell'Europa, "madre" di tutte le migrazioni: sia dei siciliani andati via negli ultimi due secoli, sia di quelli che da vent'anni arrivano come un fiume in piena - i vivi e i morti - dalle coste della Libia.