Uomini e bambini su un carretto di Melilli. Fotografia di Mario Torrisi tratta dall'opera di Giuseppe Fava "Processo alla Sicilia" edita nel 1966 da ITES Catania |
"... Il rapido mutar delle cose e delle persone è di questa zona l'aspetto più essenziale, quel che ne domina l'atmosfera, laddove l'immutabilità o la lentezza delle mutazioni è stata la dominante caratteristica della Sicilia e lo è ancora in tante altre sue parti. Ma, si badi, non si tratta di un processo ordinato e senza scosse, bensì tumultuoso, a sprazzi, e per di più, costoso, non solo nel campo strettamente economico, ma anche in quello della psicologia sociale e individuale per l'insorgere di squilibri e traumi prima sconosciuti..."
Era il 1961 quando il giornalista e saggista Mario Farinella sottolineò nell'opera "Sicilia" ( volume II della collana "Tuttitalia" edita da G.C.Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini, Firenze-Milano ) la tumultuosa trasformazione della provincia di Siracusa, causata dalla diffusione dell'economia industriale su un litorale di trenta chilometri, fra Augusta e la periferia della stessa Siracusa. Il primo segnale di quel processo si era colto fra il 1949 ed il 1950, quando in località Punta Cugno di Augusta era sorta una raffineria di petrolio della società RASIOM. Quella costa bagnata da un mare cristallino e caratterizzata dalla presenza di oliveti, vigneti e seminativi, subì da allora una delle più radicali mutazioni paesaggistiche e sociali del Novecento siciliano: un'invasiva gemmazione di cementerie, centrali elettriche, impianti petrolchimici, fabbriche di asfalti, bitumi ed alluminio, con un corollario di decine di altri stabilimenti impegnati in attività dell'indotto. Le secolari attività agricole e pastorali, spesso condotte con metodi arretrati e poco remunerativi, apparvero allora il segno di un passato messo rapidamente in archivio dalla possibilità di trovare lavoro in una fabbrica. Nelle province di Siracusa e Ragusa, gli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo rappresentarono così un ventennio di relativo benessere economico e di crescita dei consumi per migliaia di famiglie. Fu però un beneficio destinato a breve vita, e con conseguenze gravose per l'ambiente. L'inquinamento dell'aria e del mare provocato dagli scarichi industriali ( e dalla totale assenza di controlli ) spinsero nell'agosto del 1976 l'assessorato regionale allo Sviluppo Economico a stabilire il divieto di costruire edifici per uso abitativo nell'area compresa fra Priolo e Marina di Melilli ( una decisione forse dettata anche dalla volontà di destinare le aree edificabili alla crescita di altre aziende ). Proprio a Marina di Melilli si segnalò un alto tasso di inquinamento provocato dagli scarichi della ISAB - l'Industria Siciliana Asfalti e Bitumi - e dalla COGEMA, la Compagnia Generale del Magnesio. Oltre 180 famiglie chiesero allora alla Prefettura di Siracusa il trasferimento a Floridia. Le loro proteste sfociarono in più occasioni nel blocco del traffico ferroviario e stradale. Soffocata dalle fabbriche e dall'inquinamento dell'aria e del mare, l'intera comunità di Marina di Melilli abbandonò la borgata nel 1979. Il suo esodo fu favorito dal locale Consorzio dell'Area di Sviluppo Industriale, dietro la promessa di un rimborso del valore delle case e di un "bonus" equivalente del 50 per cento del valore dell'immobile a titolo di "indennizzo morale".
Nel frattempo, numerosi abitanti del borgo di pescatori avevano sofferto patologie tumorali, malformazioni e patologie all'apparato respiratorio: conseguenze dell'inquinamento che nessun tipo di compenso economico avrebbe potuto sanare. Dopo l'allontanamento della popolazione - ad eccezione di un unico abitante "resistente", Salvatore Gurreri, ucciso con modalità mafiose nel 1992 - le ruspe demolirono le case di Marina di Melilli. Il progetto era quello di dare ancora spazio alla costruzione di strutture industriali, che in quel 1979 fecero però registrare i primi segni di smantellamento. La ISAB, che cinque anni prima dava lavoro a 4.900 operai, aveva nel frattempo ridotto la sua pianta organica a poche centinaia di addetti.
Nel 1966 - periodo di inarrestabile industrializzazione della provincia siracusana - Giuseppe Fava poteva scrivere sul quotidiano "La Sicilia" che "diecimila famiglie erano state liberate dalla miseria". Fava tuttavia non manco di sottolineare come la massiccia installazione su quel territorio di attività industriali avesse per sempre "distrutto l'antico panorama del Sud, ammorbato l'aria, velato il sole con i suoi fumi e vapori, sporcato ed avvelenato l'acqua del mare..."