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venerdì 18 aprile 2025

PREPARATIVI DELLA CATARSI TRAPANESE PER IL "VENERDI SANTO"

Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Il "Venerdi Santo" Trapani vive il rito collettivo dei "Misteri": il rituale di luci, colori, profumi e note pompose e strazianti che raccontano la passione e la morte di Cristo. E' una catarsi popolare che dura quasi 24 ore, portata in strada dalle venti processioni dei simulacri allestiti nei giorni precedenti dalle confraternite cittadine all'interno della chiesa delle Anime Sante del Purgatorio.










lunedì 31 marzo 2025

ALTITUDINE A PALERMO

Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia

 

giovedì 27 marzo 2025

LA CONTADINA CON I LIMONI DI GIUSEPPE MIGNECO

 








L' ABILITA' AGRIGENTINA DI FERMARE ANCHE IL CAMMINO DI UN ELEFANTE

Case e viadotto ad Agrigento.
Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Le assai incerte vicende che raccontano in questi mesi la storia di Agrigento Capitale della Cultura Italiana per il 2025 suggeriscono qualche considerazione sull'indole della città e dei suoi amministratori, incapaci di valorizzare - per Agrigento e per la sua comunità - un'investitura che in altre città ha invece generato durevoli benefici.  

 "Quello degli agrigentini verso la loro città - ha scritto a questo proposito nel 2007 l'economista agrigentino Francesco Pillitteri nel saggio "Con la testa all'indietro" ( Gruppo Editoriale Kalos, Palermo ) - è un amore strano: se si ascoltano i singoli cittadini tutti si lamentano che manca l'acqua, che le strade sono sporche, che c'è disoccupazione e miseria, ma mai nessuno è disposto seriamente a scioperare, a scendere decisamente in piazza.

La verità è che in fondo tutti sperano di ottenere sopportando, convinti, come sono, che non si ottiene nulla se non con la tecnica del favore.



Sì! Gli agrigentini mormorano spesso e volentieri, ma non alzerebbero mai un dito per cacciare una mosca, giacché anche la mosca fa temere e sperare... Le carenze urbanistiche e le pochezze architettoniche delle costruzioni ( ... ) permangono e si perpetuano tutte anche nel nuovo, così come immutato è rimasto il carattere dei suoi abitanti, con le loro beghe di paese, con i loro egoismi, con quell'assurda concettuale incapacità di valutare l'importanza del bene pubblico, con la precisa convinzione che chi può deve fare solo per sé e per gli amici..."

Ma, nonostante tutto io amo questa città che ha, da sempre, inconsapevolmente subito le responsabilità dei suoi contorti abitanti, di uomini incapaci di aperte e ferme opposizioni e però abilissimi nel fermare il cammino anche di un elefante..."





venerdì 14 marzo 2025

PALERMO, LA CITTA' CHE ANCORA "SFUGGE ALLA SUA MARINA"

La costa orientale di Palermo
in una fotografia pubblicata nel 1956
dall'opera "Visioni di Palermo",
edita dall'Istituto Geografico De Agostini di Novara


Molti anni prima che Leonardo Sciascia teorizzasse a Domenico Porzio che a Palermo "non importasse niente del mare, avendogli voltato le spalle... Forse Palermo, in quanto capitale, dal mare non ha visto venire che invasori. Si è difesa da tutto quanto portava il mare..." ( "Fuoco all'anima. Conversazioni con Domenico Porzio", Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1992 ), la stessa convinzione era stata espressa dallo storico dell'arte Giuseppe Bellafiore:

"Nell'acceso trasfigurarsi del giorno, si staglia sul golfo la massa del monte Pellegrino e riposa la città tremolante di luci. Solamente da qui - scrisse nella didascalia della foto pubblicata nel 1956 dall'opera "Visioni di Palermo" edita da Istituto Geografico De Agostini di Novara - il mare alita su Palermo che in ogni altra parte sfugge alla sua marina..."



Negli ultimi anni, Palermo ha in parte recuperato la sua identità di città marinara grazie alle opere dell'Autorità Portuale della Sicilia Occidentale. L'intervento più appariscente è stato quello della realizzazione del "Palermo Marina Yachting", il molo trapezoidale affiancato dai resti dello storico Castello al Mare e da un bacino artificiale munito di un ridondante gioco di zampilli di acqua.



Tuttavia, la vera sfida che Palermo dovrà affrontare per diventare a pieno titolo una città aperta al suo mare sarà quella del recupero della sua costa orientale, da Sant'Erasmo alla Bandita, dallo Sperone ad Acqua dei Corsari: un litorale devastato da decenni di abusi edilizi e scarichi illegali, per il cui complesso recupero si è prospettato nel 2023 l'impiego di 70 milioni di euro. 

giovedì 13 marzo 2025

POLLINA, IL PAESE CHE SOVRANEGGIA LA SICILIA

Anziani a Pollina, 2016.
Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Il paese di Pollina è uno di quei luoghi della Sicilia che impongono la scelta di arrivarci, isolato com'è ad una altezza di 763 metri su un cocuzzolo da cui è possibile ammirare a perdita di occhio il territorio interno dell'Isola ed il mare Tirreno che lo lambisce a settentrione. Questa particolare collocazione venne già evidenziata nel 1855 da Vito Maria Amico, che ne lodò la "saluberrima aria" ed il territorio circostante coltivato ad "oliveti, vigneti, frassineti e biade": uno scenario che dopo quasi due secoli si è conservato a beneficio di quanti oggi decidano di visitare Pollina.

"Paese fondato nella vetta di un monte, che soprastando sugli altri alla spiaggia aquilonare ( settentrionale, n.d.r. ) della Sicilia - scrisse D'Amico in "Dizionario topografico della Sicilia" - sovraneggia a tutta la regione ed all'opposto mare Tirreno. Era ricinto di mura e presentava difficile ad espugnarsi una rocca sovrapposta a rupi verso libeccio, disgiunta da una fossa e con un ponte; era dunque munitissimo il paese per sito e per arte..."


lunedì 3 marzo 2025

SELINUNTE, IL RESTAURO DELLA TESTA LEONINA DI MARMO DI PAROS

Foto
Ernesto Oliva
-ReportageSicilia


Con i suoi 270 ettari di superficie - 110 dei quali urbanizzati - Selinunte è destinata ancora per un lunghissimo periodo a riservare nuove piccole e grandi scoperte ai ricercatori. Una delle ultime risale all'agosto del 2023, quando un gruppo di archeologi tedeschi dell'Università di Bochum riportò alla luce nei pressi dell'antico porto orientale della città fondata da coloni megaresi nel 628 avanti Cristo una testa leonina di marmo - una "sima" - pesante 250 chilogrammi. La scoperta avvenne nell'ultimo giorno programmato di scavi, ad una profondità di poco meno di due metri, in un terreno composto in buona parte da terriccio. La "sima", risalente al IV secolo avanti Cristo, era destinata ad ornare la parte superiore di un tempio o di uno degli edifici monumentali pubblici, costruiti soprattutto nei luoghi sacri. Aveva però anche uno scopo pratico - di tipo idraulico - perché serviva a fare defluire l'acqua piovana verso terra, grazie alla presenza di un beccuccio non presente in questo esemplare. L'eccezionalità della "sima" selinuntina risiede nella qualità del suo materiale marmoreo tendente al grigio, che indagini di laboratorio hanno stabilito provenire con certezza da una cava dell'isola di Paros, nelle Cicladi. La testa leonina viene sottoposta da qualche settimana ad un lavoro di pulitura e restauro nel laboratorio allestito all'interno del Baglio Florio, all'interno del Parco Archeologico. Grazie all'utilizzo del laser e degli ultrasuoni, si stanno rimuovendo le incrostazioni che nel corso dei secoli hanno intaccato la levigatezza della testa leonina, soprattutto della criniera. A Selinunte, già in passato erano stati recuperati frammenti di "sime" in marmo, ma di più piccole dimensioni. 



Un ultimo ritrovamento di alcune parti risale a poche settimane, a suggerire l'ipotesi che altre teste leonine potrebbero trovarsi nel sottosuolo dell'estesa area archeologica. La datazione al IV secolo e la mancata definizione di alcuni particolari della "sima" venuta alla luce nel 2023 fanno ipotizzare che la sua lavorazione venne bruscamente interrotta. 



Forse, accadde all'incirca nel 409 avanti Cristo, quando "i Cartaginesi - ha scritto nel 2005 Dieter Mertens nell'opera "Urbanistica e architettura nella Sicilia greca" ( a cura di Patrizia Minà, Regione Siciliana, Assessorato dei Beni Culturali e Pubblica Istruzione ) - in un contesto politico profondamente mutato, assediano e prendono la città in pochi giorni, la radono al suolo e ne annientano la popolazione..." 

giovedì 27 febbraio 2025

MARETTIMO, L'ISOLA PER "FORTE GENTE DI MARE" CHE HA VARCATO L'OCEANO ATLANTICO

Pescatori a Marettimo.
Fotografia di Franco Patini
tratta da "vie d'Italia e del Mondo"
edito dal Touring Club Italiano
nell'aprile del 1969


"Marettimo, "ultima che in mare giace, rocciosa, aspra", è stata da sempre, come l'Itaca di Ulisse, buona per forte gente di mare. Da Marettimo, in tempi di penuria, i pescatori sono emigrati in America, e lì, in California, hanno continuato a lavorare sul mare"

Così Vincenzo Consolo descrisse in "Meridiani Sicilia-Isole" edito a Milano nel giugno del 2000 da Editoriale Domus la realtà sociale di Marettimo, da sempre legata alle attività della pesca. L'emigrazione dei marettimari oltre l'Oceano Atlantico è un fenomeno a sé rispetto agli altri flussi migratori che nel Novecento hanno segnato le vicende delle rimanenti isole minori della Sicilia, a cominciare da Favignana e Levanzo e dalle Eolie. Ne ha scritto Gin Racheli in "Le isole minori della Sicilia", edito a Catania da Giuseppe Maimone Editore nel 1989:

"Tra il 1951 e il 1971 emigrarono dall'arcipelago ( delle Egadi, ndr ) 2214 persone, pari al 29 per cento della popolazione, altre 811 se ne andarono tra il 1971 e il 1975. Il fenomeno non dipese dalla crisi delle tonnare, quanto dall'evidente esubero della popolazione rispetto alle capacità reali di sussistenza delle Isole; d'altra parte, le attività traenti dell'agricoltura e del tufo furono abbandonate. Quella estrattiva a causa del proibitivo costo dei trasporti, quella agricola di riflesso all'emigrazione e alla disaffezione dei giovani.



Un caso particolare va considerato Marettimo, dove il flusso migratorio è tuttora in atto, mentre ha subìto un arresto negli ultimi tre anni nelle altre due Isole. Ma a Marettimo molti abitanti si trasferiscono ( più che emigrare ) per periodi di parecchi anni in America, dove da generazioni hanno cospicui interessi in fiorenti imprese di pesca, e in genere tornano a casa per trascorrervi la vecchiaia..."  



mercoledì 26 febbraio 2025

IL RICORDO DI SICILIA DI CLAUDE BERTMAN








 

IMPRESSIONI DI GIACOMO ETNA SU ERICE, IL BORGO CON LE FINESTRE "PAUROSE DEL SOLE"

Donna ad Erice.
Fotografia di Nino Teresi
pubblicata dalla rivista "Sicilia",
opera citata nel post


Giacomo Etna - pseudonimo del giornalista, scrittore e saggista di Niscemi Vincenzo Musco - visitò Erice pochi mesi dopo che la costruzione della teleferica aveva scalfito l'isolamento del borgo da Trapani. Con questo mezzo di trasporto raggiunse la cima di monte San Giuliano, "per immergersi in un'atmosfera senza tempo, in cui la storia diventa una favola meravigliosa e la favola acquista la parvenza di una realtà storica".

"Nell'età classica e del Medio Evo - scrisse Giacomo Etna sulla rivista "Sicilia" edita nel luglio del 1958 dall'assessorato regionale Turismo e Spettacolo - Erice fu una grossa città, ora è quasi un villaggio alle cui porte si è fermata la vita, formandone un'oasi di pace nel turbinio della civiltà moderna. Le vie sono strettissime come cunicoli di un labirinto e le case dell'Ottocento, costruite con la tecnica in un uso qualche millennio avanti l'era cristiana, somigliano a quelle del Duecento e del Trecento con i medesimi cortiletti ombrati di pergole, le medesime scalette dai gradini ornati di vasi, le medesime finestre paurose del sole..." 

mercoledì 19 febbraio 2025

MARINA DI MELILLI, IL BORGO CANCELLATO NEL NOME DELL'INDUSTRIA

Uomini e bambini su un carretto di Melilli.
Fotografia di Mario Torrisi
tratta dall'opera di Giuseppe Fava
"Processo alla Sicilia"
edita nel 1966 da ITES Catania


"... Il rapido mutar delle cose e delle persone è di questa zona l'aspetto più essenziale, quel che ne domina l'atmosfera, laddove l'immutabilità o la lentezza delle mutazioni è stata la dominante caratteristica della Sicilia e lo è ancora in tante altre sue parti. Ma, si badi, non si tratta di un processo ordinato e senza scosse, bensì tumultuoso, a sprazzi, e per di più, costoso, non solo nel campo strettamente economico, ma anche in quello della psicologia sociale e individuale per l'insorgere di squilibri e traumi prima sconosciuti..."

Era il 1961 quando il giornalista e saggista Mario Farinella sottolineò nell'opera "Sicilia" ( volume II della collana "Tuttitalia" edita da G.C.Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini, Firenze-Milano ) la tumultuosa trasformazione della provincia di Siracusa, causata dalla diffusione dell'economia industriale su un litorale di trenta chilometri, fra Augusta e la periferia della stessa Siracusa. Il primo segnale di quel processo si era colto fra il 1949 ed il 1950, quando in località Punta Cugno di Augusta era sorta una raffineria di petrolio della società RASIOM. Quella costa bagnata da un mare cristallino e caratterizzata dalla presenza di oliveti, vigneti e seminativi, subì da allora una delle più radicali mutazioni paesaggistiche e sociali del Novecento siciliano: un'invasiva gemmazione di cementerie, centrali elettriche, impianti petrolchimici, fabbriche di asfalti, bitumi ed alluminio, con un corollario di decine di altri stabilimenti impegnati in attività dell'indotto. Le secolari attività agricole e pastorali, spesso condotte con metodi arretrati e poco remunerativi, apparvero allora il segno di un passato messo rapidamente in archivio dalla possibilità di trovare lavoro in una fabbrica. Nelle province di Siracusa e Ragusa, gli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo rappresentarono così un ventennio di relativo benessere economico e di crescita dei consumi per migliaia di famiglie. Fu però un beneficio destinato a breve vita, e con conseguenze gravose per l'ambiente. L'inquinamento dell'aria e del mare provocato dagli scarichi industriali ( e dalla totale assenza di controlli ) spinsero nell'agosto del 1976 l'assessorato regionale allo Sviluppo Economico a stabilire il divieto di costruire edifici per uso abitativo nell'area compresa fra Priolo e Marina di Melilli ( una decisione forse dettata anche dalla volontà di destinare le aree edificabili alla crescita di altre aziende ).  Proprio a Marina di Melilli si segnalò un alto tasso di inquinamento provocato dagli scarichi della ISAB - l'Industria Siciliana Asfalti e Bitumi - e dalla COGEMA, la Compagnia Generale del Magnesio. Oltre 180 famiglie chiesero allora alla Prefettura di Siracusa il trasferimento a Floridia. Le loro proteste sfociarono in più occasioni nel blocco del traffico ferroviario e stradale. Soffocata dalle fabbriche e dall'inquinamento dell'aria e del mare, l'intera comunità di Marina di Melilli abbandonò la borgata nel 1979. Il suo esodo fu favorito dal locale Consorzio dell'Area di Sviluppo Industriale, dietro la promessa di un rimborso del valore delle case e di un "bonus" equivalente del 50 per cento del valore dell'immobile a titolo di "indennizzo morale"



Nel frattempo, numerosi abitanti del borgo di pescatori avevano sofferto patologie tumorali, malformazioni e patologie all'apparato respiratorio: conseguenze dell'inquinamento che nessun tipo di compenso economico avrebbe potuto sanare. Dopo l'allontanamento della popolazione - ad eccezione di un unico abitante "resistente", Salvatore Gurreri, ucciso con modalità mafiose nel 1992 - le ruspe demolirono le case di Marina di Melilli.  Il progetto era quello di dare ancora spazio alla costruzione di strutture industriali, che in quel 1979 fecero però registrare i primi segni di smantellamento. La ISAB, che cinque anni prima dava lavoro a 4.900 operai, aveva nel frattempo ridotto la sua pianta organica a poche centinaia di addetti.



Nel 1966 - periodo di inarrestabile industrializzazione della provincia siracusana - Giuseppe Fava poteva scrivere sul quotidiano "La Sicilia" che "diecimila famiglie erano state liberate dalla miseria". Fava tuttavia non manco di sottolineare come la massiccia installazione su quel territorio di attività industriali avesse per sempre "distrutto l'antico panorama del Sud, ammorbato l'aria, velato il sole con i suoi fumi e vapori, sporcato ed avvelenato l'acqua del mare..."   

sabato 15 febbraio 2025

PESCATORI DI GRANCHI A TRAPANI


Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Con la bassa marea, la laguna rocciosa fra l'edificio dell'ex Lazzaretto e la Colombaia di Trapani emerge quasi completamente. E' in quel momento che i pescatori - le ginocchia poggiate su una tavoletta di legno, gli occhi e le mani pronte ad inseguire e catturare la piccola preda - si chinano sulle pozze di acqua per assicurarsi un bottino di granchi ed altri crostacei marini: una fatica silenziosa, sferzata dal vento che in questa zona di Trapani soffia in maniera vigorosa.

FOLCO QUILICI E L'EMOZIONE ARCANA DI UNA VISITA A SEGESTA

Lettura a Segesta.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Giungere a Segesta da terra - ha scritto Folco Quilici nel saggio fotografico "Sicilia", edito da Esso Italiana nel 1977 - è un'emozione arcana; dall'alto, se ne comprende ampiezza e vastità. La proporzione perfetta del tempio assume un valore che va oltre quello della storia dell'arte e della civiltà; è un rapporto tra l'opera dell'uomo e la natura che supera persino una semplice dimensione storica"

domenica 9 febbraio 2025

ARTE POPOLARE E DEVOZIONE NEGLI "EX VOTO" DEI PESCATORI E DEI MARINAI A SCIACCA

Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia




"Il 26 novembre 1855 verso le ore 5 e mezza p.m. lo schifaccio siciliano Madonna del Soccorso naufragò sulla costa del Gozo di Malta al capo San Dimitri per un violento colpo di vento. Tutto il carico di legno andarono perduti e la ciurma insieme al capitano si sono salvati mediante l'intercessione della grande Vergine Maria del Soccorso"

La scritta che dopo 170 anni racconta la vicenda di un naufragio in mare avvenuto nelle acque maltesi di Gozo si legge in una delle 29 tavolette votive - note come "ex voto" - conservate all'interno della chiesa di Sant'Agostino, a Sciacca. La storia di queste piccole opere di devozione popolare, legate al culto locale della Madonna del Soccorso - patrona della cittadina agrigentina ( devozione diffusa soprattutto fra i pescatori ) - si deve alla mano di anonimi artigiani. 





Erano loro ad eseguire gli "ex voto" commissionati dagli equipaggi scampati a tempeste ed incidenti che ancora oggi rendono insidioso il lavoro in mare. Le tavolette visibili nelle due pareti adiacenti all'altare maggiore della chiesa di Sant'Agostino sono per lo più datate tra la fine del Settecento e la fine del secolo successivo. In passato, furono collocate in una parete vicina all'uscita dalla chiesa: la scomparsa di alcuni esemplari ha consigliato di cambiare il loro posizionamento.  In alcune tavolette, oltre alle indicazioni sull'evento occorso all'equipaggio delle imbarcazioni, si leggono gli acronimi "P.G.R" ( "Per Grazia Ricevuta" ) - o "V.F.G.A" ( in latino "Votum Fecit Gratiam Accepit""voto fatto, grazia avuta" ). 





Le iscrizioni presenti su questi ex voto lignei o in semplice tela permettono di identificare i nomi di alcune famiglie saccensi di marinai e pescatori, nonché dei luoghi in cui navigavano al momento del salvataggio attribuito ad un miracolo: oltre a Gozo, da Capo Calavà, nel messinese, a Terranova ( l'antico nome di Gela ), dal promontorio trapanese del Cofano al più lontano "canale di Napoli".  






Nel 1984Matteo Collura dedicò a questi "ex voto" di Sciacca alcune righe dell'opera "Sicilia sconosciuta. Cento itinerari insoliti e curiosi" ( Rizzoli EditoreMilano ):

"Gli "ex voto" superstiti bastano per dare un'idea di quest'arte popolare che seppe coniugare a forti tinte la drammaticità dell'evento con il manifestarsi della provvidenza, del miracolo, della grazia.






Le tavolette votive conservate nella chiesa di Sant'Agostino vanno dal 1700 alla fine del 1800. Assomigliano, nello stile, a quelle conservate nelle chiese costiere della Liguria. Alcune sono di grande effetto e drammaticità, altre appaiono dipinte con una certa ingenuità ed approssimazione..."  

domenica 2 febbraio 2025

LE ORIGINI ARABE DELLE TRE VALLI DI SICILIA

Carta della Sicilia di Pierre Duval,
"La Gèographie Universelle Qui Fait Voir 
L'Estat Present Quatre Parties du Monde"
, 1661


"L'Isola di Sicilia - ha scritto Fabio Granata nel saggio "Siciliano per cultura" ( Bonanno Editore, Acireale-Roma, 2020 ) - ha conosciuto ... una suddivisione in "Valli" per tutto il "lungo Medioevo", fino alle riforme amministrative borboniche dei primi dell'Ottocento. Secondo la tradizione più comune tre, che prendevano il nome dalle città principali del territorio al tempo della conquista araba: il Val di Noto, il Val Demone ( che ricorda nel nome l'antica e scomparsa città di Demenna ), il Val di Mazara. 



Il termine "Val" - declinato al maschile - deriva dall'arabo Walayah ( provincia, prefettura ) o Wilayah ( distretto governativo ), giurisdizionale di un magistrato, il Wali. La cancelleria normanna adattò al latino la parola araba, che divenne "Val"..."





mercoledì 29 gennaio 2025

UN REPORTAGE DI GIUSEPPE QUATRIGLIO SUL "TARATATA'" DI CASTELTERMINI

La festa del "Taratatà" di Casteltermini
descritta in un articolo pubblicato nel 1957
dal giornalista e saggista Giuseppe Quatriglio.
Opera citata nel post.


"Ma cosa è questo "tataratà"? E' quel che rimane di un vecchio "ludo", dicono alcuni; è il simbolo della perenne lotta fra il bene ed il male, aggiungono altri. Certo è che lo sciabolare degli spatolatori sa di vecchio Siam, di rituale magico, di sfogo e di "catarsi" e anche, a volerci pensare, di teatro rudimentale. Forse è tutte queste cose messe insieme o non è nulla di tutto questo"

Quasi settanta anni fa, il giornalista e saggista Giuseppe Quatriglio pose la questione sul significato del "Taratatà"; così si chiama la manifestazione organizzata da secoli a Casteltermini, annualmente, dopo la Pasqua e prima del Corpus Domini. Quatriglio sollevò la questione in un reportage pubblicato dalla rivista "Sicilia Mondo" edita a Palermo nel dicembre del 1957. L'articolo, corredato dalle fotografie riproposte da "ReportageSicilia", descrive così il pieno coinvolgimento di Casteltermini nell'evento:

"Della festa di Santa Croce o "Taratatà", che viene celebrata ogni anno la quarta domenica di maggio, a partire dal venerdi, la gente del luogo si occupa praticamente tutto l'anno. Giovani donne che hanno appreso il mestiere dalle madri e dalle nonne stanno lunghi mesi chine sui telai a ricamare le gualdrappe dei cavalli di velluto cremisi con fili di argento e d'oro. Altre giovani confezionano gli addobbi di lana per i muli con ricami policromi di seta. Gli uomini preparano i "pallii", gli stendardi delle corporazioni che prendono parte alla sfilata. Si tratta di ricchi broccati, gelosamente custoditi da anni, che bisogna disporre accuratamente attorno ad una ossatura di legno e di tela secondo un disegno che ripete motivi tradizionali. Appena è primavera si tolgono dalla naftalina i costumi che saranno indossati dal "capitano", dall'"alfiere", dal "sergente", nonché dal "re", dal "notaio", dal "dottore", dagli "spatolatori di lino". Quando occorrono riparazioni o rifacimenti le donne si mettono al lavoro con diligenza e mettono tutto a posto con amore e bravura. Le picche, le bandiere, i cappelli piumati, le spade, le bandoliere, tutti gli arredamenti necessari vengono messi in ordine, preparati con somma cura per il grande giorno..."



Nell'articolo, Quatriglio ci informa che all'epoca il "Taratatà" di Casteltermini richiamava i complessi bandistici di altri paesi dell'agrigentino e del palermitano. Quelli di Aragona, Campofranco e Lercara Friddi si mettevano quasi a gara con la banda locale, percorrendo le strade di tutti i quartieri di Casteltermini:

"I tamburi - si legge - cominciano a rullare il "tara, tarata, taratatà". Il segnale che elettrizza tutti giunge all'alba del sabato con lo sparo di mortaretti e bombe che lacerano l'aria e destano gioiosi echi nella vallata. Nel primo mattino le bande sono di nuovo sulla strada e gli ottoni, i clarinetti, le grancasse ritessono i motivi melodici intimamente legati alla festa"

Quindi Quatriglio spiega la leggendaria origine della festa del "Taratatà", legata al rinvenimento di una croce il legno avvenuto secondo alcuni nel 1667, secondo altri almeno duecento anni prima:

"La croce porta incise, tra l'altro, nove iniziali il cui recondito significato venne presumibilmente scoperto soltanto nel 1890 da uno studioso locale, il sacerdote Vincenzo Gaetani. Costui credette di leggere in latino la seguente frase: "Ai martiri di questa terra morti in croce durante la persecuzione di Decio".



La croce, pertanto, dovette servire da strumento di martirio dal 249 al 251 dietro Cristo durante le persecuzioni ordinate dall'imperatore Decio in terra di Sicilia. Certo è che la croce, la quale è alta circa tre metri e mezzo, ed è ora custodita in un eremo a pochi chilometri dall'abitato, dovette rimanere sotterrata molti anni fino al casuale rinvenimento. Fondata Casteltermini nel 1629, i pellegrini cominciarono dopo qualche tempo a rendere omaggio alla Croce; lo stesso capitano giustiziere, accompagnato dal sergente e dall'alfiere, fu il primo a recarsi nell'eremo per venerare la Santa Croce. Insieme alle autorità, anche il popolo usava recarsi in pellegrinaggio sull'altura che custodiva il simbolo del martirio ed è da questo antico devoto omaggio corale che direttamente discendono i riti odierni..."

Quindi Quatriglio potè così descrivere dettagliatamente sulle pagine di "Sicilia Mondo" il tumultuoso svolgimento della festa, da lui presumibilmente osservata a Casteltermini in quello stesso 1957:

"Ieri come oggi ci sono un "capitano", un "sergente" e un "alfiere" che prendono parte alla cavalcata con i loro antichi pittoreschi costumi. I tre dignitari, che appartengono per tradizione al ceto della "maestranza", pongono il loro stendardo sul balcone del municipio e prendono possesso simbolicamente del comune per tutta la durata dei festeggiamenti. La cavalcata è aperta, nella giornata di domenica, dal capitano che sta a cavallo con la sciabola sguainata; l'alfiere, al centro del corteo, si esibisce in ardite evoluzioni con la bandiera, mentre il sergente armato di lancia ha il compito di coordinare la sfilata. Fabbri, meccanici, calzolai, barbieri tutti appartenenti al cento della "maestranza", prodigiosamente trasformati nell'ultima domenica di maggio in impeccabili baldi cavalieri. Seguono i cavalieri celibi e quindi i pecorai e i "borgesi". A questi ultimi si uniscono i "vetturali", i quali, ultimi, cavalcano muli che portano al collo tre o più file di tintinnanti sonagliere. 



Chiude il pittoresco corteo il gruppo del "Taratatà", vale a dire il tamburino e gli "spatolatori di lino", i quali ultimi saltano ritmicamente incrociando le spade. Il "re", il "notaio" e il "dottore", secondo quanto vuole la tradizione, seguono i movimenti degli "spatolatori" chiusi nei loro caratteristici costumi del Settecento. Il corteo, composto di non meno di duecento cavalli e muli, si muove lentamente lungo le vie di Casteltermini, si disperde nelle stradette della periferie e si ricompone ancora nelle vie del centro, passa e ripassa e desta ogni volta genuina emozione. E, soprattutto, c'è il suono del "taratatà", lo sciabolare donchisciottesco e ieratico insieme degli "spatolatori", il mulinare delle spade al ritmo di un tamburo impazzito..."

  


domenica 19 gennaio 2025

LA "POSTEGGIA" DI FRANCO FRANCHI NELLA PALERMO DEL DOPOGUERRA

Franco Franchi in una piazza di Palermo
agli inizi della sua carriera di attore da strada.
Fotografia di Nicola Scafidi tratta 
dall'opera "Sicilia Felicissima",
edita nel 1978 a Palermo da "Edizioni Il Punto"


Nel 1967 Franco Franchi - pseudonimo di Francesco Benenato - e Cicco Ingrassia erano all'apice della loro carriera cinematografica, alimentata dalla instancabile ed intensiva produzione di film regolarmente stroncati dalla critica del tempo ma seguitissimi dal pubblico. ( "Ho visto nelle edicole meridionali molti giornaletti con le avventure di Ciccio e Franco - Franco Franchi e Ciccio Ingrassia - i più dozzinali comici italiani che la TV scaraventa in tutte le case il sabato sera. Non si poteva scendere più in basso e i teatri con i loro ori, con la loro teorica funzione culturale, sono fantasmi del passato. Si può parlare, in questo caso, dei mezzi audiovisivi come fattori di educazione?", scrisse quell'anno il critico musicale Angelo Falvo sul "Corriere della Sera", ndr ).  Ciascuna delle loro pellicole - girate spesso contemporaneamente in due settimane - costava da 100 a 170 milioni e arrivava ad incassarne anche 600 o 700.  Quell'anno nei cinema furono proiettati 9 nuovi film della coppia di comici palermitani; e proprio alla fine del 1967 - il 3 dicembre - il giornalista Pietro Zullino pubblicò sul settimanale "Epoca" una lunga intervista a Franco Franchi. Il reportage ebbe luogo nel suo appartamento romano, al terzo piano di un caseggiato del quartiere Tuscolano, a poca distanza dagli studi di Cinecittà. Nel servizio pubblicato da "Epoca" - intitolato "Il pagliaccio che si chiude in casa ad ascoltare Bach"Franco Franchi spiegò di essere appassionato di musica classica, al punto da ospitare a casa musicisti da camera per ascoltare dal vivo i repertori di Vivaldi, Haydin o Boccherini. L'attore rievocò anche a Zullino i primi anni di povera gavetta artistica vissuta in strada, nella Palermo del secondo dopoguerra:  

"Incominciò a studiare a vent'anni, quando faceva ancora il posteggiatore per le vie di Palermo e, non essendo mai andato a scuola, - si legge nell'articolo del giornalista - sapeva soltanto scrivere la sua firma. La "posteggia", in Sicilia, è lo spettacolino all'aperto che la più infima categoria di attori improvvisa negli angoli delle piazze. In realtà si tratta di una rappresentazione-fiume che dura anche sei ore consecutive e comprende canzoni, scenette, macchiette, in programma e a richiesta.



"Il capocomico incominciava così: "Signore e signori, il teatro ci ha chiuso le porte, siamo ridotti a questo per portare del pane alle nostre mogli e del latte ai nostri bambini... Noi siamo gli attori, noi siamo i cassieri, ogni tre numeri faremo un giro con il cappello... Il comico più bravo lo mettiamo all'asta: un bis vi costa mille, un tris duemila lire"

Franchi rievoca senza nessuna vergogna questi umilissimi inizi. Il comico più bravo naturalmente era lui per le sue imitazioni di Hitler, per i suoi lazzi irresistibili e plebei, per le macchiette di Nicolino Ristrettezza e Arcangelo Bottiglia. Nella gag di Nicolino Ristrettezza, Franco Franchi cantava:

"Con l'impiego che ho trovato, stongo sempre disperato: lo stipendio non mi basta "p'acattà nu chilo 'e pasta". 

Come Arcangelo Bottiglia:

"Ragioniere, ragioniere, voi dovete ragionà..."

Con la canzone boccaccesca "Concì, Concià, Concè", faceva esplodere la piazza. Dopo l'imitazione di Hitler, concludeva suonando un'immaginaria trombetta con naso tra le mani. Si era nell'immediato dopoguerra, e Franchi aveva da poco smesso di fare il garzone di fornaio. La sua vocazione artistica gli era valsa l'espulsione da casa. Viveva di stenti: una volta aveva persino passato la notte in mezzo agli accattoni su un marciapiede, o meglio sulle grate di ferro di un albergo diurno, dalle quali usciva il tiepido vapore degli scaldabagni..."