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Un modello di "Willys Mediterranea" appena messo in strada all'interno dello stabilimento di Carini. Le foto del post sono tratte dal "Giornale di Sicilia" del 3 giugno 1963 |
"Sulla panoramica strada di Monte Pellegrino sfrecciano le più moderne e veloci autovetture, ma sulla vecchia "scala", la strada dei nostri nonni, un solo veicolo si arrampica con disinvolta scioltezza: la "jeep". Non c'è strada o pista, per difficile o accidentata che sia, vietata alla "jeep", l'irresistibile veicolo a quattro ruote motrici, prezioso mezzo meccanico per gli usi più disparati, dal turismo sportivo all'industria, dal commercio all'agricoltura. La versione motoagricola, con svariate applicazioni, ha dato un contributo insostituibile allo sviluppo della meccanizzazione in questo vitale settore della nostra economia. La "jeep", nuova, fiammante, efficientissima, nella sua versione originale, è ora alla portata di tutti, grazie ad una intelligente iniziativa dell'industria siciliana. L'eclettico autoveicolo infatti è interamente montato nei modernissimi stabilimenti di Carini della Willys Mediterranea e può essere ammirata dai visitatori della Fiera del Mediterraneo"
Con queste righe - più una "informazione commerciale" che un articolo giornalistico vero e proprio - nel giugno del 1963 il "Giornale di Sicilia" elogiò un nuovo modello di "jeep" prodotto in uno stabilimento del palermitano, a Carini, dalla "Willys Mediterranea": un fuoristrada capace di conquistare la vetta di monte Pellegrino percorrendo - senza troppa cura, in verità, per lo storico manufatto - la secolare scalinata utilizzata dai fedeli per l'"acchianata" in onore di santa Rosalia.
La "jeep" con il marchio "Willys Mediterranea" era nata grazie ad un'iniziativa promossa dalla SOFIS, la società finanziaria per lo sviluppo industriale della Sicilia creata grazie ad una legge regionale del 5 agosto 1957. L'azienda venne fondata nell'aprile del 1960, con sede a Palermo in via Mariano Stabile 182/A. La proprietà era ripartita fra la Regione Siciliana ( 49,5 per cento ), la Willys Motors Inc. ( 49,5 per cento ) e le Officine Meccaniche Siciliane Società Anonima ( 1 per cento ); quest'ultima azienda metallurgica si dedicava al montaggio dei componenti statunitensi di diversi modelli di "jeep". Sembra che la produzione sia stata avviata nel marzo del 1962, con una previsione giornaliera di 5 esemplari assemblati e pronti per la messa in strada. La "jeep" palermitana veniva proposta in diverse versioni - corta e lunga, con motori benzina e diesel - e con una serie di accessori che promettevano di trasformarla in una "vettura-trattore" per svariati utilizzi agricoli: trivellazioni, spostamenti di terra, irrigazioni, azionamento di pompe e nebulizzatori, sarchiatura ed aratura. Tutti i modelli - dotati di quattro ruote motrici - venivano accreditati della possibilità di superare una pendenza del 72 per cento. In seguito, alle Officine Meccaniche Siciliane Società Anonima subentrò la IAF Palermo - "Industria Autoveicoli Fuoristrada". Già nel 1964, secondo quanto scritto da Michele Pantaleone in "L'industria del potere" ( Cappelli editore, Bologna, 1972 ), le sorti commerciali della "jeep" di Carini non erano confortanti: la IAF Palermo faceva allora registrare 100 milioni di perdite di esercizio. Ancora nel 1966, le vetture vennero presentate alla Fiera di Verona dedicata al settore della metalmeccanica. Nel tentativo di accrescere il suo mercato oltre la Sicilia, la "jeep" venne indicata anche come mezzo utile a spalare la neve, azionare martelli pneumatici e gruppi elettrogeni: un mezzo tuttofare, insomma, che con una più efficace organizzazione commerciale - considerate le condizioni di subalternità rispetto ad altri ben più affermati marchi automobilistici italiani - avrebbe potuto forse trovare maggior fortuna.
Non possediamo dati precisi sulla fine della produzione della "jeep" marchiata IAF Palermo. Di certo, oggi alcuni di questi fuoristrada per un uso prevalentemente agricolo si possono scoprire negli annunci di vendita di veicoli a ragione indicati come "storici". La breve vita di questa azienda automobilistica siciliana, da un altro punto di vista, testimonia il fallimento delle scelte industriali adottate nell'Isola negli anni Sessanta dello scorso secolo. La SOFIS - la società "madre" della "Willys Mediterranea" - non dimostrò del resto maggiore solidità: gestita con fini politico-clientelari, fallì in quello stesso periodo, complice quella che la Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia in Sicilia definì all'epoca come "la promozione di iniziative destituite di qualsiasi fondamento, assunte ingenuamente o allo scopo di favorire determinate persone".