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giovedì 31 marzo 2022

GLI ELOGI DEL CASTELLO DI MUSSOMELI

Il castello di Mussomeli.
Fotografia di Melo Minnella
pubblicata dalla rivista "Sicilia"
edita dall'assessorato regionale al Turismo
nel giugno 1963


"Forse il più pittoresco sito castellano d'Italia". Così l'architetto tedesco Bodo Ebhardt, al servizio dell'imperatore Gugliemo II di Prussia, definì il castello di Mussomeli nell'opera "Die Burgen Italiens" pubblicata fra il 1910 ed il 1927: uno studio comparativo fra i castelli costruiti in Germania ed in Italia. Ebhardt aveva maturato il suo giudizio sul maniero nisseno qualche anno prima, nel corso di una visita dei castelli siciliani che lo aveva portato ad osservare da vicino i fortilizi del palermitano, del messinese, del catanese e dell'ennese. Sembra che lo stesso Guglielmo II - suo mecenate ed in buoni rapporti a Palermo con la famiglia Florio - avesse visitato il castello di Mussomeli fra il 1896 ed il 1905. Di certo, Bodo Ebhardt vi realizzò fotografie e rilievi che a partire dal 1910 contribuirono al complesso restauro della fortezza, da secoli insediata su uno sperone di roccia alta 80 metri sul piano della campagna. La rovina del castello - costruito forse nel secolo XIV su precedenti strutture militari e posseduto per tre secoli da vari proprietari - sarebbe iniziata nel 1603; destinato a carcere, avrebbe conservato questa funzione per pochi anni prima di essere lasciato in stato di totale abbandono. Grazie ai restauri strutturali avviati agli inizi del Novecento, il fortilizio di Mussomeli oggi colpisce per la sua secolare simbiosi con l'ambiente in cui prese corpo:

"Nido d'aquila fuso nella roccia è stato definito questo stupendo castello che, veramente fuso con la roccia, isolato e inespugnabile, fu certamente tra i più importanti dell'Isola. Raggiuntolo - ha scritto Alba Drago Beltrandi in "Castelli di Sicilia" ( Silvana Editoriale D'Arte, 1956, Milano ) - è assai facile riportarsi al tempo del suo splendore, come roccaforte e come stupendo luogo di soggiorno dei fortunati proprietari del tempo..."  

LA PESCHERIA NEL TUNNEL DI CATANIA DI VITTORIO URSO

 


domenica 27 marzo 2022

GLI STUDENTI PERDUTI NELLA SICILIA DESERTIFICATA

Studenti di un liceo a Palermo
a metà degli anni Sessanta.
La fotografia di Giulio Mangano
venne pubblicata il 23 febbraio 1965
dal settimanale "Il Mondo"


"Gli indici di dispersione scolastica riferiti dai tribunali per i minorenni restano tra i più alti in Europa, con un picco drammatico nel passaggio tra la scuola media e le superiori. E con un vulnus ulteriore: dove non arriva l'offerta formativa ed educativa dello Stato, spesso arriva la criminalità organizzata, con un sistema di seduzioni, valori e reclutamenti che segna per sempre il destino di questi minori".
 


Così si legge in un passaggio della recente relazione della Commissione Regionale Antimafia sulla dispersione scolastica, che nell'Isola ha raggiunto il 19,4 per cento: un dato che si raddoppia o triplica nelle periferie urbane e nei paesi delle zone interne, dove la desertificazione demografica sta spopolando di giovani intere aree della Sicilia.



lunedì 14 marzo 2022

LO SGUARDO DI FERNAND BRAUDEL SULLE SALINE DI TRAPANI

Le saline di Trapani.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Il mare fra la Tunisia e la Sicilia - ha scritto nel 1982 lo storico francese Fernand Braudel - è relativamente poco profondo, la sua superficie azzurra era percorsa, come una mano, da vene di un azzurro più intenso: si potevano vedere, ve lo garantisco, l'ombra delle barche sul fondo; a Trapani le saline sembravano un bordo di pizzo..."


venerdì 11 marzo 2022

LA "TITANICA SUPERBIA" DELLE ROVINE DI SELINUNTE

Ricostruzione di Selinunte
all'interno del Museo "A.Salinas" di Palermo.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia



"Agrigento è olimpica. Selinunte - ha scritto Giuseppe Carpi nel reportage "Sicilia del sud greca e barocca" pubblicato nell'aprile del 1956 dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia" - è titanica. E fino a quando non la pettineranno con prati educati, strade asfaltate e fitte reti di una cinta come campi altoatesini, rimarrà uno dei luoghi in cui, con maggiore intensità, si fondano in una unica presenza potenza e desolazione. Sono i templi più colossali del mondo greco e, con quello di Giove Olimpo ad Agrigento, fra i maggiori dell'antichità. Eretti in una terra felice e fertile dove, come scrisse un francese moderno, i greci trovavano la loro America, giacciono ora ammassati in rovine caotiche come morene dell'età glaciale. Fu presumibilmente un terremoto dell'epoca bizantina a farli crollare. Ma è impossibile prescindere, a quella visione, da una sensazione di campo di battaglia di titani, di una collisione di essere sovrumani. E quando si giunge sulla zona degli scavi, le uniche colonne ritte, quelle del tempio C, che si ergono sopra l'Acropoli, lontane e dorate contro l'azzurro del mare, sembrano levarsi possenti e altissime nella superbia impassibile degli ultimi guerrieri vigilanti su un campo di giganti caduti..."

giovedì 10 marzo 2022

LA SICILIA DELLE PORTE CHIUSE DALL'EMIGRAZIONE

Portone di casa
a Lucca Sicula, nell'agrigentino.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Ogni famiglia abita una casa, quasi sempre conquistata dagli avi con l'emigrazione in America dove i nascituri andranno a loro volta per potersi costruire un'altra casa. In queste case non vi è il focolare, quindi mancano il comignolo, il cibo parsimonioso viene preparato su di un fornello a carbone e quando si guarda il disteso villaggio dall'alto di un monte vicino risaltano queste cubiche case nel gioco di ombra e di luce senza che da alcuna esca un filo di fumo a dare il segno di una vita casalinga..."

Nel 1953 Giovanni Comisso così descrisse in "Sicilia" ( Pierre Cailler, Ginevra ) i villaggi siciliani spopolati dall'emigrazione. Segno più evidente dell'esodo erano le decine di case con le porte sbarrate, abbandonate da persone che cercavano lontano dall'Isola un'occasione di sopravvivenza e sviluppo. Settant'anni dopo, in molti paesi della Sicilia - specie quelli delle zone montane - l'emigrazione del secondo millennio continua a desertificare interi quartieri storici. E se i siciliani emigrati negli anni Cinquanta dello scorso secolo finivano spesso, da pensionati, con fare ritorno nelle case da cui erano partiti, i giovani emigranti di oggi vanno via per non tornare più. A Lucca Sicula, nell'agrigentino, nel secondo dopoguerra l'esodo era diretto in Argentina e Venezuela; oggi si emigra verso i paesi dell'Europa - la Germania, soprattutto - nella continua ricerca di un "altrove" che cancella sempre più i segni di vita nelle vecchie ed abbandonate case del paese. 


giovedì 3 marzo 2022

L'ABBANDONO DELLO SPASIMO DI PALERMO NEGLI SCATTI DI ROBERTO COLLOVA'

L'interno della chiesa di Santa Maria dello Spasimo
prima degli interventi di recupero
realizzati fra il 1988 ed il 1995.
Le fotografie del post
sono state realizzate dall'architetto Roberto Collovà,
opera citata


Prima della liberazione da tonnellate di macerie provocate nel centro storico dai bombardamenti del 1943 ed accatastate al suo interno, la cinquecentesca chiesa di Santa Maria dello Spasimo era un monumento perduto alla memoria dei palermitani. Come ha scritto Roberto Alajmo in "Palermo è una cipolla" ( Laterza, 2005 )

"Nemmeno compariva nelle guide; la maggior parte degli stessi abitanti della città ne ignorava l'esistenza o ne aveva sentito parlare come di un luogo leggendario e perduto. Una specie di Atlantide urbana..."

Con un attivismo ed una visione del "fare" assai rara a Palermo, fra il 1988 ed il 1995 lo Spasimo fu riportato all'aspetto attuale: un rudere pienamente leggibile nella sua originaria maestosità ma con il fascino romantico causato dalla sua rovina, cui ha contribuito - nel Settecento - il crollo delle navate. Da allora, palermitani e turisti hanno scoperto la singolare magnificenza di questo monumento, diventato uno dei noti e visitati luoghi della città. Insieme agli anonimi resti edilizi di palazzi e fabbriche distrutte dalle bombe, prima della sua bonifica lo Spasimo ha ospitato anche capitelli, portali e sculture provenienti da chiese ed edifici distrutti o danneggiati dalla guerra: materiale che andò ad aggiungersi a quello accumulato in età borbonica, quando la costruzione fu adibita a deposito comunale. Una delle pochissime documentazioni fotografiche disponibili sullo stato dei luoghi prima del recupero della chiesa si deve agli scatti dell'architetto Roberto Collovà, già docente alla Facoltà di Architettura di Palermo e vincitore di numerosi premi internazionali per le sue progettazioni in Sicilia ed all'estero. Le fotografie di Collovà illustrarono il saggio di Silvana Braida Santamaura "palermo viva", edito nel 1972 dal Rotary Club Palermo Est. Il volume offre una preziosa testimonianza di vita ed architettura palermitana negli anni in cui tutela e recupero del patrimonio monumentale cittadino erano ancora principi in embrione.






"Chi l'ha ricostruita - ha sottolineato Francine Prose in "Odissea siciliana" ( Feltrinelli, 2004 ) decrivendo Santa Maria dello Spasimo - non tanto restaurata, quanto piuttosto trasformata e rivitalizzata, aveva in mente un altro progetto, che non prevedeva il desiderio di rifarla integralmente, di ripararla e di rimetterla a nuovo. Intelligentemente aveva capito che i danni subiti - gli affronti ricevuti durante gli anni in cui fu di volta in volta teatro, lazzaretto per gli appestati, ospizio per i poveri, ospedale - fino al colpo di grazia inferto dai bombardamenti alleati, aggiungevano valore alla sua bellezza e le conferivano un ruolo simbolico e significativo..."