Translate

sabato 29 giugno 2019

COSMA E DAMIANO, I SANTI CHE SI PREGANO E CHE SI MANGIANO

Devozione per Cosma e Damiano
a Sferracavallo, nel palermitano.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
sono tratte dalla rivista "Mediterraneo",
edita nell'agosto del 1976
dalla Camera di Commercio di Palermo

Nati secondo la tradizione agiografica da una famiglia nobile in Cilicia - lungo la costa sud orientale dell'Asia Minore, nell'attuale Turchia - i fratelli Cosma e Damiano, l'uno farmacista, l'altro medico, godono di un culto religioso assai radicato nel Mediterraneo a causa del loro martirio, databile al III secolo dopo Cristo.
Capaci di "risanare gli infermi più con la potenza della preghiera che con le medicine", i santi Cosma e Damiano, prima della decapitazione, secondo la tradizione riuscirono a sopportare ferite e violenze "con generosità ed allegrezza".
La devozione per i due martiri - celebrati il 26 settembre - è viva anche in Sicilia, e soprattutto nella borgata marinara palermitana di Sferracavallo.
Qui, i pescatori sfilano in processione tenendo in alto il fercolo sul quale troneggiano le statue dei fratelli.

"Prima e durante il corteo processionale - ha scritto Fatima Giallombardo in "Sferracavallo. Un villaggio per i Santi" ( in "Santi a mare, ritualità e devozione nelle comunità costiere siciliane", Soprintendenza del Mare di Sicilia, 2009 )- appaiono numerosi i gesti di consacrazione ai santi di molti bambini ( i 'sancusimicchi' ) votati dalle famiglie in seguito a richieste di grazia.
Immagini di Cosimo e Damiano si ritrovano nei banchi dei venditori di caldarroste o di ceci tostati.



L'iconografia delle figure votive si ripete nella plastica dei dolci antropomorfi, ancor oggi confezionati a Palermo da due laboratori nel rione popolare del Capo e venduti, il 26 settembre, nelle bancarelle sia a Palermo che a Sferracavallo al grido:

'Miraculusu è stu santu, miraculusu! L'unicu santu ca si mància, ch'è miraculusu!', 'Questo santo è miracoloso, l'unico santo che si mangia, quant'è miracoloso!'

I santi di pasta melata appaiono identici ai simulacri recati in processione; tra essi è situato l'angelo che, secondo la leggenda, li aiutò nelle terribili ore del martirio.
Nei dolci, sono identificabili anche gli emblemi che nell'iconografia tradizionale sono propri dei martiri: la palma e la scatola per le medicine..."

mercoledì 19 giugno 2019

PANAREA, LA MILLENARIA ISOLA PER NABABBI

"Panarea" di Gabriella Saladino ( particolare ).
Disegno tratto dalla rivista "Sicilia"
pubblicata nel maggio del 1982

"Anche in età greco-romana - ha scritto Giuseppe Iacolino nel reportage "Destinazione Panarea" pubblicato dalla rivista "Sicilia" nel maggio del 1982 - Panarea e Basiluzzo ebbero nuclei abitativi e furono stazioni preferite da sofisticati nababbi liparoti.
Taluni tratti di fondazioni di ville aristocratiche, benché sommersi  per via dei bradisismi, sono ancora oggi distinguibili nei fondali adiacenti.
Avanzi ancora più cospicui notarono i naturalisti del nostro Settecento che visitarono questi luoghi.
'Panarea - afferma l'Houel - ha avuto edifici superbi come Lipari, Stromboli e Basiluzzo, sia la tempo dei Greci, sia al tempo quando i Romani, per il loro gusto del lusso, si servivano di tutti gli elementi per le loro costruzioni'.
La frequentazione umana, a Panarea, praticamente si bloccò per oltre un millennio, dal V al XVI secolo della nostra era.
Fu quello il millennio in cui qua da noi imperversò la pirateria più spietata, da quella vandalica a quella araba e, infine, a quella turchesca.

"Panarea", di Francesca Di Carpinello,
opera citata

I primi a tornare nell'Isola, alla fine del Cinquecento, furono pochi anonimi coraggiosi contadini di Lipari i quali a Panarea e a Basiluzzo ci venivano a coltivar le terre che i vescovi andavano assegnando al clan dei borghesi liparoti.
Ci venivano solo per compiere i lavori stagionali e riposavano in misere capanne di frasche, senza né mogli né figli, perché era vietato dalla legge portare nelle isole minori donne, vecchi e ragazzi..."   

venerdì 14 giugno 2019

TRAPANI E LA QUASI IMPOSSIBILE LOTTA AL POTERE MAFIOSO

Panoramica di Trapani.
La fotografia è stata pubblicata nel marzo del 1963
dalla rivista "Viaggiare" edita a Palermo
dalla Società per l'Incremento Turistico

Agli inizi degli anni Ottanta, investigatori e cronisti abituati ad occuparsi di mafia non poterono che prendere atto della straordinaria presenza di banche a Trapani, in buona parte frutto dei capitali alimentati dalla speculazione edilizia e dai traffici di eroina.
Chiara Valentini, giornalista autrice del reportage "Piovra City" pubblicato da "Panorama" il 24 settembre del 1984, scrisse che dall'inizio di quel decennio erano stati inaugurati in città "130 nuovi sportelli bancari, che fanno capo a ben 23 diverse banche".
Il 25 gennaio del 1983 la mafia aveva ucciso il giudice Gian Giacomo Ciaccio Montalto, e pochi giorni prima dell'articolo della Valentini un altro giudice - Antonio Costa - era stato arrestato con l'infamante accusa di essere stato corrotto dai boss Antonio e Calogero Minore.
A seguito di queste cronache, nel 1985 il giornalista Sergio Turone così descrisse la realtà di una città che a distanza di decenni - oltre l'ombra della latitanza nella sua provincia di Matteo Messina Denaro - conserva immutati certi caratteri di pervasiva ingerenza affaristico-mafiosa:

"Se Palermo è la Roma della Sicilia - ha scritto Turone in "Partiti e mafia, dalla P2 alla droga" ( Laterza ) -  Trapani ne è la Palermo.
Si tratta di una periferia estrema in cui i caratteri dell'insularità e della lontananza - in tutti i sensi - acquistano accentuazioni acute, nemmeno temperate dagli effetti di una tradizione culturale che a Palermo ha raffinatezze cospicue ed esercita un suo peso.
L'anticonformismo della cultura trova nel capoluogo di regione ambienti ed echi, di cui a Trapani rintracci qualche presenza solo in pochi intellettuali isolati, sovente desiderosi di trasferirsi altrove.
Se la lotta contro il potere mafioso appare difficile a Palermo, a Trapani rasenta l'impossibile" 

giovedì 13 giugno 2019

LA SICILIA ED IL MITO DEL SOLE SECONDO FORTUNATO PASQUALINO

La costa di Acitrezza
in una serie di fotografie attribuite
all'assessorato regionale al Turismo.
Le immagini vennero pubblicate dalla rivista "Sicilia"
edita da S.F. Flaccovio nel settembre del 1963 

"Forse davvero di tutti i miti del Mediterraneo - ha scritto Fortunato Pasqualino nell'introduzione di "Sicilia" edito da Zanichelli nel 1980 - quello del sole si identifica più degli altri con il destino vitale della Sicilia. 
Veramente qui il giorno sembra essere più giorno che in altri luoghi del mondo; e la notte più notte, quasi che si avesse un supplemento di luminosità e insieme di tenebra, una possibilità visiva di contrasti estremi...





Io penso che dietro il mito del sole vi siano conflitti esistenziali e mentali più complicati e profondi di quelli emersi nella psicanalisi con i miti di Edipo e Narciso.
Noi siciliani abbiamo il complesso del sole, dai cantori mitologici e omerici a Salvatore Quasimodo, i cui versi

'Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera'...

ti rivelano l'angoscia solare e la solitudine, l'insularità, che il siciliano si porta dovunque vada, con il raggio di sole che lo trafigge, e col terrore della notte incombente, in ogni istante, come nel mutamento di sé in altri, dall'ieri all'oggi e dall'oggi al domani, della commedia di Epicarmo..."

venerdì 7 giugno 2019

IL RETORICO MITO ISOLANO DEI POLI INDUSTRIALI

Industrializzazione in Sicilia.
Le fotografie sono tratte 

dalla rivista "Viaggiare", opera citata
"Questo nostro interno siciliano, arido, pietroso, descritto con le fosche tinte di una piatta desolazione, sta riserbando delle sensazionali sorprese, si rivela ormai all'attenta ricerca delle poderose trivelle, tesori di risorse nuove, energetiche.
Le sterminate distese, battute dai venti soffocanti, dove scarse colture allignate e dove sole oasi di verde e di macchie di vegetazione si alternano radamente, le sterminate distese, dove le striature solforose e i cumuli di zolfo riarsi hanno segnato il paesaggio di un acre sfondo, non saranno, forse, condannate senza speranza ad un avvenire mediocre e stentato, basato sulla pastorizia e sulla cerealicoltura o tantomeno discreditate fortune delle zolfare.
Molto tempo non trascorrerà, se le nuove premesse appaiono più che fondate, perché questo deserto di pesante solitudine tra il feudo medievale e squallido e la patina giallastra dei cumuli di zolfo si trasformi in una zona, se non tutta di verde rigoglioso, di tralicci, di trivelle, di cantieri, di opifici, dei segni moderni della civiltà industriale..."
( "Il quadrilatero del metano nel cuore dell'ennese", articolo di Giuseppe Marino, in rivista bimestrale "Viaggiare", edita nel febbraio del 1963 da Società per l'Incremento Turistico

Sfogliando riviste e pubblicazioni edite negli anni Sessanta, ci si imbatte con frequenza in articoli e fotografie come questo riproposto da ReportageSicilia: resoconti che descrivono in toni  entusiastici e retorici l'industrializzazione della Sicilia allora in frenetico corso.
Questo genere di reportage volevano sottolineare con uno stucchevole gusto del folclore il passaggio dalle tradizionali ed arcaiche forme di vita quotidiana - legate ai riti della cultura contadina - all'impetuoso avvento dei petrolchimici e delle attività di estrazione portate avanti da aziende italiane e straniere.
Le fotografie che documentano questo passaggio epocale proponevano così scenari ben costruiti in cui compaiono contadini, asini e carretti su uno sfondo di brulle campagne in cui svettano chilometriche tubazioni, fumose ciminiere e labirintiche torri di ferro.



In quelle cronache - capaci di prevedere per la Sicilia un prospero futuro di economia industriale - non compare quasi mai un accenno ai rischi ambientali ed alle limitate prospettive di duraturo beneficio provocate da un modello produttivo che ha riservato all'Isola più dissesti che solide garanzie di sviluppo.  

"Come tutta l'Italia e in particolare il Mezzogiorno - hanno scritto  a questo proposito Fulco Pratesi e Franco Tassi in "Guida alla natura della Sicilia" ( Arnoldo Mondadori Editore, 1974 ) anche la Sicilia ha subìto negli anni del miracolo la facile mitologia dell'industrializzazione a tutti i costi.
E se ciò poteva avere un senso economico in certe aree settentrionali, la scelta appariva invece francamente masochistica e suicida in zone la cui vocazione, per espressa conferma di ogni esperienza di pianificazione anche a livello europeo, non poteva che essere agrosilvopastorale, turistica o comunque di carattere estensivo.
Di ciò i solerti industrializzatori italiani non si sono dati pena eccessiva, e se pure in qualche caso hanno distrattamente notato che i complessi petrolchimici incidevano su zone di valore ambientale e di interesse turistico, non hanno esitato un attimo a stamparveli lo stesso, in perfetta sovrapposizione geografica.
Il triangolo dell'industria petrolchimica Gela-Augusta-Milazzo, diventato poi trapezoidale con l'avvento di Termini Imerese, trionfalisticamente millantato come il toccasana di ogni depressione socioeconomica, è stato in verità ben lontano dal risolvere tali problemi, che a distanza di molti anni appaiono anzi complicati e in certi casi persino aggravati..."  

mercoledì 5 giugno 2019

QUEL DECISIVO VIAGGIO SICILIANO DI GEORGE FLETCHER BASS

Relitto di nave punica ed anfore
conservate all'interno
del Museo Archeologico Baglio Anselmi di Marsala.
Fotografie Ernesto Oliva-ReportageSicilia

"Uno dei padri delle più avanzate ricerche nel nostro Mediterraneo, George Fletcher Bass, ha scritto:

'Se non fosse per la Sicilia, non sarei un archeologo marino.
Se non fosse per la Sicilia, non sarei nemmeno un archeologo'" 

Pochi mesi prima della sua scomparsa, Folco Quilici - un grande divulgatore della cultura sottomarina del Mediterraneo, pioniere in Sicilia delle prime documentazioni cinematografiche subacquee - così volle introdurre le pagine del saggio "Tutt'attorno la Sicilia - Un'avventura di mare", edito nel dicembre del 2017 da UTET.



Quilici ha così ricordato la centralità dell'Isola nel campo della ricerca scientifica dell'archeologia subacquea, di cui l'americano George Fletcher Bass è considerato uno dei padri fondatori.
Promotore del prestigioso "Institute of Nautical Archaeology", lo studioso della Carolina del Sud abbandonò gli studi universitari di lingua e letteratura inglese nel 1952, in conseguenza di una vacanza di primavera trascorsa a Taormina.



Fu allora che, ammirando lo spettacolo del teatro romano con alle spalle il mare ed il profilo dell'Etna, ebbe l'illuminazione che ne avrebbe per legato la futura professione ad una visita della Sicilia:

"Pensai in quel momento di dovere fare di quella esperienza motivo della mia vita di studio"  

domenica 2 giugno 2019

LA CANZONE PER LE DONNE FAVIGNANESI DEL SIGNOR TURCHETTI

Il porto di Favignana.
Fotografia di Ernesto Oliva-ReportageSicilia

"Favignana - hanno scritto Maria e Giovanna Guccione in "Frascatole, Favignana, ricette e altre storie" ( Coppola editore, 2003 )- era stata fin dal tempo dei Pallavicino, proprietari dell'isola dalla seconda metà del Seicento, un paese agricolo che, grazie ai prodotti della terra e dell'allevamento del bestiame, alla pesca del tonno e all'estrazione del tufo era pressocché autosufficiente.
Il mare, pur se ricchissimo, come si legge in un articolo della rivista 'Mondo Sommerso' del 1961, a firma di Maurizio Sarra, era poco sfruttato, eccezion fatta per la tradizionale pesca del tonno.
L'isola contava più di seimila abitanti, quasi il doppio rispetto ad oggi, che vivevano di agricoltura, allevamento, pochissima pesca artigianale e pesca del tonno con relativa lavorazione nello Stabilimento Florio.
Pur essendo mal collegata con la terraferma, era piena di vita, fermento e attività.
Nessuno restava con le mani in mano: ad esempio quando finiva il periodo della pesca dei tonni, le ragazze in casa si dedicavano a districare le corde che erano servite per tenere a mare le reti e a renderle riutilizzabili per l'anno successivo e questo consentiva alle famiglie un piccolo guadagno in più...
Al signor Turchetti, fisarmonicista del Circo Bisbini, si deve la canzone ispirata all'isola, o meglio alle belle ragazze di quegli anni,

'Favignanese mia bella isolana, quando la sera nel silenzio imbruna...'

divenuta per anni il pezzo forte dei complessi folcloristici locali"