La popolarità di una delle specialità della cucina di strada siciliana secondo il giornalista enogastronomico catanese
"Il suo primo incontro con la gastronomia siciliana il turista lo fa subito dopo avere messo piede nell'isola e - si badi bene - non al ristorante, ma nei bar degli scali marittimi e aerei o addirittura, se vi giunge in treno, sui marciapiede delle stazioni.
Qui infatti sente gli addetti ai carrelli delle cibarie gridare una strana merce, gli arancini caldi.
Così scopre queste grosse polpette di riso, a forma d'arancia o di cono, ripiene di carne, formaggio, piselli.
Gli arancini li ritroverà poi un pò dappertutto, nei bar, nelle trattorie, nelle tavole calde.
Se pensa di essere capitato in mezzo a grossi mangiatori di riso, prende un granchio.
Tra gli italiani, i siciliani sono forse gli unici a non credere al potere energetico di tale alimento.
Come si spiega allora una presenza, specie nei grandi centri, così massiccia di arancini?
I provinciali che si recano in città per il disbrigo di affari spesso cercano a mezzogiorno di risparmiare i soldi di un pasto in trattoria, e ingannano la fame con qualche arancino.
Tanto - dicono - lo stomaco non si riempie e si riservano l'appetito per fare onore al grosso piatto di pasta che li aspetta al rientro a casa..."
Così nel luglio del 1964 il giornalista Felice Cunsolo ( 1917-1979 ) iniziò un reportage pubblicato sulla rivista mensile del TCI "Le Vie d'Italia" ed intitolato "Introduzione alla cucina siciliana".
Nel 1959, Cunsolo aveva scritto un saggio intitolato "Gli italiani a tavola", frutto della sua passione per la cultura enogastronomica locale.
In quegli anni lontani, pochi giornalisti potevano vantare una specializzazione in questa materia che, grazie alla diffusione di riviste specializzate e programmi televisivi, avrebbe iniziato a svilupparsi solo un paio di decenni dopo.
Catanese di origini - nativo di Biancavilla, in pieno territorio etneo - Felice Cunsolo non poteva che definire "le polpette di riso" siciliane al maschile, cioè "arancini".
Nella parte orientale dell'isola, infatti, questi capolavori del gusto che in qualche friggitoria si cucinano ancora in vecchi pentolini colmi di olio bollente hanno una forma conica: un chiaro richiamo al sesso maschile.
Nel resto della Sicilia - e soprattutto a Palermo - la forma sferica assegna loro una fisionomia femminile, così da mutare in "arancine" la loro denominazione.
Quello che è cambiato dai tempi di Cunsolo è il ripieno di queste specialità, sia nella forma a punta che in quella a palla.
Se allora "arancini" e "arancine" conservavano un cuore a due gusti - burro o formaggio con dadini di prosciutto cotto, o piselli con ragù di carne - oggi il mutare dei gusti ha ampliato la serie dei ripieni ( a volte con risultati discutibili ): ragù di cinghiale, funghi, crema di pistacchio, gamberetti, salmone...
La tradizione, in questo caso, vale più di certe novità che cancellano la semplice e povera bontà della cucina di strada.
In alcuni ricettari di gastronomia siciliana si indicano infine questi diversi condimenti: ricotta e tuma, patate, ragù e piselli, burro, primo sale ( Alba Allotta, "La cucina siciliana", Newton Compton, 2003 ); ragù e piselli ( "Sicilia in cucina", Sime Books ); ragù di carne o di pollo ( Fiammetta di Napoli Oliver, "La grande cucina siciliana, Flaccovio, 2005 ).