Indossatrice di costume da bagno in posa accanto ad una raffigurazione a mosaico nella villa del Casale a Piazza Armerina. La fotografia venne pubblicata dalla rivista "Sicilia" nell'ottobre del 1960 |
In decenni più recenti - negli anni Novanta - i mosaici del complesso edilizio di età tardo imperiale avrebbero vissuto un'altra sofferta stagione di episodi vandalici.
I restauratori furono chiamati più volte a porre rimedio ad imbrattamenti con pece e vernice; gli autori di questi vandalismi non sono mai stati individuati con certezza, anche se pare certo che si trattasse di persone i cui interessi gravitavano intorno all'area archeologica.
Sembra che i primi pavimenti decorati con mosaici siano venuti alla luce a causa di uno smottamento di terra, prima del 1881: all'epoca iniziarono le attività di scavo, ad una profondità di circa quattro metri.
L'ampia area era allora occupata da una fitta distesa di noccioleti; i proprietari mal accettavano la presenza degli archeologi, temendo che l'interesse per quei vecchi pavimenti a mosaico sepolti da secoli potesse arrecare danno ai propri alberi.
Nel dicembre del 1932 si arrivò così ad un compromesso, in attesa degli espropri: al posto dei picconi e dei badili, entrarono in funzione gli otturatori delle macchine fotografiche.
I mosaici già venuti alla luce furono riprodotti in pellicola, prima di essere ricoperti sotto metri di terra: una soluzione già adottata anni prima a Palermo, dopo la scoperta dei mosaici romani nell'area di villa Bonanno.
Gli espropri dei noccioleti arrivarono nel 1938, in coincidenza con il bimillenario augusteo, evento organizzato dal fascismo per celebrare la "italica grandezza".
L'inizio della guerra lasciò poco tempo per la ripresa degli scavi. Furono riavviati nel 1950, grazie ai finanziamenti della Regione Siciliana e della Cassa per il Mezzogiorno.
Quelle campagne di ricerca accrebbero la superficie della grandiosa pavimentazione musiva e delle strutture della villa di tarda età imperiale; e fu in quel periodo che furono avviate anche opere di restauro e conservazione che avrebbero provocato guasti e polemiche.
A metà degli anni Cinquanta, la villa del Casale di Piazza Armerina diventò comunque uno dei luoghi archeologici più noti e visitati della Sicilia.
Il sito fu meta di visita per teste coronate: Giuliana d'Olanda e Gustavo VI di Svezia, "il re archeologo" già di casa fra le antichità di Gela.
In quel periodo, l'interesse del grande pubblico fu dirottato soprattutto verso la famosa raffigurazione delle dieci "ragazze in bikini": ginnaste ed acrobate intente a giochi di palla, al ritmo del tamburello e del sistro.
Le fotografie di quella raffigurazione conquistarono presto le pagine di riviste e periodici italiani e stranieri, e per interesse non strettamente archeologico.
Quei mosaici della villa del Casale diventarono set per servizi di moda, nei quali a quelle ragazze di tarda epoca romana vennero affiancate le indossatrici ingaggiate da famosi atelier per pubblicizzare le ultime collezioni di costumi da bagno: bikini e più classici modelli interi.
Erano gli anni in cui la Sicilia - nella letteratura e nel cinema - incarnava l'immagine di un senso dell'onore e del pudore parossistico; ora, le fanciulle in costume a due pezzi siciliane si prestavano alla perfezione per lanciare una moda già dilagante sulle spiagge internazionali.
Quelle antiche e disinvolte "ragazze in bikini" del passato svelate nel cuore dell'Isola - commentò così il critico d'arte Carlo Cecchi nel 1955 - assunsero per questo motivo notorietà mondiale, al di là della complessiva rilevanza della Villa del Casale:
"Mai l'archeologia aveva offerto più ghiotta e piccante provocazione alla curiosità mondana.
Le belle signore e signorine che, a Cannes o a Viareggio, sfogliando quelle pubblicazioni, prendevano il loro bagno di sole, furono compiaciute all'estremo, accorgendosi di indossare modelli che, da quindici o sedici secoli, sulla faccia della terra non erano più stati visti.
L'antichità più veneranda teneva bordone alla più strepitosa novità..."