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giovedì 30 maggio 2013

LE PETRALIE, UNA SCABRA E NATURALE BELLEZZA

Anziani al sole a Petralia Sottana, in una fotografia di Josip Ciganovic pubblicata nel 1962 nell'opera "Sicilia"
edita da Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini.
ReportageSicilia ripropone in questo post cinque immagini delle due Petralie - Sottana e Soprana - realizzate da Ciganovic ed altre due fotografie degli stessi paesi madoniti 

firmate da Antonio e Giuseppe Collisani.
Questi ultimi scatti vennero editi nel maggio del 1948
dalla rivista del TCI "le Vie d'Italia" 

“L’insieme edilizio di un paese come Ganci o Geraci o Polizzi o Gratteri o Isnello, per non citare che i centri minori, impressiona per la sua bellezza, per una sua coerenza stilistica. Anche se si tratta di una bellezza più simile a quella di una conchiglia, o di una qualche forma di vita naturale, che non a quella di un’opera d’arte. E’ il prodotto del continuo lavorio di una collettività nei secoli, le ultime case costruite ieri vestono di embrici e di pietre una struttura che fu identificata e scelta secoli prima, da coloro che stabilirono in quale luogo fondare il paese”.


La barocca chiesa di Santa Maria di Loreto a  Petralia Soprana.
La fotografia è di Ciganovic, in opera citata

Con queste parole, Giovanni Guaita descrisse una cinquantina di anni fa il carattere urbanistico dei paesi delle Madonie.
Sembra a ReportageSicilia che questa descrizione possa riguardare ancora oggi anche le due Petralie – la Soprana e la Sottana – che del contesto territoriale madonita ne rappresentano proprio i centri maggiori; e a dare forza alla impressione contribuiscono le fotografie di questo post.


Gregge di pecore nei pressi dell'ex convento dei Cappuccini 
a Petralia Soprana,
ancora in due scatti di Ciganovic


Gli scatti – eseguiti in tempi diversi, tra gli anni successivi al 1945 e agli inizi degli anni Sessanta - sono firmati da Josip Ciganovic e da Antonio e Giuseppe Collisani: il primo è il fotografo di origini serbe spesso riproposto da ReportageSicilia, i secondi – padre e figlio – sono invece personaggi centrali nella recente storia culturale delle due Petralie.


Passanti dinanzi la chiesa della Misericordia a Petralia Sottana,
nell'ultima fotografia di Josip Ciganovic del post

Tutte le fotografie – quelle di Ciganovic tratte dal I volume dell’opera “Sicilia” edita nel 1962 ( Sansoni-Istituto Geografico De Agostini ), quelle dei Collisani dall’articolo di Gaetano Falzone edito da “le Vie d’Italia” del maggio 1948 ed intitolato “Nel cuore delle Madonie-Petralia Sottana” – hanno in comune la rappresentazione della storica edilizia dei due paesi.


L'arco del campanile della chiesa madre di Petralia Sottana,
in una fotografia di Giuseppe Collisani

In essa la lavorazione della pietra, più che ad un’opera architettonica, corrisponde e si integra alla vita geologica delle Madonie: una continuità ambientale in cui uomini e animali di Petralia Soprana e Sottana sembrano immergere più che in altri luoghi della Sicilia il corso delle loro esistenze.


Il "balzo di canna", nel territorio di Petralia Sottana.
La fotografia è di Antonio Collisani







        


sabato 25 maggio 2013

SICILIANDO














"Se dovessi scegliere una costante dell'isola, una qualità che sia certa, immutabile, sempre disponibile, propenderei per l'intensità. 
Perchè in Sicilia non ci sono mezze misure, niente è controllato o represso. 
Il sole è più caldo, i limoni i più aspri, gli scenari i più sublimi, i mosaici, le chiese e i templi i meglio conservati. 
Se è vero che la freschezza è la caratteristica principale della cucina siciliana, lo stesso non si può dire per la delicatezza; l'aglio è sempre crudo e in quantità industriale, il dolce e il salato fanno a gara a chi prende il sopravvento, e un morso a uno dei dolci locali vi fa salire la glicemia a mille".
Francine Prose

giovedì 23 maggio 2013

CEFALA' DIANA, PAESAGGIO CON CASTELLO

Il castello di Cefalà Diana, nelle campagne palermitane.
L'immagine è tratta dalla rivista "Sicilia"
del settembre del 1962

Ci sono in Sicilia luoghi lontani dagli itinerari turistici tradizionali, eppure capaci di riassumere lo spirito più vero del paesaggio e della storia dell'isola.
Uno di questi luoghi è il castello di Cefalà Diana, nelle campagne della provincia di Palermo.
La fotografia tratta dalla rivista "Sicilia" dell'assessorato Regionale al Turismo, Sport e Spettacolo del settembre del 1962 e riproposta da ReportageSicilia ritrae i resti del castello; l'edificio domina un paesaggio agricolo senza tempo, e nel quale quasi è possibile cogliere lo spirare del vento che agita le messi di grano. 
"Il complesso fortificato - sottolinea il saggio "Castelli di Sicilia" scritto da Fabio Militello e Rodo Santoro ed edito nel 2006 da Kalòs - "è fondato direttamente su un banco roccioso che con le sue ripide pareti costituisce una eccezionale bastionatura naturale... Il castello si trova in un contesto paesaggistico di grande suggestione e in un territorio ricco di testimonianze storiche e archeologiche...".  


domenica 19 maggio 2013

PALERMO, METAFORA DI UNA TARGA

La targa segnaletica "Palermo" nella borgata della Bandita
( fotografia ReportageSicilia )

La targa di marmo che indica “Palermo” ed i 12 metri sul livello del mare è stata installata un secolo fa sulla facciata in conci di tufo di un edificio oggi cadente.
La si può ancora osservare – prima che l’incuria allarghi irreparabilmente la crepa che già ne ha intaccato la O – lungo la strada della Bandita.
Il nome stesso della località ( sulla costa orientale di Palermo, fra lo Sperone ed Acqua dei Corsari ) sembra aggiungere alla fatiscenza della storica targa l’aggravio di un’ubicazione malfamata.
Malgrado le crepe, la fatiscenza e l’abbandono, la scritta “Palermo” ancora resiste.
E’ facile allora per ReportageSicilia guardare a quella vecchia targa in marmo come ad una metafora dello stato della città: vittima dell’incuria, del degrado e dell’insipienza di tanti palermitani, eppure ancora con la possibilità di una salvezza, di una resurrezione civile. 

Vista su monte Pellegrino dalla spiaggia della Bandita
( fotografia di ReportageSicilia )
  

venerdì 17 maggio 2013

VOLTI E FIGURE DEL TRAPASSO SOCIALE DI PALERMO

Venditrici ambulanti di lumini devozionali dinanzi l'edicola
dell'Ecce Homo in via Roma, a Palermo.
La fotografia - insieme alle altre di questo post - 
è attribuita a Carlo Anfosso.
Le immagini accompagnarono un reportage di Glauco Licata su Palermo pubblicato dalla rivista del TCI "le Vie d'Italia",
nel novembre del 1961

Le fotografie di Palermo riproposte in questo post da ReportageSicilia furono pubblicate dalla rivista del TCI “le Vie d’Italia” nel novembre del 1961.
Le immagini – attribuite a Carlo Anfosso – illustrarono un reportage intitolato “A zonzo per le vie di Palermo” firmato dal giornalista Glauco Licata.
Nel sommario dell’articolo, la rivista così riassunse il senso di quelle pagine: “Un tuffo nella Palermo popolare di oggi, un formicaio di vicoli e di stradette dense di folla, una folla geniale, bisognosa e ricca di colore”.

Pescatori a bordo di un'imbarcazione ormeggiata all'interno
del porticcolo palermitano della Cala
L’obiettivo di Anfosso dedicò le attenzioni ad una schiera di personaggi dei quartieri popolari palermitani – a cominciare dall’immancabile Vucciria - non del tutto scomparsi ai nostri giorni: cocchieri, venditori di fritture, pescatori, venditrici ambulanti di ceri religiosi ed artigiani.
Sono fotografie che documentano il trapasso sociale vissuto dalla città alla fine degli anni Cinquanta, quando la devastante spinta dell’espansione edilizia e la “nuova economia” burocratica regionale misero in ombra la vitalità del vecchio centro storico.
Di questo trapasso in corso, il reportage di Glauco Licata riesce a cogliere alcuni segnali, senza però allungare la vista sul contesto di interessi mafiosi che lo governavano.

Cocchieri sotto l'ombra degli alberi di ficus di piazza Marina,
un tempo principale luogo di sosta dei vetturini palermitani 
“La città sta attraversando un periodo di rigoglio edilizio. E’ logico che ne risentano non soltanto le vie; anche gli abitanti, di queste vie.
Con l’aumento dei consumi, un fatto questo legato, in parte, anche all’ingresso di nuove leve nella burocrazia ( costituzione dell’ente Regione ), i prezzi tendono a salire, portando Palermo ai primi posti tra le città più care d’Italia; e questo viene a nuocere a coloro, pure numerosi, che non sono occupati o sono sottoccupati.

Restauro di mobili in una strada del centro storico della città.
Il reportage di Glauco Licata descrive gli anni dei profondi cambiamenti sociali vissuti da Palermo fra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso: un mutamento cui non fu estranea la trasformazione urbanistica della città, legata all'avvento degli speculatori dell'edilizia
Ci si obietterà che, sull’esempio dei grandi magazzini del nord, si sono creati tre supermercati.
Vero è però che a Palermo il reddito medio per abitante si aggira sulle 160mila lire, mentre la media nazionale arriva a 250mila. Questi contrasti, ovviamente, si riflettono sulla composizione e sugli atteggiamenti della gente che incontreremo nelle strade. Vedremo le splendenti portinerie degli edifici di viale Libertà, e in quartieri oggi imputriditi i superstiti palazzi insidiati dalla veloce trasformazione sociale e invasi da povera gente.

Un venditore di souvenir mostra al fotografo 
la riproduzione di un paladino.
Già all'epoca dello scatto, i Teatri dei Pupi palermitani
avevano chiuso i loro battenti  
Chi si reca da un artigiano spesso si trova con stupore entro nobili cortili selciati con in mezzo una palma e intorno un’atmosfera di favola.
Nondimeno il numero delle automobili, in proporzione, è altissimo: 76mila, contro 600 carrozzelle e in più 80 lustrascarpe, 2000 venditori ambulanti e un numero imprecisabile di poveracci che ogni mattina inventano un mestiere nuovo per sbarcare il lunario…
Ogni tanto qualcosa muore, come ramo secco.
E’ il caso dell’antica pasticceria Gulì, che un tempo esportava dolci ( martorana e cassate ) in tutto il mondo; poi decadde, di pari passo con piazza Marina, Porta Felice e Corso Vittorio Emanuele”.

Il banchetto di un calzolaio all'ingresso
di uno storico edificio del centro storico.
All'epoca dello scatto, i mestieri ambulanti
si svolgevano spesso in simbiosi
con l'architettura ormai decadente della vecchia Palermo  
Riguardo poi lo scempio urbanistico subito in quegli anni da Palermo, Licata riuscì solo ad intravedere un fenomeno macroscopico e ad ignorare gli omicidi compiuti fra gruppi mafiosi che si contendevano allora le aree edificabili ed il controllo degli appalti.

Fra tutti i personaggi palermitani fotografati cinquant'anni fa da Carlo Anfosso, quello del "panellaro" ha resistito al passare dei decenni.
Nel centro storico cittadino è possibile ancor oggi gustare le fritture
offerte da numerose friggitorie
“In genere – si legge ancora nel suo reportage – le nuove costruzioni si allineano nel semicerchio delle periferie, ma qualcuna è penetrata a lato dei preziosi palazzi ammantati di barocco. Ancora il morto non ci scappa, dato che il piano regolatore assegna a ciascuno il suo compito, ed è prevista un’armonizzazione delle pietre e delle memorie, com’è sempre stato”.

Un inconfondibile scorcio del mercato della "Vucciria",
teatro di posa per ogni fotoreporter nella Palermo
degli anni Cinquanta e Sessanta
Ecco allora che le pagine dell’articolo di Glauco Licata dimostrano quanto l’ascesa dell’economia e della violenza mafiosa a Palermo sia stata a volte percepita e raccontata in maniera lacunosa.
Basta rileggere i dati sui 33 omicidi compiuti a Palermo nel 1961 ( contro i 26 dell’anno precedente ) per rendere incomprensibile l’indicazione secondo cui in città – in quei mesi – il morto non ci scappasse ancora.




martedì 7 maggio 2013

L'INGANNO SICILIANO DELLA CACCIA ALLE BALENE

"Porto siciliano", opera del 1967
del pittore palermitano Piergiorgio Zangara

La storia dell’imprenditoria siciliana è stata spesso legata alla scialba storia della politica regionale, dando corso a progetti fallimentari ed in cui il carattere clientelare-mafioso ha determinato lo spreco di enormi risorse finanziarie.
La casistica riserva anche dei casi bizzarri e poco conosciuti. Uno di questi riguarda la promozione di una flotta peschereccia che – agli inizi degli anni Cinquanta dello scorso secolo - avrebbe dovuto far partire da Palermo la caccia alle balene nei lontanissimi mari dell’Antartide.
“L’iniziativa – ricorda Matteo G. Tocco nel saggio “Libro nero di Sicilia”, edito da Sugar Editore nel 1972 – era stata assunta dalla società industriale “Antartide”, costituita a Palermo con le consuete agevolazioni fiscali e con le azioni al portatore. La società di proponeva di costruire una grande nave-fattoria con una stazza di 22.500 tonnellate, completa dei più moderni e perfezionati macchinari atti a garantire un primo ciclo di lavorazione di una balena nel giro di 50 minuti”.


Una nave baleniera in attività nel periodo in cui nacque a Palermo la società siculo-austriaca "Antartide", che avrebbe dovuto promuovere un'analoga attività di pesca e di commercio dei prodotti derivati.
Il velleitario progetto - che portò nel 1951 all'avvio della costruzione della nave baleniera "Trinacria" - si concluse in un nulla di fatto e in uno spreco di risorse economiche.
L'immagine è tratta dalla "Rassegna Enciclopedica Labor 1935-1951" 

La “Antartide” poteva contare su capitali siciliani ed austriaci ed in tempi brevi commissionò la costruzione della nave-fattoria “Trinacria” ai Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
La chiglia dell’unità navale – la cui lunghezza complessiva avrebbe dovuto superare i 200 metri - venne impostata il 28 luglio del 1951. 
Una volta varata, la “Trinacria” avrebbe dovuto accogliere un equipaggio di 80 uomini e 40 specialisti nella caccia e nella lavorazione delle balene issate a bordo.  
Scrive ancora Matteo G.Tocco che “catturata la balena a mezzo di naviglio minore” – 12 imbarcazioni anch’esse di proprietà della società “Antartide” – “essa sarebbe stata trascinata verso la nave-fattoria, issata a bordo, squartata, sezionata, e, divisi i grassi dalle carni, passata per ulteriori elaborazioni al macchinario sussidiario e conservata in frigoriferi colossali. Tutte le parti delle balene così pescate, e così lavorate, sarebbero state sbarcate a Palermo e avviate a un complesso di impianti consistente in serbatoi per la conservazione dell’olio di balena, e per la sua raffinazione con successivo indurimento. Infine, le parti non grasse sarebbero state avviate verso tre altri stabilimenti rispettivamente idonei alla produzione della farina di balena, alla fabbrica di estratti di dadi per brodo e alla composizione degli elementi per la produzione di colla”.


Il porto palermitano della Cala, in un'immagine tratta da  un opuscolo dell'Ente Provinciale per il Turismo di Palermo
alla fine degli anni Cinquanta dello scorso secolo.
Il progetto dell'"Antartide" prevedeva la costruzione in città di diversi stabilimenti per la lavorazione e la trasformazione
dei prodotti derivati dalle balene  

Il progetto di creare un’industria baleniera in Sicilia, insomma, sulla carta sarebbe dovuto andare incontro alle richieste dei mercati internazionali e garantire migliaia di posti di lavoro. Le industrie nazionali e forse anche quelle del Medio Oriente avrebbero potuto rifornirsi a Palermo di materie prime per la produzione di olii e grassi alimentari, di sapone e liscivie, di farmaci e di cosmetici. 
Lo stesso presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana del tempo, Angelo Bonfiglio, accolse l’impostazione della nave-fattoria “Trinacria” in cantiere dichiarando “per noi siciliani, questa giornata è veramente fatidica!”.
In realtà, il progetto di creare una flotta siculo-austriaca per la caccia alle balene si confrontava con un mercato quasi del tutto monopolizzato da Norvegia, Inghilterra, Giappone, Unione Sovietica, Olanda e Germania. 
Agli inizi degli anni Cinquanta una ventina di società di quei Paesi si spartivano il mercato baleniero mondiale, grazie anche ad un’esperienza decennale ed a reti commerciali evolute.
“Inutile dire – conclude Tocco - che la nave “Trinacria” non vide mai la luce e con essa abortirono i sogni siciliani di possedere una flotta baleniera!”. 
Non sappiamo quanti soldi siano allora stati spesi – ed a vantaggio di chi - per portare avanti il velleitario ( ed ingannevole ) proposito di far cacciare dalla "Trinacria" cetacei nelle acque dell’Antartide. Certo è che tra le pagine di vecchi libri dedicati alla storia dell'isola si riscoprono impensabili esempi dell’atavico spreco di risorse economiche da parte dei siciliani.





SICILIANDO















"Dicono gli atlanti che la Sicilia è un'isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d'onore. 
Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto d'isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e di costumi, mentre qui tutto è mischiato, cangiante, contraddittorio, come nel più composito dei continenti. 
Vero è che le Sicilie sono tante, non finirò di contarle".
Gesualdo Bufalino 

domenica 5 maggio 2013

IL MERCATO DELLE PULCI DI MELO MINNELLA

Le fotografie riproposte da ReportageSicilia nel post sono di Melo Minnella e furono pubblicate nel volume "Libro di Palermo",
edito da S.F.Flaccovio nel 1977.
Le immagini colgono scorci del mercato delle Pulci e risalgono ad un periodo successivo all'agosto del 1968.
In quel periodo, le baracce dei rigattieri offrivano ancora una vastissima tipologia di oggetti di antiquariato e di false anticaglie

Sino a qualche decennio fa il mercato delle pulci di Palermo ha offerto un perfetto spaccato del cambiamento sociale ed economico della città subìto nel dopoguerra. 
Nelle baracche di piazza Peranni, mobili, terracotte, quadri ed altri diversissimi arredi che un tempo arricchivano vecchie case nobiliari siciliane o chiese storiche – oggetti per lo più svenduti dai proprietari o sottratti loro dai depredatori del centro storico - passarono nelle mani della nuova borghesia cittadina.

Professionisti, commercianti, alti burocrati e politici regionali, giornalisti ed intellettuali dall’occhio esperto nel distinguere le patacche dagli oggetti di autentico valore arricchirono i loro salotti di quegli arredi.
Fra i clienti del mercato delle pulci figurarono pure Antonio Pasqualino – che qui recuperò alcuni pregevoli “pupi” dismessi dai teatri dell’opera di mezza Sicilia - ed il fotografo Enzo Sellerio. 
Quest’ultimo fu un accanito acquirente di vecchie pitture su vetro. Proprio durante una di quelle visite tra le baracche dei rigattieri, il futuro editore recuperò per 10 mila lire il diario fotografico del marchese di San Giuliano: 280 immagini in formato cartolina che avrebbero poi costituito la base iconografica di un saggio d’arte curato da Giuseppe Giarrizzo.


Di un altro noto fotografo dell'isola - il nisseno Melo Minnella - sono invece i cinque scatti del mercato delle pulci di Palermo riproposti da ReportageSicilia: si tratta di materiale documentario pubblicato nel 1977 da S.F. Flaccovio nel volume “Libro di Palermo”. 
In quelle fotografie, successive all’estate del 1968, si riscoprire la varietà degli oggetti allora esposti alla rinfusa dai rigattieri: quadri con ritratti religiosi o di anonimi ufficiali, lumi, ceramiche ( vere o false? ) di Caltagirone, crocifissi, candelabri, cornici, giradischi e – notazione forse autobiografica di Minnella – anche macchine fotografiche. 
Ai nostri giorni il mercato palermitano ha perso quella confusa promiscuità di mercanzia che costituiva - prima ancora della possibilità di fare qualche buon affare - il principale divertimento di una visita.       
Una breve ma completa storia del mercato della pulci è contenuta in un articolo della giornalista Carla Incorvaia sulle pagine de “la Repubblicahttp://palermo.repubblica.it/dettaglio/papireto-il-rilancio-del-mercato-delle-pulci/1591553.
Una colorita descrizione dell’attività che si svolgeva nell’area del quartiere Papireto si trova invece in un reportage del quotidiano “La Stampa” del 28 dicembre del 1967 intitolato “I furbi mercanti del mercato delle Pulci”, a firma di Roberto Giardina.


“Naturalmente – si legge - come tutti i mercati delle pulci di questo il mondo, da Porta Portese a Roma a quello di Portobello a Londra, ci si arriva sempre troppo tardi. 
Gli amici vi dicono d’avere comprato un Raffaello per tremila lire o una poltroncina del Settecento a peso di rottame, ma voi trovate solo furbissimi mercanti che cercano di rifilarvi la stampa ritagliata da una rivista del mese scorso come un autentico “Renoir”. 
Da anni le chiese della Sicilia sono state saccheggiate di quadri sacri ed “ex voto”, candelabri, “cartagloria”: quel che è rimasto vale molto poco. 
I prezzi, poi, sono quelli di un normale antiquario. Qualcosa, comunque, è rimasto: armi antiche ( ma non ve le regalano ), specchiere non molto belle, dei soprammobili.


C’è una invasione di oggetti di terracotta, spacciati come “antica produzione artigiana”: in realtà sono stati fabbricati appena ieri ( ed anche il prezzo lo rivela: due-tremila lire per un piatto o un servizio di boccali ). Abbondanza di letti in ottone ( ma di lega piuttosto scadente ) e in ferro battuto, in genere con incrostazioni madreperlacee di un “gusto liberty alla siciliana”. Comunque costano la decima parte che a Torino o a Milano: ma come spedire un pesantissimo letto da Palermo? 
I turisti fanno razzia di “pupi” e pezzi di carretto siciliano. 
Per i “pupi” ricordarsi che quelli veramente antichi non sono in commercio: se lo fossero il loro prezzo sarebbe superiore al mezzo milione di lire. Quelli fabbricati adesso ( e sono anche ben fatti in verità ) raggiungono anche le 50 mila lire: una cifra non alta se si pensa al lungo lavoro artigianale necessario. 
Potrete trovare a volontà fiancate ed assi di carretto siciliano con i classici “dipinti” delle imprese di Carlo Magno o San Giorgio che lotta con il drago. 
Il costo d’una fiancata va dalle 5 alle 10 mila lire secondo la fattura e lo stato di conservazione. Anche qui, la maggior parte è fabbricata apposta per i turisti: ma per la verità in questo campo è assurdo parlare di antiquariato”.