Le origini del grido "Viva Palermo e viva Santa Rosalia!", momento clou delle celebrazioni del Festino e che rimanda alle vicende dei moti del 1820
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Il monumentale carro di Santa Rosalia
costruito in occasione del Festino del 1896.
La fotografia venne realizzata da Eugenio Interguglielmi
ed è tratta dalla rivista
"Natale e Capodanno dell'Illustrazione Italiana",
edita nel 1908 da Fratelli Treves |
Il tradizionale appuntamento palermitano di luglio del Festino di Santa Rosalia è ormai vicino.
Quello del 2016 sarà il 392° della sua storia, ricca di legami con le vicende della città e di aneddoti più o meno documentati che ne raccontano le secolari cronache.
Uno dei momenti topici del Festino è quello della salita sul carro della "Santuzza" nella calca dei Quattro Canti, e del rituale grido "Viva Palermo e viva Santa Rosalia!": un compito affidato al sindaco ed incertamente insidioso perché capace di riservargli pubbliche ovazioni o plateali contestazioni da parte dei suoi concittadini.
L'esito del proclama ha quindi ripercussioni di natura elettorale e per questo motivo, qualche anno fa, un sindaco preferì evitare i temuti fischi abbandonando il corteo del carro poco prima della sosta ai Quattro Canti.
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Il carro del Festino dinanzi Porta Felice
in una stampa settecentesca.
L'immagine è tratta dal quadrimestrale "Giglio di Roccia",
edito a Palermo nell'estate del 1961 |
Pochi ricordano che l'origine del grido "Viva Palermo e viva Santa Rosalia" è legata alla data del 1820, ed ad un accadimento - la rivolta contro le truppe di Ferdinando I - che poco o nulla ebbe a che fare con la devozione alla "Santuzza".
L'episodio venne così raccontato da Amleto Bologna nell'articolo "Viva Palermu e Santa Rusulia! Festini, carri, corse di cavalli e altre cose", pubblicato dalla rivista quadrimestrale "Giglio di Roccia", edita a Palermo nell'estate del 1961:
"'Viva Palermu e Santa Rusulia!'
Eterno, vibrante grido di amore e di fede del popolo di Palermo questo, e però assurto anche a grido di guerra proprio alla fine del 'festino' del 1820 iniziandosi la violenta rivolta scoppiata nella nostra città, sulla scia di quella di Napoli dopo il 'pronunciamento militare' di Nola, per il ripristino della Costituzione siciliana del 1812.
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La statua di Santa Rosalia
lungo il perimetro esterno della Cattedrale di Palermo.
La fotografia è di ReportageSicilia |
'Baddi e mitragghia cchiù nun tinevanu,
cannili di paràmita pigghiavanu,
pi fina 'nta la vucca lu pezzu inchèvanu
un cileccu pi tappu ci 'ncarcavanu:
poi alla cantunera si mittevanu,
sparannu sparannu s'avanzavanu
e ad ogni botta lu populu dicia:
Viva Palermu e santa Rusulia!'
si legge in un canto popolare del tempo che esaltava questo avvenimento.
Per spiegarsi il senso di questa ottava deve tenersi presente che l'illuminazione del "Cassaro", fino a quando non fu sostituita nel 1861 con archi a gas, veniva eseguita con piramidi ( "paramiti", in dialetto ) di legno dipinto ( 400 fra grandi e piccole ) su ognuna delle quali erano appese decine di lucerne di terracotta ( "cannili", in dialetto ) ad olio.
Piramidi con lucerne erano pure a Porta Nuova, a Porta Felice e ai Quattro Canti dinanzi alle fontane.
La loro accensione, grazie al grande numero di addetti, avveniva quasi simultaneamente.
Intensi, quindi, che durante la rivolta, appena esaurite le palle e la mitraglia per i cannoni, che allora erano ad avancarica, i rivoltosi tolsero le lucerne dalle piramidi e con le stesse riempirono i pezzi tappandone la bocca con giacche e panciotti ( "cilecchi", in dialetto ).
Era stato un frate del convento di Sant'Anna, padre Gioacchino Vaglica, a lanciare per primo il grido "Viva Palermu e Santa Rusalia!" e il popolo con tumultuoso ardore lo aveva seguito sino a mettere in fuga i generali e le soldatesche del famigerato Re Nasone, Ferdinando I delle Due Sicilie, già terzo di Sicilia e quarto di Napoli.
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Un'altra statua della "Santuzza",
quella sul monte Pellegrino.
L'immagine è tratta dala rivista
"Natale e Capodanno dell'Illustrazione Italiana",
opera citata |
Vero è che di questa rivolta qualche mese dopo, per la repressione operata dal generale Pietro Colletta, non erano rimaste che lacrime, lutti e devastazioni, ma il grido di padre Gioacchino, ripreso a coro dal popolo che ne fece, come del resto avvenne in altre rivolte, non esclusa quella del 1848, la sua insegna, sta a dimostrare quanta era, e naturalmente è, la fede in Santa Rosalia nei più disperati e tragici frangenti, quanta era ed è la sicurezza nella sua intercessione, nel suo intervento, meglio, nella mentalità popolare, che altri santi pure ritenuti miracolosissimi..."