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Foto segnaletica di Vincenzo Stimoli, il bandito di Adrano ucciso nel settembre del 1945. L'immagine è tratta da "L'Europeo" pubblicato il 24 novembre del 1946 |
Nella Sicilia del secondo dopoguerra - anni condizionati dalle ferite delle distruzioni, della miseria, del mercato nero e dell'incertezza quotidiana - uomini capaci di reagire violentemente alla precarietà della vita ed al rigore imposto dalle leggi diventarono feroci banditi.
Il più noto, fu senz'altro Salvatore Giuliano da Montelepre, carnefice e poi vittima di manovre politiche e mafiose spesso protagoniste nelle vicende dell'Isola.
Insieme a quelle di Giuliano, si ricordano però le violenze di altri briganti, specie nella Sicilia centro-orientale: da Giuseppe Dottore ad Alfio Barbera, da Agatino Ciadamidaro a Salvatore Fuselli e Antonino Molano, sino al più sanguinario di loro.
Il suo nome fu Vincenzo Stimoli, conosciuto allora come la "iena" di Adrano; dopo mesi di ricerche, fu ucciso nel paese etneo nel corso di un lungo conflitto a fuoco con le forze dell'ordine in una palazzina al civico 48 di via Regina Elena.
Era di nove anni più anziano di Giuliano, e di maggiore spietatezza, come ricordato dai numerosi aneddoti che circolavano sulla crudeltà dei suoi delitti.
Il solo sospetto di potere essere tradito, o l'avere subito un presunto torto, spingevano infatti Vincenzo Stimoli a mettere mano al mitra, scaricando l'intero caricatore contro la vittima.
Tra le voci che alimentarono la soggezione nei suoi confronti, ci fu anche quella secondo cui conservasse in un sacchetto, sotto sale, la testa di Alfio Costa, una delle persone da lui trucidate.
Fra il luglio del 1944 ed il settembre del 1945, Stimoli - poco più che trentenne, un lavoro incerto da fruttivendolo - uccise otto persone, ferendone molte altre: guardie municipali, confidenti delle forze dell'ordine, ma anche donne da lui ritenute colpevoli di praticare fatture.
Le gesta violente di Vincenzo Stimoli, che era solito muoversi nottetempo fra le strade di Adrano con indosso vestiti femminili, finirono con il diventare un racconto popolare in una ballata scritta da Ciccio Busacca: "Lu briganti Stimoli".
Accompagnandosi con la chitarra, Busacca andava così narrando:
"Subito dopo guerra, amici cari
Stimoli era giuvini d'onuri
e pi 'n pocu di pani guadagnari
ad Adranu facìa lu vinnituri:
vinnituri di frutta e di virdura
pi scacciari la fami e la malura.
Ma lu pirsicutava la sbintura
e pi Stimoli paci non ci n'era:
li vigili urbani, pi sciagura,
Vicenzu li 'ncuntrava tutti a schiera.
Sfurnitu di licenza, Vincinzinu
'n vigili ammazza, e addivintò assassinu"
( "Subito dopo la guerra, amici cari
Stimoli era un giovane d'onore
e per guadagnarsi un pò di pane
ad Adrano faceva il commerciante:
venditore di frutta e verdura
per allontanare fame e miseria.
Ma lo perseguitava la sventura
e per Stimoli non c'era pace:
i vigili urbani, per sfortuna,
Vincenzo li incontrava tutti schierati.
Senza licenza, Vincenzino
ammazzò un vigile, e diventò assassino" )
Se a Ciccio Busacca si deve la narrazione in tono epico della tragica vita del bandito di Adrano, a Salvatore Nicolosi si deve invece la ricostruzione giornalistica delle gesta da criminale.
Capocronista del quotidiano "La Sicilia", Nicolosi raccontò ampiamente la storia di Stimoli nel saggio "Di professione: brigante. Le bande siciliane del dopoguerra", edito nel 1976 da Longanesi.
Lo stesso Nicolosi aveva in precedenza firmato il 24 novembre del 1946 un reportage dedicato ai banditi siciliani sulle pagine de "L'Europeo".
Così il cronista catanese informò allora i lettori sulla vita e sulla morte della "iena" di Adrano:
"Vincenzo Stimoli cominciò la sua carriera uccidendo con un fucilata a bruciapelo, nel centro di Adrano, un uomo che gli doveva duemila lire.
In brevissimo divenne un tremendo incubo per il suo paese, dove aveva completamente liquidato il corpo delle guardie ( in parte uccise, in parte fuggiasche per dichiarato terrore: una di queste, minacciata di morte, andò a finire in Emilia, dove probabilmente si trova ancora ).
Portava con sé, dentro un sacco, la testa, che aveva essiccato sotto sale, di una delle sue vittime.
Quando la polizia, l'11 settembre del 1945, seppe che egli si trovava a trascorrere la notte in casa della sua amante, giuntovi dalle campagne ( la casa era nel mezzo del paese ), gli diede l'assedio con trecento uomini, carri armati leggeri, mitragliatrici pesanti e perfino un mortaio, che però non venne usato.
Alla battuta parteciparono, oltre al dirigente della zona dei nuclei mobili, Ribizzi, tutti gli ufficiali di carabinieri e polizia.
Il combattimento durò oltre tre ore; vi trovò morte un carabiniere e vennero feriti due agenti.
Stimoli, da solo, saltando come un pazzo fra il balconcino, la porta d'ingresso e una finestra sul lato posteriore della casa ( da queste tre parti si sferrava l'attacco ), si difese fino all'ultima stilla di sangue.
Morì con 14 colpi proiettili in corpo.
Del suo cadavere - che io vidi all'obitorio del cimitero di Adrano - avevano paura persino i becchini.
La casa fu, ed è tuttora, chiusa, né alcuno s'è curato di rattoppare le numerose sberciature che le migliaia di proiettili vi produssero, o di asciugare le spaventose chiazza del sangue del bandito.
Aveva ucciso nove persone, una delle quali, per esempio, solo perché credeva che gli avesse gettato il malocchio.
Fece inginocchiare la vittima e gli disse:
'Sei morto, carogna!', e gli sparò la pistola addosso.
Un suo gregario, Giuseppe Spitaleri, arrestato qualche settimana fa, mi ha detto, poco prima di essere sottoposto ad interrogatorio:
'Stimoli non parlava mai; soprattutto non minacciava mai, ma se apriva bocca per condannare a morte qualcuno, non valeva nascondersi o avvisare la polizia: ammazzava lo stesso'
Spesso Stimoli arrivava a Catania travestito da donna, con una parrucca nera e una veste da contadina, e si recava a visitare una delle sue amanti.
Oppure andava a divertirsi con i compagni in una bettola del centro.
Ma nessuno aveva il coraggio di affrontarlo.
Molti sapevano delle sue visite, molti lo videro e lo riconobbero.
Ma poiché nessuno aveva desiderio di essere ammazzato, nessuno parlò mai.
Del resto, Stimoli sapeva sempre se qualcuno aveva in animo di denunziarlo, o se anche solo parlava male di lui.
Quando fu ucciso, i giornali pubblicarono tanti e tanto lunghi elenchi di favoreggiatori, che pareva ad Adrano non dovesse rimanere più una sola persona innocente.
Attraverso costoro Stimoli controllava ( s'intenda la parola alla lettera ) tutta la zona.
E non gli sfuggiva nulla..."
La foto segnaletica di Stimoli riproposta da ReportageSicilia illustrò l'articolo di Nicolosi pubblicato da "L'Europeo".
Fu probabilmente grazie a questa immagine che la scrittrice e giornalista ligure Milena Milani potè così descrivere il bandito di Adrano nella prefazione del saggio edito vent'anni dopo da Longanesi:
"Capelli neri, corporatura robusta, gli occhi luccicanti di bagliori, l'aria sprezzante, un contadino evoluto, che capisce l'importanza delle armi, che quando ne possiede una non sa nemmeno controllarsi, l'imbraccia, prende la mira, vuota tutto il caricatore..."