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martedì 26 novembre 2024

UN PROGETTO INDUSTRIALE CHE AVREBBE POTUTO DEVASTARE FAVIGNANA

Il porto di Favignana.
Fotografia di Franco Patini,
opera citata nel post


Il 19 maggio del 1992 la Gazzetta Ufficiale pubblicò il decreto di istituzione della Area Marina Protetta delle Isole Egadi, risalente al 27 dicembre dell'anno precedente. Venne così riconosciuta l'importanza ambientale e faunistica dell'arcipelago trapanese, sui cui fondali prospera una delle più estese praterie di Posidonia Oceanica del Mediterraneo. Negli anni successivi, la creazione dell'Area Marina Protetta non ha impedito a Favignana, Levanzo e Marettimo di sviluppare le attività turistiche, talora - soprattutto a Favignana, negli ultimi anni - con un numero di presenze estive soverchiante rispetto alla capacità ricettiva delle tre isole. L'attuale scenario delle Egadi - un luogo che conserva ancora le sue attrattive naturalistiche e storiche - avrebbe potuto subire un traumatico stravolgimento tra gli anni Sessanta e gli inizi del decennio successivo del Novecento.



Fu un quindicennio in cui l'arcipelago rischiò di seguire la sorte di altre località marine siciliane all'epoca sacrificate in nome dello sviluppo dell'industria petrolchimica ed elettrochimica ( Gela, Priolo, Augusta, Milazzo, e, con diverse modalità produttive, Termini Imerese ). In quel periodo, questi litorali della Sicilia vennero devastati - sottolineò Fulco Pratesi nel 1974 - da "pestilenziali insediamenti industriali, dal beneficio economico illusorio e discutibile ma dall'inequivocabile peso territoriale e contenuto d'inquinamento". Analoga sorte avrebbero dovuto subire le Egadi - in particolare, Favignana - secondo quanto riferito nell'aprile del 1969 dalla rivista del Touring Club Italiano "Vie d'Italia e del Mondo". Dopo avere illustrato la crisi della pesca del tonno, dell'attività estrattiva del tufo e delle attività agricole, il giornalista Franco Patini - autore anche delle fotografie riproposte nel post - nel suo reportage così illustrò un progetto promosso allora dall'IRFIS ( l'Istituto Regionale per il Finanziamento alle Industrie in Sicilia ) per lo "sviluppo" dell'isola: 

"Il problema di creare a Favignana e nella Sicilia Occidentale condizioni di vita migliori viene preso in esame dall'IRFIS in uno studio forse ambizioso ma senza dubbio organico. La soluzione proposta situa la piccola isola al centro del progetto tendente a creare nella Sicilia occidentale un polo industriale capace di realizzare un processo evolutivo pari a quello sviluppatosi su altri versanti della Sicilia. L'idea motrice consiste nella localizzazione nel Trapanese di industrie elettrochimiche ed elettrometallurgiche che dovrebbero utilizzare l'energia prodotta a basso costo da una centrale da costruire in zona franca. Certamente non manca da queste parti, sia sotto forma di salgemma che di sale marino da raffinare ulteriormente, il cloruro di sodio indispensabile ai relativi procedimenti tecnologici, mentre l'acqua dolce necessaria potrebbe essere distillata dal mare, a somiglianza di quanto è stato fatto in altre località dell'Italia meridionale. Lo studio dell'IRFIS, situa il suo fulcro proprio a Favignana, che se da un lato si presterebbe alla creazione del porto, con relativi depositi, necessario per ricevere il grezzo e gli idrocarburi nordafricani con i quali alimentare la centrale elettrica e fornire la materia prima all'industria di raffinazione e a quella chimica. 



Giocherebbero a favore dell'isola la ubicazione al centro del Mediterraneo, la disponibilità di aree pianeggianti anche per installazioni industriali, gli eccellenti fondali del versante sud-orientale che permetterebbero lo scarico delle superpetroliere di pescaggio superiore ai venti metri. Come si vede, non si può dire che manchino i progetti. Quando se ne formulano di così ambiziosi e capaci di mutare radicalmente la immobilità della situazione ambientale di una vasta area, molto si può sacrificare a quella vocazione..."

Lo spaventoso progetto dell'IRFIS che avrebbe dovuto trasformare il mare delle isole Egadi in un luogo di transito e stazionamento di enormi "superpetroliere", distruggendo per sempre uno degli habitat che raccontano la storia del Mediterraneo, rimase fortunatamente incompiuto. Come sono rimasti inattuati altri analoghi progetti di impianti industriali la cui installazione venne prospettata in quegli anni nel trapanese, a Castelluzzo e a Torretta Granitola: luoghi scampati alla irreparabile alterazione del patrimonio ambientale subita dalla Sicilia in nome di un fallace sviluppo economico, pagato a caro prezzo dal territorio dell'Isola.




domenica 10 novembre 2024

LE VOLITIVE DONNE DI STROMBOLI

Paesaggio di Stromboli.
Fotografia di Alfredo Camisa
tratta dalla rivista "Sicilia"
edita dall'assessorato Turismo e Spettacolo
nell'aprile del 1961



"A Stromboli - ha scritto Ida Fazio nel saggio "Il tesoro dei santi di Stromboli", edito nel 2017 dall'Associazione di Promozione Sociale "Attivastromboli!" - l'economia e la società sembrano essere un contesto aperto e dinamico in cui le donne hanno un ruolo forte, come anche nel resto dell'Arcipelago ( delle Eolie, n.d.r. )... La popolazione di Stromboli nel XIX secolo è formata più da donne che uomini... Le donne non solo sono spesso proprietarie delle case e delle terre come gli uomini, ma sono anche presenti in tutti i tipi di mestiere. Gli atti notarili lasciano nell'ombra l'economia informale, praticata giornalmente dalle donne più che dagli uomini. 



Ma le testimonianze dei viaggiatori e le altre fonti storiche, come inchieste, indagini, processi, sanzioni fiscali ce le mostrano attive nell'agricoltura, nella marineria e nella pesca, nel commercio e nell'intermediazione, nel piccolo credito. Nel primo Ottocento, alcune indagini governative contro il contrabbando e la frode rivelano che le donne a Stromboli erano attive nei piccoli commerci tra le isole, da sole o insieme ai loro mariti... 



Abbiamo l'occasione di osservare, come alcune donne facessero da intermediarie, altre offrivano servizi ai marinai e ai corsari che sostavano sull'isola, davano e ricevevano denaro in prestito o facevano credito sui prodotti smerciati. Infine, una preziosa testimonianza processuale su una imbarcazione venduta di frodo "con reti di piscare, ed altri ordegni di pesca" ci conferma che "in quell'Isola talune donne sono prattiche dell'arte marinaresca": ecco un Rosalia Cincotta che va in mare per conto di un sacerdote che ha comprato quella barca, da sola, così come ci vanno anche i suoi due fratelli, marinai..."



lunedì 4 novembre 2024

L'IRONIA DI UN "PREMIO PULITZER" SUI RISCHI DELLA GUIDA IN SICILIA

Traffico a Palermo
in via Ruggero Settimo.
Foto tratta dalla rivista "Sicilia Mondo"
edita nel gennaio del 1956


Inviato del "New York Herald Tribune" in Europa, residente per anni a Parigi, Art ( Arthur ) Buchwald è oggi ricordato per essere stato sino al 2007 - anno della sua morte - uno dei più graffianti ed irriverenti giornalisti americani. Membro dal 1991 dell'"American Academy of Arts and Letters", vincitore nel 1982 del "Premio Pulitzer", Buchwald raccontò ai lettori con tagliente satira il lato grottesco di numerosi Paesi europei e - in anni di piena "guerra fredda" - anche dell'Unione Sovietica. Autore di una trentina di libri e collaboratore di oltre 500 periodici, Buchwald ebbe forse modo di frequentare anche la Sicilia. In assenza di dati documentari certi, la supposizione si fonda sul fatto che il giornalista ambientò nell'Isola il suo primo romanzo, intitolato "A gift from the boys" ed edito a New York nel giugno 1958 da Harper & Brothers. Pubblicizzato negli Stati Uniti come "il libro più divertente dell'anno", il romanzo venne pubblicato in Italia nel gennaio del 1960 da Arnoldo Mondadori Editore con il titolo di "Pacco a sorpresa". Prendendo forse spunto dal clamore delle sanguinose cronache di mafia di quegli anni - dalla faida a Corleone tra i clan Liggio e Navarra, a quella che a Palermo aveva come obiettivo l'accaparramento delle aree edificabili - Buchwald raccontò lo strampalato ritorno in Sicilia dagli Stati Uniti di un boss di origini isolane: Franco Bartelini, alias Frank Bartlett

Art Buchwald,
in una fotografia tratta dal romanzo
"Pacco a sorpresa", opera citata


Nel suo approdo al paese di origine dei genitori, indicato con il nome immaginario di "La Coma", il protagonista incorre in una serie di bizzarre avventure. La trama di questo racconto satirico vede come comparse un giornalista, un'anziana principessa proprietaria di un castello, un bandito-mafioso chiamato "Mondello" e  "Karen", un'avvenente donna bionda ispirata alla figura di Marilyn Monroe. Durante il viaggio in auto lungo le strade dell'Isola, Frank Bartlett sperimenterà i rischi provocati dall'imprudenza dei guidatori siciliani:

"La circolazione in Sicilia è la più pericolosa al mondo. In confronto, i banditi della mafia sono degli angioletti paragonati a quelli che qui hanno la patente di guida"



Non sappiamo se davvero Art Buchwald abbia rievocato nelle pagine di "Pacco a sorpresa" una personale esperienza di guidatore o passeggero di auto in Sicilia. Di certo, il 13 gennaio del 1956 - due anni prima della pubblicazione del romanzo negli Stati Uniti - la rivista "Sicilia Mondo" aveva riportato un testo di Buchwald accompagnato da una breve premessa in cui si accenna ad sua presenza nell'Isola, oggetto di un'ironica descrizione dell'anarchia del traffico stradale:

"Il simpatico giornalista americano è stato fra noi. Si è guardato intorno, ha scritto le sue impressioni e le ha affidate a "Lettura" di Milano":

"Basta trascorrere poche ore sulle strade tortuose di questa bellissima isola per comprendere la ragione che ha indotto tanti siciliani a lasciare la loro terra per emigrare in America. Un automobilista straniero in Sicilia non sa mai come comportarsi, tanti sono gli incontri che si possono fare su una carrozzabile siciliana; Fiat a quattro cilindri, Ferrari a otto, Alfa Romeo a 12, carri da fieno, camion, motociclette, motorette, biciclette, carri trainati da cavalli e da asini, carri spinti a mano, cani, capre, pecore, galline, bambini, pescatori, ecclesiastici, carabinieri, banditi. Per tradizione, i siciliani nutrono un certo disprezzo per il mezzo di trasporto usato dal loro prossimo e questo disprezzo dà luogo ad una specie di eterna guerriglia tra gli utenti della strada. Quando un siciliano ne supera un altro, si affretta a rivolgergli la parola per dirgli a gran voce che lui è cretino o idiota, che sua madre era una capra o suo padre un questurino. Il sorpassato risponde per le rime e, poiché i siciliani non possono rinunciare all'uso delle mani, quando parlano, né l'uno né l'altro automobilista avrà le mani sul volante nel corso di questi scambi verbali. Gli unici punti della strada in cui un siciliano sorpassa un altro siciliano sono le curve. Qualche volta capita che un'automobile o un camion arrivino dalla direzione opposta, e allora l'automobilista si trova di fronte a quello che i toreri chiamano "il momento della verità". Se sterza lui passerà per vigliacco e, per evitare il tutto, fa sterzare l'altro. Un pò di riguardo si ha solo per i carretti trainati dagli asinelli. I carrettieri quando devono dormire, dormono per la strada, i loro asinelli fanno altrettanto, il carretto occupa un terzo della strada, il fieno disposto trasversalmente ne occupa un altro terzo e, qualche volta, gli altri due terzi. Norma rigorosissima è che l'automobilista, prima di entrare in un. entro abitato, spinga l'acceleratore e schiacci con tutte le sue forze il pulsante del clacson, facendo sui passanti l'effetto opposto del panico. I bimbi si precipitano fuori dalle case per giocare sulla strada, i cani accorrono per vedere cosa mai succeda, le galline giudicano opportuno il momento per recarsi dall'altro lato della strada. La gente si rifiuta di togliersi di mezzo, l'automobilista si rifiuta di rallentare e chiude gli occhi..." 

sabato 2 novembre 2024

MILLENARIA STORIA E MODERNO ASSEDIO DEL CEMENTO A VILLA NAPOLI

Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Assediata dall'edilizia urbana proliferata durante i decenni del "sacco di Palermo", Villa Napoli - acquisita nel 1981 dalla Regione Siciliana - racconta una complessa storia architettonica. L'edificio, che oggi appare con un volto che risale al Settecento, ha di recente svelato primitive tracce di epoca islamica. La sua identità di età normanna, sul lato orientale, emerse nel 1920, grazie alla rimozione di più moderni intonaci. A quel periodo, risale la costruzione della adiacente "piccola Cuba" in quel che resta del parco di caccia allestito a Palermo dalla monarchia normanna, in un sistema di peschiere e ambienti porticati costruiti da maestranze islamiche. Anche questo prezioso esempio di architettura del secolo XII è scampato al dilagare del cemento contemporaneo.







 

Oggi Villa Napoli, la "piccola Cuba" ed il giardino a questa annessa - un lembo trascurabile dell'originario "genoard" di epoca normanna - paiono soffocati dai palazzi circostanti. Per alleviare il disagio suscitato da questo soverchiante contesto cementizio, basterebbe completare il restauro della villa e bonificare il giardino da detriti e rifiuti: un modo per restituire a Palermo un pezzo della sua millenaria storia.    

lunedì 28 ottobre 2024

LA RACCOLTA DELLE OLIVE A CASTELLUZZO

Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Dallo scorso 5 ottobre in molte zone della Sicilia - come a Castelluzzo, nel trapanese - è iniziata la raccolta delle olive. Sono giorni in cui migliaia di braccianti sono impegnati in una vendemmia che si svolge secondo consuetudini secolari, rinnovate solo dall'utilizzo di sempre più comodi ed efficaci "abbacchiatori" elettrici. La raccolta delle olive riesce a coinvolgere intere famiglie. Alcune le ammassano ancora all'interno di "panàra" in vimini foderati con sacchi di juta: una protezione che evita le ammaccature delle olive, conservandole integre per la molitura. Specie gli olivicoltori che dispongono di uliveti più estesi, preferiscono invece utilizzare ceste in plastica. In ogni caso, per ottenere una buona resa dal raccolto, ciascuna pianta dovrà essere accuratamente "annittata",  cioè ripulita dai frutti che di lì a breve forniranno il prezioso olio.

giovedì 24 ottobre 2024

PALERMO, METROPOLI PROVINCIALE E CAPITALE INCOMPRENSIBILE



"Forse poche città come Palermo - ha scritto il giornalista, scrittore e saggista agrigentino Pasquale Hamel in "Palermo. Passeggiate d'autore" ( Bruno Leopardi Editore, Palermo, 2001 ) - hanno avuto tanto spazio nelle cronache quotidiane, nell'informazione, nel comune sentire di gente d'ogni parte, ma come spesso accade di un oggetto del quale tanto si parla, si scopre che ben pochi lo conoscono. Pochissimi, infatti, conoscono realmente questa metropoli...

... Palermo è una città forte, densa di umori, carica di sentimenti, incapace, ed è il suo limite, di menare vanto della sua storia e per questo, troppo spesso, chiusa in un provincialismo che non fa giustizia di anni, di secoli, di grande cultura. Eppure basta dare un'occhiata, anche di sfuggita, a quell'imponente complesso edificato del centro storico per rendersi conto che ci trova di fronte non ad una città qualsiasi, ma ad una capitale, una grande capitale le cui fabbriche riflettono livelli di civiltà altissime..." 

La fotografia del post attribuita a Brassai ( Gyula Halasz )  ritrae Porta Nuova a Palermo ed è tratta dalla rivista "Ciclope" edita nel gennaio del 1958 a Palermo da De Giacomo e La Zara 


lunedì 21 ottobre 2024

domenica 20 ottobre 2024

L'ADDIO E I RICORDI DEGLI ULTIMI "CORDARI" DELLA GROTTA A SIRACUSA

La "Grotta dei Cordari" a Siracusa.
Foto tratta dall'opera "Sicilia d'Oggi"
edita dall'Istituto Poligrafico dello Stato nel 1955


Il 7 maggio del 1968 a Siracusa, Vincenzo Ambrogio senior ed il nipote Vincenzo, all'epoca di 80 e 48 anni, lasciarono il loro storico lavoro di "cordari" all'interno della omonima grotta, adiacente all'Orecchio di Dionisio. Per anni, i due Ambrogio avevano resistito alla tentazione di interrompere l'attività, sconfitta dall'avvento delle fibre sintetiche e dalla produzione di canapa ritorta a macchina. Le cronache del tempo ricordano che il più anziano degli Ambrogio, prima di abbandonare la grotta, volle bere un bicchiere di vino insieme ad alcuni amici ed a un paio di giornalisti accorsi per raccontare l'evento. A questi ultimi ricordò una precedente e più affollata ressa di cronisti e fotografi all'interno della "Grotta dei Cordari". Era l'aprile del 1955, quando Winston Churchill, protetto da un cordone di addetti alla sicurezza, vi piazzò il suo cavalletto da pittura per raffigurare i "cordari" al lavoro. Un giornalista tedesco cercò allora di convincere Vincenzo Ambrogio senior a ricevere in prestito una macchina fotografica; dietro compenso di centomila lire, avrebbe dovuto scattare di nascosto un paio di fotografie all'ex premier inglese. Ambrogio rifiutò l'offerta, dando ai cronisti siracusani questa motivazione:

"Come potevo tradire quell'ottimo amico che quando beveva un sorso di ottimo whisky mi passava sempre la bottiglia prima di riporla nella sua borsa?"



VISIONI ED ASPIRAZIONI A LAMPEDUSA PRIMA DELL'INDUSTRIA DEL TURISMO

Il porto di Lampedusa
alla fine degli anni Sessanta dello scorso secolo.
Fotografie di Francesco Conforti,
opera citata nel post


"Il grosso rinnovamento di questo estremo lembo d'Italia dove si può quasi vedere la costa africana è quasi iniziato. Sarà il turismo a farlo camminare rapidamente? Chi ha comunque ancora interesse a vedere Lampedusa quale è stata da sempre, si affretti: le novità in via di realizzazione ne cambieranno presto l'aspetto, tanto semplice e suggestivo"

Con questa considerazione, il giornalista Francesco Conforti concluse il suo reportage dedicato alle isole Pelagie pubblicato nel febbraio del 1970 dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia e del Mondo". L'articolo - corredato dalle fotografie riproposte nel post - fornisce oggi parecchie informazioni sulla vita quotidiana a Lampedusa pochi anni prima che la "profezia" di Conforti si avverasse, facendo prevalere l'economia del turismo su quella della pesca. A partire dal 1969, grazie anche all'attivazione di regolari collegamenti aerei fra l'isola e gli aeroporti di Trapani e Palermo, il numero dei turisti lampedusani aveva fatto registrare un primo storico incremento: 4.000, rispetto ai 1.500 dell'anno precedente ed ai 700 del 1967. Quando il giornalista sbarcò sull'isola, Lampedusa contava 4.620 abitanti, una decina di piccoli stabilimenti per la preparazione degli sgombri sott'olio in scatola, circa 200 fra piccole e grandi barche da pesca ed un solo albergo, ancora in costruzione a cala Guitcia.



"Circolano circa cento fra automobili e autocarri - si legge nell'articolo - mentre altrettanti sono gli scooter e le motorette. Dal centro di Lampedusa partono tre strade in terra battuta. La prima in direzione di levante e per un paio di chilometri fino al faro; la seconda corre parallelamente al lato a mezzogiorno dell'isola per sette chilometri, fino al punto panoramico più alto, Capo Ponente, metri 113; la terza è quella che per un chilometro costeggia la pista dell'aeroporto e arriva al molo di cala Pisana"

Prima del secondo conflitto mondiale, l'interno dell'isola era stato coltivato da pastori e pecorai: attività in seguito abbandonate per le scarse risorse idriche ed il basso reddito che offriva la terra. Molti lampedusani erano così emigrati in Germania, Svizzera e Francia; chi aveva preferito non emigrare, viveva quasi esclusivamente grazie alle risorse offerte dal mare, spiegando a Conforti:

"Siamo pescatori. Solo a pochi puzzano i piedi di capra..."



Durante il soggiorno del giornalista del TCI, la maggioranza dei visitatori di Lampedusa era costituita da pescatori subacquei. Erano appassionati delle immersioni provenienti da tutta Italia e dall'estero, attirati nel cuore del Canale di Sicilia dalla possibilità di catturare un consistente numero di pesci.  Fra questi, Conforti cita Guido Pfeiffer, uno storico "profondista" che da lì a qualche anno avrebbe anche diretto alcune riviste specializzate. La presenza dei pescatori subacquei, che pure alimentavano un discreto indotto economico, non era troppo apprezzata dagli isolani:

"L'isola è piccola e perciò basta la presenza d'estate di 300 o 400 subacquei per ripulire in breve tempo quello che c'è ancora da pescare. Lo stesso Salvatore Loverde, il solo lampedusano che peschi con gli autorespiratori ad aria, non è favorito nella sua attività. Prima pescava anche sottocosta, oggi anche Loverde per prendere delle belle cernie deve scendere a profondità superiori ai 40 metri ed allontanarsi dalla costa..."

Agli occhi del giornalista, la Lampedusa di 54 anni fa mostrava un aspetto paesaggistico non ancora intaccato dall'edilizia turistica dei nostri giorni:

"Tutto è rimasto come sempre, niente ville, niente turismo organizzato nel senso tradizionale della parola. L'isola ha conservato intatto tutto il suo fascino. Nelle sue deliziose spiaggette: l'isola dei Conigli, cala Guitcia, cala Francese, cala Madonna, cala Pisana e cala Croce, di una stagione turistica sono rimasti solo qualche scatoletta di carne sventrata e i frammenti di bottiglie di acqua minerale. Chi si reca perciò nell'isola ancora oggi ha l'impressione di esserci arrivato per primo..."



Nel reportage, Francesco Conforti non mancò di segnalare che i lampedusani prospettavano allora un futuro diverso per la loro isola, non ancora entrata nella storia per l'epocale e talora drammatico flusso di migranti dalle coste del Nord Africa:

"Le grandi speranze degli isolani sono rappresentate da due società immobiliari che hanno acquistato a 50 lire il metro i terreni migliori in riva al mare nelle zone più suggestive, ripromettendosi di costruire dei villeggi turistici capaci di ospitare quattromila persone. I tempi, comunque, non sono ancora maturi. Per il momento, l'isola resta affidata all'iniziativa di un marinaio, Virgilio Ferrari, di origine parmigiana, che oltre ad avere costruito dei bungalow e un ristorante all'isola dei Conigli, è stato capace di orientare con successo i lampedusani verso questo nuovo tipo di mentalità turistica, inducendoli ad aprire le loro case ai forestieri..."



Dal 2012, una nuova aerostazione ha contribuito ad incrementare il numero di turisti che da tutta Italia raggiungono abitualmente Lampedusa in poche ore. Nel 2023, ne sono sbarcati 320.000. Le previsioni indicano che in prossimo futuro potrebbero raggiungere quota 400.000: un dato che spiega meglio di ogni altro i cambiamenti subiti da un'isola che nel 1970 poteva ancora mostrarsi a Conforti come "un luogo dove la natura non è ancora stata contaminata, dove il paesaggio ci è stato tramandato intatto da millenni" . 

venerdì 18 ottobre 2024

LA RESISTENZA DI ALLEVATORI ED AGRICOLTORI A GANGI

Una mandria di mucche a Gangi.
Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia

In questo fine settimana Gangi ospita la nona edizione di una Mostra Agrozootecnica, evento cui partecipano decine di allevatori ed agricoltori provenienti anche delle provincie di Agrigento, Enna, Caltanissetta e Catania. La manifestazione si svolge in un periodo critico per la zootecnia e l'agricoltura siciliana, gravate da una perdurante siccità e, soprattutto, dalle storiche deficienze strutturali delle infrastrutture idriche isolane. La Mostra assume così un significato di resistenza da parte di centinaia di piccole e medie aziende, spesso a carattere familiare, che dalle attività di coltivazione e di allevamento degli animali nelle aree interne della Sicilia traggono primaria fonte di sostentamento.  

lunedì 14 ottobre 2024

UN ANONIMO PESCATORE SICILIANO DI BRONZO A CHICAGO

Il "Pescatore siciliano"
della scultrice Malvina Hoffman
conservato a Chicago.
Riproduzione di una cartolina
del "Field Museum of Natural History"


Alla ricerca di tracce che potessero ricordare la Sicilia a Chicago, il giornalista, scrittore e saggista catanese Giuseppe Quatriglio alla fine degli anni Cinquanta dello scorso secolo trovò in due musei il segno dell'identità siciliana nella capitale del Middlewest americano. Il primo, in una sala del Museo delle Scienze e dell'Industria, dedicata all'esposizione di mezzi di trasporto nel mondo: un carretto, "un pò vecchio ormai, dai colori appiattiti", sulle cui fiancate erano ancora visibili le scene cavalleresche dipinte da chissà quale pittore dell'Isola. Il secondo manufatto, in bronzo, si materializzò alla vista di Quatriglio all'interno di un museo di storia naturale, il "Field Museum of Natural History". Si trattava di una statua - alta una volta e mezzo la figura naturale - raffigurante un pescatore nel gesto di lanciare una rete in mare. La scultura fissa con realismo l'attività dell'anonimo pescatore: lo sguardo è concentrato sulle onde, le gambe sono divaricate a sostenere e bilanciare il peso del corpo: "un solido uomo di mare - scrisse in seguito Quatriglio in un articolo pubblicato dalla rivista "Sicilia Mondo" nel maggio del 1959 - forse di Marsala o di Trapani, di Vergine Maria o di Porto Empedocle, di Acitrezza, di Ganzirri o di Porticello. 

La statua del pescatore siciliano esposta a Chicago fa ancor oggi parte di una galleria di 101 fra bronzi e busti in marmo realizzata dall'artista di New York Malvina Hoffman. Figlia del pianista Richard Hoffman, la scultrice si trasferì a Parigi agli inizi del Novecento, diventando allieva dello scultore e pittore Auguste Rodin. Nel 1930, la Hoffman fu incaricata dal "Field Museum of Natural History" di riprodurre con opere statuarie uomini e donne di diverse nazionalità - una sorta di "Galleria dell'Uomo" - raffigurandole in attività quotidiane svolte nel loro Paese di origine. Sino al 1936, la scultrice viaggiò dall'Africa all'Asia, dal Sud America alla Cina, dall'Australia all'Europa. Sembra che la Hoffman si sia affidata per la scelta dei suoi personaggi ai consigli di antropologi e studiosi locali delle tradizioni popolari, non senza correre il rischio di cadere nella rappresentazione folclorica dei luoghi e dei caratteri delle persone che vi vivevano. 

"In Sicilia - scrisse Giuseppe Quatriglio nel suo articolo - la scultrice fu accolta da personalità del mondo scientifico e dalle migliori famiglie dell'isola. La signorina Hoffman entrò nei salotti eleganti dove conquistò subito mole simpatie per la sua intelligenza e fu ospite della sontuosa villa del principe di Niscemi. Il dovere la spinse nelle regioni dell'interno, fu ad Enna, sull'Etna, sulle Madonie ed a Erice, ma non scelse il suo tipo nelle alture o sulle montagne; preferì, invece, orientarsi verso un pescatore della costa. Così nacque la superba scultura, uno dei pezzi più grossi, non soltanto per le dimensioni, della intera collezione, "The Sicilian Fisherman", il pescatore siciliano..." 

martedì 8 ottobre 2024

L'ATTESA DELLA VERITA' SUL DELITTO DI MICO GERACI

Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


La sera di 26 anni fa Mico Geraci veniva ucciso dalla mafia a Caccamo. Stava per candidarsi a sindaco del paese ed aveva denunciato apertamente le pressioni mafiose nella gestione della vita amministrativa locale e nell'erogazioni di fondi pubblici.  



Oggi il figlio Giuseppe ha ricordato il delitto, facendo un appello affinché chi sappia qualcosa di quell'omicidio si decida a parlare. Nel frattempo, la famiglia Geraci attende un possibile processo a carico dei presunti mandanti mafiosi del delitto, i fratelli Pietro e Salvatore Rinella, di Trabia.





UN ELOGIO ( INFELICE ) DELLA BELLEZZA FEMMINILE PANTESCA

Donne di Pantelleria.
Fotografie di Renzo Vento,
opera citata nel post


Nel luglio del 1959, Renzo Vento - professore liceale di latino e greco, giornalista ed in seguito anche sindaco di Trapani - volle elogiare le bellezze di Pantelleria, all'epoca ancora quasi sconosciuta ai non panteschi. L'apprezzamento, espresso in un articolo pubblicato dal mensile trapanese "Sicilia Oggi", andò soprattutto alle donne dell'Isola, sia pure con valutazioni - l'assenza di donne catalogabili come "brutte" - che oggi paiono chiaramente infelici. A supporto della sua discutibile argomentazione - frutto della cultura maschilista del tempo - Vento lasciò tuttavia una documentazione fotografica che recupera alla memoria le figure di alcune donne pantesche e due scorci dell'Isola.

"Le incomparabili bellezze dell'Isola, il cui paesaggio ricorda molto da vicino quello africano, i monti, il lago, le pianure ubertose, le fertili ed ampie vallate, le gole profonde circondate da una serie di pendici, le sorgenti di acqua termale con radioattività superiore alle altre d'Europa, le verdi pinete, le fantastiche grotte marine, tutto sembra favorire naturalmente l'afflusso di una larga schiera di turisti che, stanchi per il ritmo dinamico della vita moderna, cercano per le loro vacanze un'oasi di pace e di riposo...



... Però l'aspetto più attraente di Pantelleria è costituito dalla mediterranea e classica bellezza delle sue donne. Sfideremmo chiunque a trovare nell'Isola una ragazza brutta. E il perché di ciò resterà sempre un mistero. L'unica spiegazione potrebbe essere darla forse quel cielo di un azzurro intenso e la quiete che in ogni luogo regna sovrana..."  

I CERCATORI DI FUNGHI DI GIUSEPPE MIGNECO








 

lunedì 30 settembre 2024

"IL GATTOPARDO", IL DIFFICILE PROLOGO AL SUCCESSO DEL ROMANZO DI TOMASI DI LAMPEDUSA

Edizioni straniere de "Il Gattopardo".
Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Furono ben nove le edizioni del libro pubblicate da Feltrinelli nel febbraio del 1959 dopo l'avvio della prima stampa, risalente al 25 ottobre dell'anno precedente. Agli inizi del 1961, "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa - già tradotto in 12 lingue, diventate 19 nel 1963 - era stato diffuso in Italia in 250.000 copie, 100.000 in Francia e 150.000 in Germania. La presentazione della prima copia a Palermo avvenne il 9 dicembre del 1958, all'interno della libreria Flaccovio, dove Tomasi di Lampedusa - morto il 23 luglio dell'anno precedente - era solito acquistare romanzi e saggi in lingua inglese e francese. All'appuntamento letterario presero parte parenti, amici e conoscenti dello scrittore, come raccontato il giorno dopo dalla cronaca del "Giornale di Sicilia":

"Nell'ideale omaggio a Giuseppe Tomasi di Lampedusa - scrisse l'anonimo cronista della "fotonotizia", riproposta nel post da ReportageSicilia - principe e scrittore palermitano, il cui nome oggi corre verso la fama, si sono riuniti, invitati da Fausto Flaccovio, nella libreria ove il Tomasi trascorreva curioso e solitario ore e ore, i familiari e gli amici dell'autore, vivo oggi e nel ricordo e nell'opera sua. Fra gli intervenuti, insieme alla moglie di Giuseppe Tomasi, principessa di Lampedusa, Gioacchino e Mirella Lanza Tomasi, il conte e la contessa D'Asaro, ed amici vecchi e nuovi, convenuti in gran numero ed accomunati nell'omaggio e nell'affetto all'amico non dimenticabile e all'autore di un romanzo fra i più significativi del nostro tempo..."



Molto e da autorevoli critici è stato scritto sulla travagliate vicende che fecero da prologo alla pubblicazione del romanzo. Dettagli interessanti emergono dalla lettura del documentatissimo saggio del medico e ricercatore di Palma di Montechiaro, Andrea Vitello: "I Gattopardi di Donnafugata", pubblicato da S.F. Flaccovio a Palermo nel 1963. Vitello raccolse informazioni di "prima mano" sulla gestazione del libro, interrogando parenti, amici e persone direttamente coinvolte nei tentativi di trovare un editore per la pubblicazione. La sua ricerca ha meglio precisato anche i motivi del famoso rifiuto di Elio Vittorini - interrogato sulla vicenda dallo stesso Vitello - all'inclusione de "Il Gattopardo" nella collana "I Gettoni" di Einaudi:

"Ancora in vita, il Tomasi cercò un editore per il suo romanzo col pudore di un giovane esordiente, chiedendo talvolta consigli in merito. Una delle copie battute a macchina Verso la fine tentò due editori famosi: Einaudi e Mondadori. A entrambi fu inviata anonima, per precisa volontà dell'autore: a Einaudi, da Salvatore Fausto Flaccovio; a Mondadori, da Lucio Piccolo. Verso la fine del 1956 il principe ebbe un colloquio con Flaccovio, al quale, presente il comune amico Ubaldo Mirabelli, redattore del "Giornale di Sicilia", offrì la lettura del romanzo. Successivamente, ancora in compagnia del giornalista Mirabelli, lo scrittore portò il dattiloscritto a Flaccovio, che lesse l'opera e pensò di inviarla a Elio Vittorini con una convinta lettera d'accompagnamento, nella quale si caldeggiava appunto la pubblicazione ne "I Gettoni" di Einaudi. Dopo alcuni mesi, Vittorini, rispondendo a Flaccovio, comunicava che stava riordinando la collana e che pertanto doveva rimandare qualsiasi decisione sulla offerta del romanzo. Anche la copia inviata a Mondadori dal cugino Lucio con una lettera di presentazione fu respinta. In ambedue le circostanze editoriali, a prendere in considerazione il romanzo, fu Elio Vittorini, che presso Mondadori, pur non svolgendo attività di lettore, ha sempre avuto il compito di dirigere e coordinare il lavoro dei vari consulenti, limitandosi, generalmente, ad avanzare suggerimenti editoriali sulla base dei giudizi di merito emessi dai critici che collaborano con la casa editrice. Il "gran rifiuto" di Vittorini è stato oggetto di non poche polemiche e di moltissimi commenti: pochissimi hanno condiviso il suo giudizio, i più ( a successo scontato ) hanno gridato al "crucifige". 



Non è questa la sede per parlarne, né è nostro compito formulare un giudizio. Per quanto ci risulta da fonte autorevole, possiamo affermare che Vittorini, pur suggerendo a Mondadori un certo lavoro di revisione del dattiloscritto da parte del Tomasi, ritenne il romanzo commercialmente valido: ancora oggi, resta da spiegare perché Mondadori non abbia seguito tale suggerimento. Per "I Gettoni", il discorso doveva essere diverso: in questa sede, Vittorini rifiutò il romanzo per non contraddire il discorso culturale che impostava con quella collana; di ciò, scrisse al Tomasi in una lunga lettera con la quale si dava conto dettagliato dell'esame. Una volta inquadrato il giudizio nella particolare prospettiva dalla quale scaturì, Vittorini tuttora non può imporsi d'amare scrittori che si manifestano entro gli schemi tradizionali: stando alle sue convinzioni, avrebbe potuto amare "Il Gattopardo" come opera del passato, oggi scoperta in qualche archivio. Scartata la possibilità di approvare un autore non congeniale, soprattutto sul piano ideologico, a Vittorini rimase la pratica "colpa" di non avere avuto "fiuto" commerciale; questo, in verità, richiede, tra l'altro, virtù che confinano con l'arte divinatoria: e chi può predire il successo di un'opera?..."



Giuseppe Tomasi di Lampedusa ricevette l'ultimo rifiuto editoriale cinque giorni prima di morire, dopo una cura palliativa nella "Clinica Sanatrix" di Roma. Otto mesi dopo la sua scomparsa, la critica letteraria Elena Craveri-Croce, figlia di Benedetto, tramite l'ingegnere Giargia ricevette il manoscritto del romanzo dalla vedova dello scrittore, la baronessa Alessandra Wolff-Stomersee. Lo scritto, spedito anche questa volta in forma anonima,  venne sottoposto dalla figlia del filosofo alla lettura di Giorgio Bassani. Arrivò così il via libera alla pubblicazione, che - in considerazione anche della suggestione creata alla morte di Tomasi di Lampedusa - ottenne uno straordinario successo di pubblico. Nel marzo del 1959, la "Titanus" ottenne i diritti cinematografici. Nell'agosto dello stesso, "Il Gattopardo" si affermo' con 135 voti al "Premio Strega", presieduto quell'anno dal giornalista Luigi Barzini jr., che era solito frequentare Palermo e lo stesso editore Flaccovio.  Il riconoscimento venne consegnato all'editore Giangiacomo Feltrinelli, già reduce dal successo editoriale de "Il dottore Zivago" di Pasternak, anch'esso diventato allora un grande classico della cinematografia mondiale. 





 

sabato 21 settembre 2024

IL FALLIMENTO DELL'INDUSTRIA DEL COTONE NEL SECONDO DOPOGUERRA

Operaia al lavoro
in un cotonificio siciliano
alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso.
Le fotografie del post sono tratte
dalla rivista "Documenti di vita siciliana",
opera citata nel post


"In Sicilia, nella quasi generalità dei casi, la raccolta del cotone viene fatta alla carlona: non solo, ma poiché solitamente la raccolta si svolge in tre riprese, i nostri cotonicoltori mescolano le varie produzioni riunendo a quella ottima della prima raccolta ( chiamata "primo fiore" ) la fibra di scarto delle ultime raccolte, sicché tutta la massa finisce con l'essere deprezzata... Pur se le condizioni climatiche e pedologiche sono, in generale, favorevoli ad un economico sviluppo della cotonicoltura siciliana, possiamo affermare senza tema di smentita che la ragione prima per la quale i filatori italiani non ricercano, deprezzano e spesso rifiutano la nostra produzione, dipende principalmente dalla cattiva raccolta ( fibra sporca, non omogenea, immatura, umida ) . La produzione siciliana ancora non presenta quelle condizioni merceologiche richieste dagli industriali cotonieri, dato che, oltre a presentarsi sporca, la nostra produzione è un prodotto ibridato di una popolazione di stirpi di molte "coltivar" diverse, con fibre morte o immature, perché male raccolta, male sgranata, difformemente imballata e difficilmente classificabile e commerciabile... Da quanto si è detto non si deve dedurre che la crisi della cotonicoltura siciliana sia da attribuire a colpa diretta ed esclusiva dei nostro cotonicoltori: sarebbe ingeneroso oltre che immeritato. Però si deve senz'altro ritenere che una più oculata coltivazione del cotone, condotta abbandonando metodi vecchi di secoli che non hanno più ragione di esistere in un'epoca in cui la concorrenza regna sovrana, pur se non avesse potuto scongiurare la crisi, l'avrebbe resa sicuramente meno pesante e meno drammatica..."






Così il giornalista Tonino Zito riassunse in un reportage pubblicato nell'aprile del 1961 dal periodico della Presidenza della Regione "Documenti di vita siciliana" i limiti strutturali nella produzione del cotone nell'Isola. All'epoca, la superficie della Sicilia destinata alla coltivazione - soprattutto nel nisseno e nell'agrigentino - era stimata in circa 40.000 ettari, contro i circa 88.000 degli anni successivi al periodo 1861-1865, allorché la guerra di Secessione americana bloccò le produzioni in quelle zone cotoniere. Durante i primi cinque decenni del Novecento, non erano mancati i tentativi di regolamentare con criteri scientifici la coltivazione della pianta in Sicilia. Il professore Francesco Bruno, direttore dell'Orto Botanico di Palermo, aveva introdotto l'Acala, una delle varietà di cotone più adatte all'ambiente dell'Isola. Furono poi diffuse nuove coltivar più precoci e produttive, la Stoneville e la Texas. Nel secondo dopoguerra, un gruppo industriale di Novara nel tentativo di supportare la produzione siciliana distribuì migliaia di quintali di semente americana di origine controllata. Si trattò però di tentativi isolati di miglioramento delle tecniche colturali, frutto di singole iniziative e non dell'opera delle Stazioni Sperimentali del Cotone - mai avviate - la cui istituzione era stata prospettata nel febbraio del 1949, quando si costituì l'Ente Fibre Tessili Siciliane. Grazie ad accurate sperimentazioni, questi laboratori avrebbero dovuto avere il compito di selezionare le varietà più adatte ai terreni ed alla clima della regione.   La certosina analisi documentaria compiuta da Zito evidenziò l'improvvisazione di gestione di un comparto agricolo potenzialmente d'eccellenza, che pure assegnava in quegli anni alla Sicilia il 90 per cento della produzione nazionale ed il 7 per cento del bisogno della filatura italiana. 



L'arretratezza dei metodi di coltivazione del cotone - che necessita di accurate arature su terreni soffici, di buona filtrabilità e igroscopicità -  venne così all'epoca illustrata dal giornalista:

"Una volta messi a dimora i semi del cotone, bisogna procedere alla "compressione" del terreno. In Sicilia si fa ricorso ad una pratica plurisecolare, forse introdotta dagli arabi: si adopera un attrezzo ( a Gela lo chiamano "tavolone" ) lungo un paio di metri e sufficientemente largo, il quale viene trainato ordinatamente da muli. Passando e ripassando sul terreno seminato da poco, lo comprime facendo risalire per capillarità l'umidità sottostante. Queste modalità di semina debbono essere necessariamente eseguite, poiché la semina costituisce un'operazione delicatissima: infatti la stentata o mancata germinazione costituisce la maggiore alea che corrono i cotonicoltori ed è la principale causa del mancato estendimento della coltivazione del cotone. A questo punto, quando le piante saranno spuntate, si dovrà procedere al diradamento per sollecitare attorno alle piante la produzione del maggior numero di capsule per ettaro. E il lavoro non è ancora terminato nella cotoniera, poiché si dovrà poi procedere alla così detta cimatura che serve, come la potatura della vite, a concentrare la linfa verso le branche produttive onde aumentare la grossezza ed il numero delle capsule. Tutti questi lavori, ripetiamo, fanno crescere ulteriormente il costo della coltivazione, perché qui in Sicilia si sconosce l'uso della meccanizzazione lungo l'arco dell'intero processo produttivo..."


Da qualche anno, la Sicilia ha riavviato la produzione di cotone con criteri più moderni, grazie ad iniziative private che promettono di sfruttare le energie rinnovabili e di estendere le coltivazioni a 1.000 ettari: una seconda possibilità per sfruttare in futuro una delle risorse agricole siciliane in passato poco e male valorizzate.