La facciata dei resti normanni della chiesa di Santa Maria della
Speranza, inglobata nell'area di un parcheggio privato di pullman
e di una officina meccanica, nei pressi di Corso Pisani.
Sono evidenti i segni del degrado e del completo abbandono
( foto REPORTAGESICILIA )
Al civico 124 di via Agostino Catalano campeggia un cartello inequivocabile: la scritta ammonisce infatti ‘severamente vietato l’ingresso agli estranei’. Il viale sembra deserto, ed allora la tentazione di violare il monito diventa insopprimibile. Avanziamo lungo una strada impolverata, fra carcasse di automobili di una officina meccanica e lo scorcio, centinaia di metri più avanti, di un grande parcheggio privato di pullman e mezzi pesanti: il divieto di accesso, evidentemente, si lega all’esistenza del deposito dei grandi automezzi, ed al loro via vai verso corso Pisani.
Le strutture di Santa Maria della Speranza si presentano presto ai nostri occhi, il prospetto parzialmente ostruito dal triste relitto di una Renault Supercinque destinata a rottamazione.
Ciò che rimane di questo monumento rappresenta una testimonianza altrettanto a perdere di architettura normanna palermitana, in quell’area che nel XII secolo faceva parte del ‘genoard’ di araba memoria: il territorio cioè compreso fra l’attuale corso Calatafimi, corso Pisani e mezzo Monreale, che raccoglie la Cuba, la piccola Cuba, la Zisa ed i resti dello Scibene.
Santa Maria della Speranza è oggi uno dei luoghi architettonici più dimenticati dagli stessi palermitani. La riscoperta della chiesa si deve, lo scorso secolo, a Nino Basile; negli ultimi decenni, pochi libri di storia dell’arte siciliana ne hanno tuttavia fatto cenno. Elio Tocco, nella sua ‘Guida alla Sicilia che scompare’ – edita nel 1984 da Sugarco – ricorda le antichissime origini di un luogo oggi abbandonato al degrado e da tempo “vietato” alla fruizione pubblica.
“Nel luogo dove oggi sono i pochi avanzi della chiesa normanna di Santa Maria della Speranza – scriveva Tocco – sorgeva nel 595 un grande monastero femminile, nel quale, per ordine di papa Gregorio Magno, furono trasferite alcune monache del convento di San Martino, ree, a quanto pare, di gravi “disordini”… risale a questo episodio il nome del monastero, dalla giusta speranza che le monache nutrivano di ritornare al buon ritiro di San Martino”.
In epoca araba, il convento di Santa Maria della Speranza venne probabilmente distrutto, così che le strutture ancora superstiti dell’edificio sembrano riferirsi alla seconda metà del secolo XII. Gli elementi architettonici ancor oggi identificabili si trovano nella facciata: i resti di un portale d’ingresso, con decorazione a ‘chevron’, e due finestre cieche, con bugne a guancialetto, in linea con quanto si può oggi ancora ammirare negli ordini superiori delle torri angolari della Cattedrale ed in quella che precede l’ingresso alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio. L’intero edificio – che mostra i segni di ristrutturazioni cinquecentesche – mostra alcune crepe, mentre l’interno è totalmente inaccessibile. Il Tocco, nella sua guida, documentò che le strutture normanne erano adibite a magazzino, “ingombro di legname, casse e macchine, con le pareti imbiancate a calce, del tutto deturpato”: una destinazione d’uso che il passare dei decenni non ha probabilmente modificato. Riscontrare questo aspetto dell’abbandono di Santa Maria della Speranza non è stato comunque possibile: un anziano custode del parcheggio di pullman e camion si è infatti subito avvicinato a noi, sottolineando il divieto di accesso all’area e invitandoci a non scattare alcuna fotografia della chiesa, oltre quella – l’unica – già conservata nella memoria digitale del nostro apparecchio.
Così, il ricordo stesso di questo prezioso esempio di architettura normanna rimane vietato, oltre che ai palermitani, anche al semplice desiderio di documentazione: non rimane allora che confidare finalmente nell’intervento alla Soprintendenza dei Beni Culturali, nella speranza di salvare quanto resta di ciò che Nino Basile così ricordava, quasi un secolo fa: “Alle porte di Palermo esistono completamente dimenticati gli avanzi di uno dei più antichi monumenti cristiani, del periodo più glorioso dell’arte cristiana, e di cui si è perduta memoria…”