"Il Comitato Panormitan per le Feste e le Riunioni aveva sede in via Catania 2, a Palermo, al pianterreno di un grande palazzo che si affacciava sul viale della Libertà.
L'edificio, di proprietà della famiglia Florio, era tra il liberty e il vittoriano.
I suoi balconi erano sempre colmi di fiori.
Il Comitato si riuniva tutti i giorni sino a notte inoltrata.
Nelle sale si discuteva, si prendevano decisioni e si approvavano, tutto nella massima segretezza.
I soci avevano l'aria di ribelli e anticonformisti e a una certa società conservatrice apparivano come adepti di compagini rivoluzionarie sul tipo della Giovane Italia.
Per tale motivo, non si sa da chi, vennero definiti in seguito i 'carbonari della Targa Florio'"
In una pagina del saggio "La leggendaria Targa Florio" ( Giorgio Nada Editore, 1989 ), il giornalista e ricercatore Pino Fondi descrisse le frequentazioni d'inizi Novecento di un palazzo palermitano posto ancor oggi all'angolo fra il viale della Libertà e via Catania.
La storia dell'edificio raccontata da Fondi - da tempo inutilizzato e ricoperto da una fitta cascata di foglie rampicanti - è oggi quasi del tutto dimenticata: dimora già nel 1924 di Vincenzo Florio junior e poi della convivente Lucie Henry - in seguito diventata sua moglie - ospitò per molti anni il comitato organizzatore della Targa Florio.
L'ultimo esponente della famiglia di imprenditori di origini calabresi occupava il piano terreno ed il primo piano del palazzo.
Florio disponeva inoltre di due appartamenti al terzo piano, i locali interni - adibiti a garage - e gli scantinati, utilizzati come cucina ed alloggi per il personale di servizio.
I "carbonari" che frequentavano casa Florio ricordati da Fondi portavano i nomi della vecchia aristocrazia palermitana del tempo, ed erano noti anche per le frequentazioni massoniche.
Nel libro di Pino Fondi si ricordano i personaggi di Tasca Bordonaro, del conte Guido Airoldi ed ancora il conte d'Insello, il marchese Paolo Scaletta, il barone Gianni Stabile, il barone Michele Ciuppa, il marchese Jacona della Motta, il barone Antonio di Raimone, il cavaliere Rodrigo Licata di Baucina, il principe di Petrulla, i principi Gustavo e Michele Vannucci, il marchese De Seta, il barone Cammarata, il barone La Motta, il barone di Gebbiarossa, il cavaliere Fecarotta, il cavaliere Salvatore Bonocore.
Il palazzo di Vincenzo Florio junior fu sede dell'organizzazione della gara madonìta sino al 1933.
Quell'anno, la gestione dell'evento sportivo passò al Real Automobil Club d'Italia.
Due anni dopo, Florio e Lucie misero in vendita l'edificio di via Catania, trasferendosi a Santa Flavia nell'abitazione di Renè - figlia di Lucie - e del marito Giuseppe Paladino.
I tempi d'oro delle compagnie di navigazione e dello sfruttamento dello zolfo erano già terminati, e l'esposizione bancaria della famiglia aveva superato la rovinosa soglia dei 50 milioni di lire.
Il destino dell'elegante edificio dei "carbonari della Targa Florio" passò così di mano all'Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano, fondato nel gennaio del 1940.
Di lì a poco il palazzo sarebbe sopravvissuto ai bombardamenti della guerra, avviandosi però al progressivo abbandono del ricordo della sua funzione di sede organizzativa delle prime edizioni della Targa Florio.
Oggi la costruzione è di proprietà dell'Ente di Sviluppo Agricolo della Regione Siciliana, che ne gestisce la semplice manutenzione ordinaria, lasciandola inutilizzata.
Negli anni passati, gli ultimi frequentatori dei saloni in cui Vincenzo Florio alimentò il mito della Targa sono stati gli allievi di alcuni corsi di formazione professionale.
In seguito, il palazzo è stato occupato da decine di studenti universitari e per questo motivo il portone di via Catania è stato munito di nuove e più robuste serrature.
I balconi un tempo adornati di fiori mostrano ora le finestre tristemente sbarrate e le imposte ricoperte da una biancastra crosta di polvere.
Le balaustre in pietra sono avvolte dalle foglie rampicanti; le candele elettriche poste lungo i corrimano non spargono più la luce che un tempo faceva risaltare la scansione prospettica delle eleganti facciate.
Biografi e studiosi - oltre Pino Fondi, anche Mario Taccari, Orazio Cancila, Simone Candela ed Anna Pomar - hanno in passato ricordato il legame fra la famiglia Florio ed il palazzo posto all'angolo fra il viale della Libertà e via Catania.
Malgrado ciò, nessuno sembra interessato a valorizzare l'edificio, che potrebbe ospitare un museo sull'epopea dei Florio o sulla storia sociale, artistica ed imprenditoriale che fra Ottocento e Novecento caratterizzò le vicende palermitane: una scelta che sarebbe in linea con la considerazione che senza la conoscenza del proprio passato il presente ed il futuro rimangono più incerti.
La storia dell'edificio raccontata da Fondi - da tempo inutilizzato e ricoperto da una fitta cascata di foglie rampicanti - è oggi quasi del tutto dimenticata: dimora già nel 1924 di Vincenzo Florio junior e poi della convivente Lucie Henry - in seguito diventata sua moglie - ospitò per molti anni il comitato organizzatore della Targa Florio.
Florio disponeva inoltre di due appartamenti al terzo piano, i locali interni - adibiti a garage - e gli scantinati, utilizzati come cucina ed alloggi per il personale di servizio.
I "carbonari" che frequentavano casa Florio ricordati da Fondi portavano i nomi della vecchia aristocrazia palermitana del tempo, ed erano noti anche per le frequentazioni massoniche.
Nel libro di Pino Fondi si ricordano i personaggi di Tasca Bordonaro, del conte Guido Airoldi ed ancora il conte d'Insello, il marchese Paolo Scaletta, il barone Gianni Stabile, il barone Michele Ciuppa, il marchese Jacona della Motta, il barone Antonio di Raimone, il cavaliere Rodrigo Licata di Baucina, il principe di Petrulla, i principi Gustavo e Michele Vannucci, il marchese De Seta, il barone Cammarata, il barone La Motta, il barone di Gebbiarossa, il cavaliere Fecarotta, il cavaliere Salvatore Bonocore.
Il palazzo di Vincenzo Florio junior fu sede dell'organizzazione della gara madonìta sino al 1933.
Quell'anno, la gestione dell'evento sportivo passò al Real Automobil Club d'Italia.
Due anni dopo, Florio e Lucie misero in vendita l'edificio di via Catania, trasferendosi a Santa Flavia nell'abitazione di Renè - figlia di Lucie - e del marito Giuseppe Paladino.
I tempi d'oro delle compagnie di navigazione e dello sfruttamento dello zolfo erano già terminati, e l'esposizione bancaria della famiglia aveva superato la rovinosa soglia dei 50 milioni di lire.
Il destino dell'elegante edificio dei "carbonari della Targa Florio" passò così di mano all'Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano, fondato nel gennaio del 1940.
Di lì a poco il palazzo sarebbe sopravvissuto ai bombardamenti della guerra, avviandosi però al progressivo abbandono del ricordo della sua funzione di sede organizzativa delle prime edizioni della Targa Florio.
Oggi la costruzione è di proprietà dell'Ente di Sviluppo Agricolo della Regione Siciliana, che ne gestisce la semplice manutenzione ordinaria, lasciandola inutilizzata.
Negli anni passati, gli ultimi frequentatori dei saloni in cui Vincenzo Florio alimentò il mito della Targa sono stati gli allievi di alcuni corsi di formazione professionale.
In seguito, il palazzo è stato occupato da decine di studenti universitari e per questo motivo il portone di via Catania è stato munito di nuove e più robuste serrature.
I balconi un tempo adornati di fiori mostrano ora le finestre tristemente sbarrate e le imposte ricoperte da una biancastra crosta di polvere.
Le balaustre in pietra sono avvolte dalle foglie rampicanti; le candele elettriche poste lungo i corrimano non spargono più la luce che un tempo faceva risaltare la scansione prospettica delle eleganti facciate.
Biografi e studiosi - oltre Pino Fondi, anche Mario Taccari, Orazio Cancila, Simone Candela ed Anna Pomar - hanno in passato ricordato il legame fra la famiglia Florio ed il palazzo posto all'angolo fra il viale della Libertà e via Catania.
Malgrado ciò, nessuno sembra interessato a valorizzare l'edificio, che potrebbe ospitare un museo sull'epopea dei Florio o sulla storia sociale, artistica ed imprenditoriale che fra Ottocento e Novecento caratterizzò le vicende palermitane: una scelta che sarebbe in linea con la considerazione che senza la conoscenza del proprio passato il presente ed il futuro rimangono più incerti.
Non l'ho mai notato... devo farci caso appena scendo!
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