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lunedì 6 marzo 2017

LA FINZIONE E L'ISPIRAZIONE SICILIANA DI "MISTER VOLARE"

Memoria del rapporto artistico e dell'impegno politico di Domenico Modugno nell'Isola 



Nel gennaio del 1960 Domenico Modugno si esibì al Festival di Sanremo in coppia con Teddy Reno.
Già vincitore per due volte in Liguria, Modugno sembrava destinato a ripetere il successo; la sua canzone "Libero" fu però costretta a cedere la vittoria a Tony Dallara e Renato Rascel, in gara con "Romantica".
Pochi giorni dopo, la delusione per la sconfitta non impedì a Modugno di abbandonare nuovamente Roma per una serie di concerti in varie città della penisola.
Così, "Mister Volare" si ritrovò a Palermo, posando per una fotografia pubblicata  dalla rivista "Siciliamondo" nel secondo numero del 1960.
L'immagine - commentata dalla sarcastica didascalia "Modugno, in piazza Municipio, esegue la sua serenata al cane" - ritrae l'artista pugliese mentre imbraccia la chitarra all'interno della fontana di piazza Pretoria, dinanzi la statua di Trittolemo con il suo lupo: la censura dell'epoca provvide a coprirne le nudità mitologiche con una foglia di fico.

Prima e dopo quella fotografia, Domenico Modugno ebbe con la Sicilia un rapporto sostanziale, legato al suo ruolo di artista e di politico, il primo non meno impegnativo del secondo; ed in un'isola siciliana - Lampedusa - l'artista pugliese trascorse buona parte degli ultimi 16 anni di vita.
Qui morì nel 1994 nella sua casa con vista sulla spiaggia vicina all'isolotto dei Conigli, dopo un'assurda lite verbale con un ragazzo seguita alla liberazione in mare di una tartaruga. 
Per quarant'anni, Modugno ebbe una frequentazione così stretta con la Sicilia da essere scambiato da molti italiani per un siciliano.




Nell'Isola imparò i racconti degli ultimi cantastorie e pupari e ad ascoltare le storie e le leggende dei pescatori: un mondo ricco di epica e di tragedia, presto diventato parte del suo bagaglio artistico. 
Lo stesso Modugno spiegava che il fraintendimento sulle origini era insieme frutto del caso e di una precisa volontà, nata nel 1954 con la scrittura del testo della canzone "U pisci spada": la pietosa storia del suicidio di un pesce spada maschio dopo la cattura della sua compagna femmina da parte di pescatori messinesi.
"Il dialetto salentino - ammetteva - ha qualche somiglianza con il siciliano, e all'inizio della mia carriera in tanti mi dicevano che fingermi siciliano mi avrebbe reso più interessante al pubblico.
Così, mi sono impratichito nel dialetto e negli atteggiamenti, salutando il pubblico con la frase 'baciamo le mani'".
Coltivando la simulazione - la stessa adottata nel 1958 dal sardo Tiberio Murgia, il "Ferribotte" siciliano de "I soliti ignoti" - Modugno finì con l'interpretare ruoli da protagonista in numerosi sceneggiati e spettacoli teatrali ambientati in Sicilia: "Il marchese di Roccaverdina", "Don Giovanni in Sicilia", "Liolà", "Western di cose nostre" ( tratto da un racconto di Sciascia e sceneggiato nel 1983 da un certo Andrea Camilleri ) e "Rinaldo in Campo".
In quest'ultima commedia musicale firmata nel 1961 da Garinei e Giovannini, Domenico Modugno volle assegnare la parte di due briganti a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.



Nell'ultima parte della sua vita, non meno intensa fu la partecipazione di Modugno alla vita politica di Agrigento Catania, nella veste di consigliere comunale.
Dell'artista pugliese che si finse siciliano rimane il ricordo, oltre che delle canzoni e dei ruoli da attore, anche la battaglia per porre fine alle sofferenze di 300 degenti dell'ospedale psichiatrico di Agrigento, sottoposti a trattamenti disumani.
"Una delle mie più grandi soddisfazioni - raccontava Modugno a chi lo incontrava nella sua casa di Lampedusa - è stata quella di aver tirato fuori quelle persone dal loro inferno e di averle portate per un paio di ore in un teatro, facendole cantare e ballare".   

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