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martedì 26 ottobre 2021

UN POETA FINLANDESE E GLI INTERROGATIVI SULL'OSPITALITA' SICILIANA

Il poeta finlandese Yryo Kaijarvi.
Nel 1951 scrisse della Sicilia nell'opera
"Viaggio in Italia".
Foto tratta da "Sicilia Turistica",
luglio-agosto 1954


L'innata ospitalità dei siciliani è uno dei luoghi comuni più radicati nell'opinione dei non siciliani; gli abitanti dell'Isola, esattamente al pari di tutti gli altri italiani, hanno nei confronti dell'ospite un atteggiamento variabile, dettato dalla loro personale affabilità e propensione all'accoglienza. Certo, in Sicilia ci sono fattori culturali ed ambientali che favoriscono la socializzazione tra le persone: il clima generalmente benevolo, i piaceri della gastronomia, le condizioni economiche che limitano modelli e logiche comportamentali a volte distorte dalla quotidianità della civiltà industriale.   Altre volte, l'ospitalità del siciliano si lega al sentimento dell'orgoglio, estremo sostegno a condizioni di vita giudicate svantaggiate ( pensiamo alla frequente necessità dell'emigrazione ): la disponibilità può nascere allora dalla volontà di non deludere le aspettative ed i bisogni del forestiero. 

Foto di Leonardo Von Matt,
pubblicata in "La Sicilia antica",
edito da Stringa Editore Genova nel 1964


In casi limite - come fa dire Leonardo Sciascia ad un Ippolito Nievo scettico dinanzi al servilismo di un barone che accoglie generosamente a pranzo Garibaldi - l'ospitalità può essere generata dal timore ( "Io direi, generale, che quest'uomo ha per noi tutto l'entusiasmo della paura... Mi son fatto ormai opinione sicura sui siciliani: e costui mi pare abbia molto da nascondere, da farsi perdonare; e forse ci odia..." ).



Fra gli stranieri che si sono posti qualche interrogativo sull'ospitalità dei siciliani figura il poeta finlandese Yrjo Kaijarvi. Traduttore nel suo Paese delle opere di Palazzeschi, autore di numerose conferenze sull'Italia in istituti culturali finnici, nel 1938 e nel 1949 viaggiò nell'Isola, riportando le sue impressioni in "Viaggio in Italia" ( Helsinki, 1951 ). In quest'ultimo saggio, Kaijarvi descrisse la Sicilia depressa del secondo dopoguerra; una condizione che appare evidente durante la sua visita ad Agrigento, nel corso della quale il poeta finlandese si imbatte nelle contorte logiche dell'ospitalità siciliana:

"La vita appare meschina e povera. Una profonda tristezza sembra posare su tutto come una pesante nuvola. L'Africa è vicina, là dall'altra parte del mare. Qui molte civiltà accavallatesi, o meglio affiancatesi, ed una più assorbita dell'altra, sono sempre presenti, Oriente e Occidente... L'aria è calda, ho sete, un bicchiere di vino mi farebbe bene, e così lungo la strada che conduce alle rovine del tempio di Giove entro nell'abitazione di un contadino: una desolante stanza di pietra, povera e nuda. 



Chiedo un bicchiere di vino. Egli me ne porta tutta una bottiglia. Quando mi offro di pagargliela, non ne vuol sapere: sono suo ospite. Non mi permette nemmeno di dare qualcosa ai suoi bambini. Grazie, contadino della Valle dei Templi, della tua calda gentilezza. Sembra che l'ospitalità in Sicilia sia una cosa naturale, eppure delicata: la si può facilmente offendere. Mi viene in mente uno studente siciliano conosciuto a Venezia. La seconda volta che ci trovammo andammo a passeggiare e chiacchierare in piazza San Marco, e lo pregai di bere con me un bicchiere di Cinzano. Naturalmente volli ad ogni costo pagare, e mi sentii dire: "Lei mi offende, in Italia lei è mio ospite". Solo dopo molto discutere riuscii a pagare. Un bel gesto? Forse. Forse no"        

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