“Non c’è luce elettrica, non c’è acqua se non di cisterna, e calda, ahimè, come quando ci si succhia il sangue da una ferita. Pure è, questa isola, meravigliosa, che unisce la fantasia nordica al calore abbagliato del Sud: la Grunewald e la Grecia. Il senso di un mondo che nasce aguzzo e stillante dall’acqua, parato di colori come solo sanno portarne i fiori che sbiadiscono subito, le ali delle farfalle, le viscere palpitanti d’una bestia appena sventrata… Per chi si pasce della volgarità della Costa Azzurra, quest’isola selvaggia turberà non meno del maremoto, sempre da attendersi, dalla fantasia dello Stromboli…”.
Era il 1950 quando lo storico dell’arte Cesare Brandi così scrisse di Panarea, allora ancora selvaggia e poco conosciuta isola delle Eolie, rivelandone quel carattere unico che di lì a qualche anno l’avrebbe consegnata – quasi come una predestinazione - a nuovi coloni arrivati dal Nord: romani, torinesi e milanesi di un’Italia dove il progresso stava rapidamente cancellando in nome della crescita economica il culto stesso dei luoghi del Mito.
Agli inizi degli anni Cinquanta, le isole Eolie – isole ‘mitologiche’ per millenaria eccellenza – proprio in nome della ricerca di quel progresso si stavano invece svuotando dei figli dei vecchi pescatori ed agricoltori dell’arcipelago.
Le epidemie di filossera dei decenni passati avevano cancellato gran parte dei vigneti; e la crisi dell’industria dell’allume e dello zolfo aveva ridotto ancor più le possibilità di occupazione.
Anche a Panarea, parecchie decine di uomini e donne scelsero allora di salpare dall’isola per navigare verso terre ed oceani lontanissimi, sino all’Australia ed agli Stati Uniti, abbandonando le loro case ed i loro terreni. Fu allora che Panarea – persi i suoi nativi – cominciò a diventare il luogo prediletto dagli italiani del jet set del tempo, attratti dalla sua primordiale ed isolata bellezza, destinata a diventare - di lì a poco - esclusiva.
Già nel 1960, durante un reportage nelle Eolie, Gino Visentini sottolineava che “Panarea è adesso l’isola dei ricchi milanesi e la sua costa orientale, dov’è distribuito l’abitato, ha assunto una fisionomia ibrida, molto diversa da quella che fino a ieri era la sua”. Fu l’industria del cinema, in primo luogo, ad instillare a partire dal 1949 il cambiamento: il successo internazionale di ‘Vulcano’ di William Dieterle – con Anna Magnani, Geraldine Brooks e Rossano Brazzi – e ‘Stromboli, terra di Dio’ di Roberto Rossellini, con Ingrid Bergman e Mario Vitale – fece scoprire in tutta Europa il fascino primordiale dell’arcipelago.
Se nel 1952 vi si registrò l’arrivo di circa 500 turisti, nel 1957 il loro numero arrivò ad oltre 40.000, su una popolazione complessiva di 15.000 residenti.
La notorietà di Panarea, sarebbe arrivata con la terza pellicola girata in quelle acque del Tirreno nel 1959, da Michelangelo Antonioni: ‘L’avventura’, interpretato da Gabriele Ferzetti, Monica Vitti e Lea Massari, pellicola presentata al pubblico di Cannes.
Al termine della produzione – portata avanti in condizioni di tempo e di mare spesso proibitive - l’attrice e nobildonna romana Esmeralda Ruspoli decise di acquistare una casa nell’isola; di lì a poco Panarea divenne il punto di riferimento per altri personaggi dello spettacolo e dell’imprenditoria ‘continentale’. Case e terreni abbandonati dagli isolani migrati in continenti lontani furono arbitrariamente venduti ai nuovi arrivati per poche migliaia di lire e – per dirla con un’espressione promossa qualche tempo fa da un ex ministro – “a loro insaputa” dell’arbitrio.
Il patrimonio terriero ed immobiliare delle Eolie, in quegli anni, fu per lo più gestito con lucro da intermediari ed eredi di limitate frazioni di proprietà. Ci fu poi chi a Panarea costruì ex novo: uno di loro – l’architetto Paolo Tilche, in coppia con Myriam Beltrami – avrebbe segnato le vicende dell’isola.
La loro casa – aperta a decine di ospiti provenienti da tutta Italia, destinati ad ampliare il giro dei nuovi coloni - sarebbe in seguito diventata un albergo di grido.
Oggi Panarea http://www.panarea.com/ riesce ancora ad essere l’isola meravigliosa descritta da Brandi, ma da qualche decennio le frequentazioni si sono appiattite sui vecchi clichè della Costa Azzurra degli anni Cinquanta e Sessanta, con un prevalente contesto estivo di vip dello spettacolo, politici, imprenditori, palazzinari ed aspiranti aderenti al mondo del jet set contemporaneo.
Oggi Panarea http://www.panarea.com/ riesce ancora ad essere l’isola meravigliosa descritta da Brandi, ma da qualche decennio le frequentazioni si sono appiattite sui vecchi clichè della Costa Azzurra degli anni Cinquanta e Sessanta, con un prevalente contesto estivo di vip dello spettacolo, politici, imprenditori, palazzinari ed aspiranti aderenti al mondo del jet set contemporaneo.
Pochi di loro, probabilmente, hanno mai visto il film di Antonioni, e nessuno immagina neppure lo stupore che Panarea riservò al viaggiatore del Touring Club Italiano che così ne scrisse nel 1919: “vi sorgono casette; fra le rocce e le piante, di quando in quando, appare il mare, con le sue superbe colorazioni, con le isole e gli scogli circostanti, strani e pittoreschi; talchè, ad ogni passo, si presentano scene interessanti, ora selvagge, ora deliziose: pare di essere in un incantevole paese primitivo…”
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