La scoperta dell'originaria bellezza della costa orientale palermitana nelle fotografie di Dante Cappellani e in un articolo firmato nel 1929 da Roberto Lojacono
Le fotografie di questo post risalgono a poco più di un secolo fa e supportano le recriminazioni di chi lamenta lo stravolgimento di alcuni preziosi angoli di ambiente siciliano.
Le fotografie di questo post risalgono a poco più di un secolo fa e supportano le recriminazioni di chi lamenta lo stravolgimento di alcuni preziosi angoli di ambiente siciliano.
Tratti di costa di straordinaria bellezza hanno subìto oltre ogni misura l'inevitabile opera di trasformazione imposta dall'uomo. Paesaggi preziosi sono stati deturpati dalla proliferazione di case, strade e strutture turistiche, con il loro corredo di scarichi fognari e di nefaste conseguenze sull'assetto idrogeologico dei luoghi; uno scempio del territorio aggravato dal proliferare di cancelli e recinzioni dei varchi al mare.
Le immagini riproposte da ReportageSicilia sono una dolorosa testimonianza del fenomeno: i luoghi ancora non devastati dal cemento sono quelli della costa rocciosa palermitana dominata da monte Catalfano e capo Zafferano, tra Aspra, Porticello, Santa Flavia e Bagheria.
Le fotografie sono in gran parte opera di Dante Cappellani ( 1890-1969 ) ed illustrarono un reportage intitolato "Attorno a monte Catalfano", pubblicato nel gennaio del 1929 dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia"; altre immagini sono invece attribuite a Eugenio Interguglielmi jr. e Carlo Brogi, anch'essi noti autori di paesaggi dell'isola nei primi decenni del secolo XX.
Gli scatti di Cappellani fanno parte del patrimonio di immagini del territorio siciliano che il fotografo realizzò a partire dal 1925 e sino alla sua morte: un'attività che lo portò a documentare buona parte del territorio dell'isola, sia per i suoi interessi paesaggistici che nella veste di consulente per conto di enti pubblici e di università.
Il suo archivio - cui possono riferirsi queste immagini - rappresenta cosi "una delle memorie più coerenti sotto il profilo fotografico della storia del territorio siciliano" ( Girolamo Cusimano, "Scritture di paesaggio", Alloro Editrice Palermo, 1998 ).
In quel numero de "Le vie d'Italia", alle fotografie di Cappellani, Interguglielmi e Brogi si aggiunse un articolo firmato da Roberto Lojacono e intitolato "Attorno a monte Catalfano".
Il suo reportage si legge ancor oggi come una guida alla scoperta delle bellezze naturali dell'area, il cui litorale si estende con un susseguirsi di rocce calcari e tufacee.
La rilevanza del luogo non è soltanto giustificata dalle caratteristiche ambientali.
Quest'area costiera ad Est di Palermo dalla toponomastica araba ( Catalfano, Mongerbino, Zafferano, Kafara o Kafra... ) racconta infatti le millenarie frequentazioni di pescatori, tonnaroti, coloni fenici e greci, mercanti, pirati barbareschi e semplici naviganti lungo le rotte della Sicilia tirrenica. Lungo questo litorale, insomma, si narra un pezzo non irrilevante di storia dell'isola.
Passaggio e presenza stanziale dell'uomo, qui, per lungo tempo non sono riusciti a incidere sull'ambiente più di quanto non abbiano fatto la forza del mare e del vento, per secoli unici modellatori di un paesaggio aspro e imprevedibile.
Lojacono definì monte Catalfano "isolato e roccioso, sfacciatamente nudo e sterile, che si stacca dall'estremità orientale del golfo di Palermo e si protende in posa di sfinge sul mare, facendo riscontro al monte Pellegrino, ugualmente isolato e roccioso.
Sembra non avere altro ufficio che quello di aggiungere una nota inconfondibile nell'armonia del paesaggio, che il mare tormenta e trasforma con i suoi incessanti assalti".
Per compiere l'escursione del monte, venivano indicati due itinerari, entrambi dominati dalla grandiosità del paesaggio:
"Per fare il giro del litorale, ch'è la parte turisticamente più interessante, ci sono due direzioni da scegliere. o partirsi da Bagheria, percorrere la via che conduce al villaggio d'aspra e costeggiare il litorale da settentrione a mezzogiorno per giungere a S.Flavia; oppure partirsi da questa per battere la stessa via in senso inverso e far meta a Bagheria.
In ambedue i casi non è da trascurarsi la breve e gradita ascensione alle rovine di Solunto.
Scegliendo la seconda direzione, che ha il vantaggio di offrire migliori effetti di sole, ci lasciamo alle spalle la stazione del lindo paesello di S.Flavia, e, fatti pochi passi della via che conduce a Porticello, ci troviamo dinanzi al cancello della stradella per Solunto, fiancheggiata da agavi, carrubi, fichi d'India, robinie, gerani.
A misura che si sale si svolge alla nostra inesausta contemplazione un grandioso scenario nel quale la natura prodiga le sue raffinate seduzioni.
Da un lato, boschi di agrumi e di ulivi cosparsi di paesi, ville, castelli e fattorie, cui fanno da sfondo i monti Cane e S.Calogero, che a loro volta si staccano robusti sulla imponente catena delle Madonìe digradante in toni sempre più tenui sino al lontano monte di Cefalù.
Dall'altro lato la sconfinata distesa del mare sul cui orizzonte evanescente si delineano le isole Eolie, ed al primo piano s'incurva la schiena del Capo Zafferano, che, come cammello accovacciato, si protende nelle acque di smeraldo"
Lojacono accompagna dunque il lettore attraverso le rovine di Solunto ( "scomodamente inerpicata sul ciglio d'un arida collina, priva d'acqua sorgente, lontana dai traffici, sicchè non le rimarrebbe altra buona ragione di esistere che quella di contemplare uno dei più suggestivi panorami, e qualificarsi città belvedere, romitaggio di ricchi innamorati della natura" ) e a Porticello, "con la sua modesta e pur operosa vita marinara":
"Una breve discesa e siamo fra buona gente che sciama intorno a povere case, occupata a rammendar reti, ad armare o calatafare barche, ad apparecchiare arnesi per strappare al liquido elemento la propria sussistenza, in contrasto diuturno con gli elementi"
Poi, più a Nord, la "borgatella peschereccia" di S.Elia e l'imponente e scenografica mole di capo Zafferano:
"S.Elia divide con Porticello i prodotti dell'inesausto mare.
Lo sviluppo edilizio tende ad avvicinare sempre più le due borgate e forse riuscirà a congiungerle in un unico borgo al riparo del monolitico capo Zafferano che riflette le sue tinte dal violetto all'aranciato sulle tremule onde smeraldine.
Fichi d'India, pochi alberi d'ulivo e qualche casetta colonica sulla angusta fascia litoranea mitigano un po' la selvatica imponenza del monte.
Un sentiero, staccatosi dalla stradella da noi battuta, conduce all'estrema punta del capo Zafferano dove si erge un faro che guarda dall'alto di uno scoglio.
Nel seguitare il cammino non dimentichiamo di guardare di quando in quando a ritroso, chè, difatti, la costa frastagliata e verdeggiante, con lo sfondo dei monti e il cupo azzurro del mare, offre vivace varietà di paesaggio.
Appena la sciato il sentiero del faro, la stradella declina sulla cala dell'Osta per proseguire, indi, dirittamente.
Ma qui il paesaggio, come un repentino svolgimento di scena, cambia di aspetto, presentandoci a destra l'altro lato del capo Zafferano a precipizio sul mare, a sinistra, la spiaggia della Vignazza, in fondo alla quale si erge la torre di capo Mongerbino che si proietta sulla macchia violacea dei monti Gallo e Pellegrino; di fronte la immensa ed ininterrotta distesa del mare.
Siamo su di una stradella che procede a mezza costa fra culture arboree che dalle pendici dei monti Catalfano e Aspra digradano verso il mare, e che ad un certo limite si arrestano per lasciare il posto alle poche piante spontanee, che, aggrappate alle rocce, resistono alla sferza dei venti e dei flutti.
Lungo le coste rocciose mai si placa l'aggressiva e fragorosa caparbietà del mare col suo martellare continuo, e, di concerto con altri elementi della natura, esso distrugge, edifica in eterna ed alterna vicenda opere che sorprendono la sensibilità umana, contrariamente a quanto avviene sulle spiagge in dolce pendio dove l'aggressività si estingue mormorando la propria impotenza.
Dal capo Zafferano al capo Mongerbino è un succedersi di bellezze naturali quasi affatto ignorate per trovarsi in luogo disabitato e appartato dal traffico, e quindi solitario ma non silenzioso.
Dominato dalla Zafferano, come un nume onnipresente, il paesaggio presenta bizzarre architetture naturali.
La prima a incontrasi, dopo di avere traversato un caotico affastellamento di rocce, è una grotta lambita dal mare.
Formata da rocce calcari e tufacee, cementate insieme da un conglomerato conchiglifero, di colorito grigio con sfumature ceracee, essa ha perduto parte della copertura, ma ha conservato multiformi pilastri a sostegno di bizzarre arcate che si aprono numerose in tutti i sensi, formando altrettanti quadri di rara bellezza, sia per varietà di colori e disegni che per l'insuperabile contrasto fra luci e ombre.
Antri e scogli più o meno sforacchiati e smozzicati si succedono senza interruzione; ma ecco ad un tratto fermare la nostra attenzione una penisoletta montuosa in forma ellittica, unita per uno stretto istmo alla costa, e disegnare con questa, dal lato settentrionale, una profonda insenatura, come un piccolo fiordo"
Il viaggio di Roberto Lojacono attraverso questo allora straordinario angolo di costa palermitana riserva altre sorprese.
Il reportage contiene tra l'altro una delle prime descrizioni dell'"arco di Mongerbino", destinato a notorietà quarant'anni dopo grazie ad un famoso spot pubblicitario:
"Percorso altro breve tratto di strada, ci troviamo sulle propaggini del monte d'Aspra che, allungandosi sul mare, formano il capo Mongerbino sulla cui sommità si erge la torre, un tempo posto di guardia contro le incursioni barbaresche.
Ed ecco che per un altro improvviso cambiamento di scena, si scopre il golfo di Palermo, circoscritto dentro una robusta chiostra di monti con la città biancheggiante, simile ad un lungo e stretto nastro che separi la terra dal mare.
La costa di capo Mongerbino, seghettata profondamente, ci regala altre sorprese.
Guardando dall'alto verso il mare, ci si presenta una profonda insenatura le cui pareti, spesso strapiombanti, sono collegate da un sottile ponte naturale che sembra reggersi per un miracolo di equilibrio su di un baratro in fondo al quale il mare, insinuandosi irruento nel corso dei secoli, ha scavato antri profondi cui fanno da volta ora sottili ora robuste arcate.
Vista dal mare, questa singolarità naturale, detta Grotta del Tavaro, acquista aspetti grandiosamente tragici e pittoreschi per il violento contrasto delle ombre con la luce irrompente, che, traverso buche e meandri, si insinua, ravvivando qua e là gli svariati e vistosi colori, tuttavia impotente a svelare il mistero delle sue più intime viscere"
L'escursione d'inizi Novecento di Roberto Lojacono si conclude ad Aspra e nei pressi di Bagheria; qui, l'opera dell'uomo è visibile nelle numerose cave di estrazione di pietre di tufo, nell'edilizia delle famose ville dei secoli XVIII e XIX e in una moderna stazione.
Tutto è dominato da una natura da una fresca natura e da una "industre vita":
"Una strada dritta, aerata ed assolata, lunga quattro chilometri, da Aspra conduce sino alla villa Butera al sommo della cittadella di Bagheria.
Il tratto nuovo di essa, compreso fra Aspra e la stazione di Bagheria, è fiancheggiato, oltre che da giardini, da cave di pietra tufacea d'impressionante estensione e profondità, dalle quali si è estratto e si estrae tutto il materiale per l'edilizia di Palermo e dei paesi circonvicini.
A misura che ci avviciniamo a Bagheria, il paesaggio si fa sempre più ricco e ridente; dalla selvaggia rupestre imponenza si passa alla serena grazia del verde, cosparso qua e là di abitazioni e con i segni frequenti e cospicui della industre vita.
Ne abbiamo un primo esempio incontrandoci in una delle tante sontuose ville settecentesche che ingemmano le campagne di Bagheria. la villa S.Isidoro, della quale un doppio filare di cipressi, lungo circa un chilometro, è il più bell'ornamento, e più oltre villa Rammacca, nitidamente proiettata sul monte di Aspra che le fa da schermo"
Le fotografie sono in gran parte opera di Dante Cappellani ( 1890-1969 ) ed illustrarono un reportage intitolato "Attorno a monte Catalfano", pubblicato nel gennaio del 1929 dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia"; altre immagini sono invece attribuite a Eugenio Interguglielmi jr. e Carlo Brogi, anch'essi noti autori di paesaggi dell'isola nei primi decenni del secolo XX.
Le architetture rocciose lungo la costa di monte Catalfano in un'altra fotografia di Dante Cappellani |
Gli scatti di Cappellani fanno parte del patrimonio di immagini del territorio siciliano che il fotografo realizzò a partire dal 1925 e sino alla sua morte: un'attività che lo portò a documentare buona parte del territorio dell'isola, sia per i suoi interessi paesaggistici che nella veste di consulente per conto di enti pubblici e di università.
Il suo archivio - cui possono riferirsi queste immagini - rappresenta cosi "una delle memorie più coerenti sotto il profilo fotografico della storia del territorio siciliano" ( Girolamo Cusimano, "Scritture di paesaggio", Alloro Editrice Palermo, 1998 ).
In quel numero de "Le vie d'Italia", alle fotografie di Cappellani, Interguglielmi e Brogi si aggiunse un articolo firmato da Roberto Lojacono e intitolato "Attorno a monte Catalfano".
Il suo reportage si legge ancor oggi come una guida alla scoperta delle bellezze naturali dell'area, il cui litorale si estende con un susseguirsi di rocce calcari e tufacee.
La rilevanza del luogo non è soltanto giustificata dalle caratteristiche ambientali.
La rocciosa e sterile mole di capo Zafferano. La fotografia è attribuita ad Eugenio Interguglielmi jr. |
Quest'area costiera ad Est di Palermo dalla toponomastica araba ( Catalfano, Mongerbino, Zafferano, Kafara o Kafra... ) racconta infatti le millenarie frequentazioni di pescatori, tonnaroti, coloni fenici e greci, mercanti, pirati barbareschi e semplici naviganti lungo le rotte della Sicilia tirrenica. Lungo questo litorale, insomma, si narra un pezzo non irrilevante di storia dell'isola.
Passaggio e presenza stanziale dell'uomo, qui, per lungo tempo non sono riusciti a incidere sull'ambiente più di quanto non abbiano fatto la forza del mare e del vento, per secoli unici modellatori di un paesaggio aspro e imprevedibile.
Lojacono definì monte Catalfano "isolato e roccioso, sfacciatamente nudo e sterile, che si stacca dall'estremità orientale del golfo di Palermo e si protende in posa di sfinge sul mare, facendo riscontro al monte Pellegrino, ugualmente isolato e roccioso.
L'arco di Mongerbino. E' questa una delle prime immagini che documentarono il virtuosistico ponte naturale sospeso sul mare palermitano. La fotografia è di Dante Cappellani |
Sembra non avere altro ufficio che quello di aggiungere una nota inconfondibile nell'armonia del paesaggio, che il mare tormenta e trasforma con i suoi incessanti assalti".
Per compiere l'escursione del monte, venivano indicati due itinerari, entrambi dominati dalla grandiosità del paesaggio:
"Per fare il giro del litorale, ch'è la parte turisticamente più interessante, ci sono due direzioni da scegliere. o partirsi da Bagheria, percorrere la via che conduce al villaggio d'aspra e costeggiare il litorale da settentrione a mezzogiorno per giungere a S.Flavia; oppure partirsi da questa per battere la stessa via in senso inverso e far meta a Bagheria.
In ambedue i casi non è da trascurarsi la breve e gradita ascensione alle rovine di Solunto.
Scegliendo la seconda direzione, che ha il vantaggio di offrire migliori effetti di sole, ci lasciamo alle spalle la stazione del lindo paesello di S.Flavia, e, fatti pochi passi della via che conduce a Porticello, ci troviamo dinanzi al cancello della stradella per Solunto, fiancheggiata da agavi, carrubi, fichi d'India, robinie, gerani.
A misura che si sale si svolge alla nostra inesausta contemplazione un grandioso scenario nel quale la natura prodiga le sue raffinate seduzioni.
Da un lato, boschi di agrumi e di ulivi cosparsi di paesi, ville, castelli e fattorie, cui fanno da sfondo i monti Cane e S.Calogero, che a loro volta si staccano robusti sulla imponente catena delle Madonìe digradante in toni sempre più tenui sino al lontano monte di Cefalù.
Faraglione e fiordo nel paesaggio dominato dalla roccia e dal mare. La fotografia è di Dante Cappellani. |
Dall'altro lato la sconfinata distesa del mare sul cui orizzonte evanescente si delineano le isole Eolie, ed al primo piano s'incurva la schiena del Capo Zafferano, che, come cammello accovacciato, si protende nelle acque di smeraldo"
Lojacono accompagna dunque il lettore attraverso le rovine di Solunto ( "scomodamente inerpicata sul ciglio d'un arida collina, priva d'acqua sorgente, lontana dai traffici, sicchè non le rimarrebbe altra buona ragione di esistere che quella di contemplare uno dei più suggestivi panorami, e qualificarsi città belvedere, romitaggio di ricchi innamorati della natura" ) e a Porticello, "con la sua modesta e pur operosa vita marinara":
"Una breve discesa e siamo fra buona gente che sciama intorno a povere case, occupata a rammendar reti, ad armare o calatafare barche, ad apparecchiare arnesi per strappare al liquido elemento la propria sussistenza, in contrasto diuturno con gli elementi"
Poi, più a Nord, la "borgatella peschereccia" di S.Elia e l'imponente e scenografica mole di capo Zafferano:
"S.Elia divide con Porticello i prodotti dell'inesausto mare.
Lo sviluppo edilizio tende ad avvicinare sempre più le due borgate e forse riuscirà a congiungerle in un unico borgo al riparo del monolitico capo Zafferano che riflette le sue tinte dal violetto all'aranciato sulle tremule onde smeraldine.
Fichi d'India, pochi alberi d'ulivo e qualche casetta colonica sulla angusta fascia litoranea mitigano un po' la selvatica imponenza del monte.
Un sentiero, staccatosi dalla stradella da noi battuta, conduce all'estrema punta del capo Zafferano dove si erge un faro che guarda dall'alto di uno scoglio.
Nel seguitare il cammino non dimentichiamo di guardare di quando in quando a ritroso, chè, difatti, la costa frastagliata e verdeggiante, con lo sfondo dei monti e il cupo azzurro del mare, offre vivace varietà di paesaggio.
Appena la sciato il sentiero del faro, la stradella declina sulla cala dell'Osta per proseguire, indi, dirittamente.
La borgata di Aspra, ancora in un'immagine di Dante Cappellani |
Ma qui il paesaggio, come un repentino svolgimento di scena, cambia di aspetto, presentandoci a destra l'altro lato del capo Zafferano a precipizio sul mare, a sinistra, la spiaggia della Vignazza, in fondo alla quale si erge la torre di capo Mongerbino che si proietta sulla macchia violacea dei monti Gallo e Pellegrino; di fronte la immensa ed ininterrotta distesa del mare.
Siamo su di una stradella che procede a mezza costa fra culture arboree che dalle pendici dei monti Catalfano e Aspra digradano verso il mare, e che ad un certo limite si arrestano per lasciare il posto alle poche piante spontanee, che, aggrappate alle rocce, resistono alla sferza dei venti e dei flutti.
Lungo le coste rocciose mai si placa l'aggressiva e fragorosa caparbietà del mare col suo martellare continuo, e, di concerto con altri elementi della natura, esso distrugge, edifica in eterna ed alterna vicenda opere che sorprendono la sensibilità umana, contrariamente a quanto avviene sulle spiagge in dolce pendio dove l'aggressività si estingue mormorando la propria impotenza.
Dal capo Zafferano al capo Mongerbino è un succedersi di bellezze naturali quasi affatto ignorate per trovarsi in luogo disabitato e appartato dal traffico, e quindi solitario ma non silenzioso.
Dominato dalla Zafferano, come un nume onnipresente, il paesaggio presenta bizzarre architetture naturali.
La prima a incontrasi, dopo di avere traversato un caotico affastellamento di rocce, è una grotta lambita dal mare.
Falce di spiaggia ad Aspra., ancora in uno scatto di Dante Cappellani |
Formata da rocce calcari e tufacee, cementate insieme da un conglomerato conchiglifero, di colorito grigio con sfumature ceracee, essa ha perduto parte della copertura, ma ha conservato multiformi pilastri a sostegno di bizzarre arcate che si aprono numerose in tutti i sensi, formando altrettanti quadri di rara bellezza, sia per varietà di colori e disegni che per l'insuperabile contrasto fra luci e ombre.
Antri e scogli più o meno sforacchiati e smozzicati si succedono senza interruzione; ma ecco ad un tratto fermare la nostra attenzione una penisoletta montuosa in forma ellittica, unita per uno stretto istmo alla costa, e disegnare con questa, dal lato settentrionale, una profonda insenatura, come un piccolo fiordo"
Il viaggio di Roberto Lojacono attraverso questo allora straordinario angolo di costa palermitana riserva altre sorprese.
Il reportage contiene tra l'altro una delle prime descrizioni dell'"arco di Mongerbino", destinato a notorietà quarant'anni dopo grazie ad un famoso spot pubblicitario:
"Percorso altro breve tratto di strada, ci troviamo sulle propaggini del monte d'Aspra che, allungandosi sul mare, formano il capo Mongerbino sulla cui sommità si erge la torre, un tempo posto di guardia contro le incursioni barbaresche.
Ed ecco che per un altro improvviso cambiamento di scena, si scopre il golfo di Palermo, circoscritto dentro una robusta chiostra di monti con la città biancheggiante, simile ad un lungo e stretto nastro che separi la terra dal mare.
La costa di capo Mongerbino, seghettata profondamente, ci regala altre sorprese.
Guardando dall'alto verso il mare, ci si presenta una profonda insenatura le cui pareti, spesso strapiombanti, sono collegate da un sottile ponte naturale che sembra reggersi per un miracolo di equilibrio su di un baratro in fondo al quale il mare, insinuandosi irruento nel corso dei secoli, ha scavato antri profondi cui fanno da volta ora sottili ora robuste arcate.
Filare di cipressi prima dell'ingresso di villa S.Isidoro, fotografia di Dante Cappellani |
Vista dal mare, questa singolarità naturale, detta Grotta del Tavaro, acquista aspetti grandiosamente tragici e pittoreschi per il violento contrasto delle ombre con la luce irrompente, che, traverso buche e meandri, si insinua, ravvivando qua e là gli svariati e vistosi colori, tuttavia impotente a svelare il mistero delle sue più intime viscere"
L'escursione d'inizi Novecento di Roberto Lojacono si conclude ad Aspra e nei pressi di Bagheria; qui, l'opera dell'uomo è visibile nelle numerose cave di estrazione di pietre di tufo, nell'edilizia delle famose ville dei secoli XVIII e XIX e in una moderna stazione.
Tutto è dominato da una natura da una fresca natura e da una "industre vita":
"Una strada dritta, aerata ed assolata, lunga quattro chilometri, da Aspra conduce sino alla villa Butera al sommo della cittadella di Bagheria.
Il tratto nuovo di essa, compreso fra Aspra e la stazione di Bagheria, è fiancheggiato, oltre che da giardini, da cave di pietra tufacea d'impressionante estensione e profondità, dalle quali si è estratto e si estrae tutto il materiale per l'edilizia di Palermo e dei paesi circonvicini.
A misura che ci avviciniamo a Bagheria, il paesaggio si fa sempre più ricco e ridente; dalla selvaggia rupestre imponenza si passa alla serena grazia del verde, cosparso qua e là di abitazioni e con i segni frequenti e cospicui della industre vita.
Ne abbiamo un primo esempio incontrandoci in una delle tante sontuose ville settecentesche che ingemmano le campagne di Bagheria. la villa S.Isidoro, della quale un doppio filare di cipressi, lungo circa un chilometro, è il più bell'ornamento, e più oltre villa Rammacca, nitidamente proiettata sul monte di Aspra che le fa da schermo"
"Palermo, la conca d'Oro e dintorni", carta delle zone turistiche d'Italia del Touring Club Italiano, scala 1:50.000, 1925 (?) |
INCANTEVOLE
RispondiEliminaINCANTEVOLE
RispondiElimina