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domenica 21 gennaio 2018

ABBANDONO E RISCOPERTA DELLA MATRICE VECCHIA DI CASTELBUONO

Il polittico cinquecentesco
all'interno della Matrice Vecchia di Castelbuono,
opera attribuita a Pietro Ruzzolone.
Le fotografie sono di ReportageSicilia
Numerose opere d'arte testimoniano nelle Madonie un antico sviluppo culturale, spesso con espressioni di raffinata fattura.
Uno di questi esempi è rappresentato dalle opere ospitate all'interno della Matrice Vecchia di Castelbuono, le cui origini si perdono nel tempo, come dimostrato dal cippo del culto solare presente sotto l'altare maggiore, da un riquadro pavimentale con singolari interstizi a croce uncinata e da alcuni capitelli istoriati di origine orientale.

"Tempio pagano prima e poi chiesa cristiana della comunità bizantina d'Ypsigro, il casale che divenne comunità di Castelbuono"

Così ha definito la Matrice Vecchia lo storico castelbuonese Antonio Mogavero Fina.



Malgrado la sua millenaria concrezione architettonica, questa chiesa ha però avuto il singolare destino di essere stata abbandonata per secoli ( conseguenza della fondazione a Castelbuono di una Matrice Nuova ), prima di essere riaperta come parrocchia alla metà degli anni Cinquanta.
Il decadimento e l'incuria sofferti dalla Matrice Vecchia vennero sottolineati in quel periodo da Stefano Bottari; nel 1954 ( "La cultura figurativa in Sicilia", D'Anna Editore ) ebbe a lamentare:

"La chiesa, notevolissima per l'architettura e per il complesso di opere che conserva, è ormai quasi ridotta a magazzino"

A nobilitare il patrimonio artistico la Matrice Vecchia, nei secoli, sono stati soprattutto una statua di Madonna attribuita ad Antonello Gagini ed un polittico cinquecentesco riferito alla mano di Pietro Ruzzolone: paternità - quest'ultima - sulla quale si sono a lungo esercitati e divisi critici e storici dell'arte.


     
Una visita della chiesa rivela poi la sorpresa di alcuni affreschi che evocano nel cuore delle Madonie gli echi delle scuole pisane e senesi del secolo XIV.
La loro riscoperta si deve al complesso restauro eseguito dal perugino Alberto Polidori: un lavoro avviato con l'eliminazione delle numerose imbiancature subite in passato dalle pareti e dalle colonne della chiesa, allo scopo forse di coprire le superfici esposte ai periodi della peste.
Fra gli affreschi venuti alla luce sulle colonne cilindriche della Matrice Vecchia, spicca per delicatezza e leggiadrìa Santa Caterina d'Alessandria ( di "incisiva ariosità rinascimentale", ha scritto Mogavero Fina ).
Allo stesso studioso di Castelbuono, si deve una dettagliata ed evocativa descrizione del grande polittico della Matrice Vecchia:

"Esso - si legge nel reportage "Gli affreschi trecenteschi di Castelbuono", pubblicato dalla rivista "Sicilia" nel dicembre del 1974 - simboleggia il Poema della Redenzione, la cui spiritualità si manifesta per mezzo delle 24 tavole in prospettiva entro la fantasiosa cornice architettonica, ricca di colonnine tortili, trafori, foglie di acanto e filigrane.



Il polittico impegna l'area della spaziosa abside, con i suoi sette metri per cinque.
Nel catino sporge il mezzo busto dell'Eterno Padre scolpito in legno, indi, progressivamente, e con regolare sequenza, si succedono dall'alto in basso, San Gioacchino e san Giuseppe, dai quali si dipartono a mezz'ala l'Arcangelo e l'Annunziata; accanto stanno Santa Elisabetta, madre del Precursore Giovanni, da un lato, dall'altro Sant'Anna che accarezza amorevolmente Maria; fiancheggiano il polittico due profeti scolpiti in legno; al centro sfolgora in superba bellezza la Madonna col Bambino, che sta per essere incoronata da un cherubino; vigiliano ai lati gli apostoli Pietro e Paolo, insieme alle vergini siciliane Agata e Lucia; nella predella scorrono i dodici Apostoli con Cristo raffigurato nel simbolo dell'Hecce Homo..."




Nella Matrice Vecchia di Castelbuono grande suggestione riserva pure  l'area della cripta, anche quasi interamente affrescata con scene tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento.
In questo spazio sotterraneo, la giornalista e scrittrice americana Francine Prose ( "Odissea siciliana", Feltrinelli, 2004 ) non trovò ciò che dava per scontato, vale a dire

"lugubri file di sarcofagi contenenti le spoglie dei notabili locali, o labirinti di corridoi freddi e umidi fiancheggiati da sepolcri profanati..."

Dinanzi all'opera degli artisti che lavorarono in questa secolare cripta, la Prose ebbe così modo di imbattersi in una verità spesso inconfutabile nella conoscenza dell'Isola:

"In Sicilia non crediate di sapere già ciò che accadrà, non tentate di prevedere l'esperienza che vi attende dietro l'angolo..."




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