Contrabbando di sale nel 1959 su un traghetto in viaggio fra Sicilia e Calabria. Le fotografie del post sono di Giuseppe Grasso, opera citata nel post |
Prima che il traffico di stupefacenti diventasse a partire dagli anni Settanta in Sicilia uno dei principali strumenti di ricchezza - e di morte - dei clan mafiosi, quello delle sigarette di contrabbando segnò le cronache degli anni Cinquanta e Sessanta, soprattutto nelle città portuali dell'Isola. Personaggi come il boss palermitano della Kalsa Masino Spadaro - famoso per essersi definito il "Gianni Agnelli di Palermo" per la quantità di contrabbandieri al suo servizio - raccontano la storia di quei traffici che sfruttavano come punti di sbarco i porti urbani e gli anfratti più nascosti delle coste del palermitano e del trapanese. Meno ricordata è invece l'attività di contrabbando che si sviluppò dagli anni del secondo dopoguerra e sino agli inizi degli anni Settanta da Messina verso le coste della Calabria. Lo Stretto fu allora la via di trasporto clandestino del sale: un prodotto di uso quotidiano che in Sicilia - regione a Statuto Speciale - rispetto al resto d'Italia, non era soggetto al monopolio di Stato. In quegli anni, il prezzo al chilogrammo della qualità più raffinata oltre lo Stretto raggiungeva un costo assai più elevato rispetto a quello praticato nell'Isola.
Panetti di sale nascosti in un vagone ferroviario |
Fu così che, insieme all'attività delle famose "bagnarote" - le donne di Bagnara Calabra che arrivavano sino a Messina per poi tornare in Calabria con i pacchi di sale nascosti sotto ampie gonne - si sviluppò quella più articolata di gruppi "protomafiosi" di trafficanti, composti per lo più da pescatori messinesi, in particolare della zona di Torre Faro. Altro strumento del contrabbando furono allora i treni imbarcati sui traghetti che facevano la spola fra le due regioni, grazie ad ingegnosi sistemi di occultamento spesso scoperti dalla Guardia di Finanza: ad esempio, le cassette contenenti gli accumulatori elettrici poste sotto il pavimento dei vagoni. Nell'ottobre del 1959, la rivista mensile "Sicilia Oggi" pubblicò un fotoreportage che illustrava un intervento compiuto dai finanzieri sullo Stretto contro un gruppo di trafficanti messinesi che stava scaricando un grosso quantitativo di sale da un motoveliero, per poi trasferirlo in Calabria sulle loro barche da pesca.
Un motoveliero e barche utilizzate dai contrabbandieri del messinese |
Le immagini contenute nell'articolo, realizzate da Giuseppe Grasso, furono accompagnate da una didascalia che ci fornisce oggi preziose indicazioni su un'attività di contrabbando che cessò nel 1974, quando lo Stato abolì il monopolio sulla vendita del sale:
"Il monopolio del sale, in Italia, risale ai tempi dell'impero romano. Il contrabbando di questo prodotto, probabilmente, ha la stessa età. Le fotografie che seguono illustrano i vari aspetti di tale contrabbando in Sicilia: in essa e nelle isole adiacenti la produzione del sale è fortissima, e per un antico diritto tali territori sono esenti da monopolio. La cosa è anche spiegabile con un altro motivo: le zone di produzione sono particolarmente vaste, e quindi la sorveglianza appare troppo difficile e costosa. Pertanto, lungo il litorale di Ragusa, Siracusa, Catania e Messina è vietato tenere depositi di sale, e la vigilanza doganale si estende all'interno di questa fascia costiera sino a 22 chilometri: da questo divieto sono escluse le saline ed i centri abitati con più di 10.000 abitanti. Tutto ciò per evitare il facile contrabbando fra la Sicilia ed il Continente.
Un pattugliamento sul mare dello Stretto per contrastare il contrabbando del sale |
Il prezzo di vendita al pubblico del sale si aggira in Sicilia sulle dieci lire al chilo: nel territorio della penisola, invece, il sale di monopolio costa cinquanta lire. Com'è naturale, tale sensibile differenza di prezzo genera un forte commercio clandestino tra la Sicilia ed il Continente, e segnatamente tra l'Isola e la vicina Calabria. Malgrado la sorveglianza e le multe, il contrabbando avviene quotidianamente attraverso lo Stretto di Messina; per filtrazione di carichi isolati ( che generalmente non superano i cinquanta chili di prodotto ) e per l'introduzione irregolare in Calabria di contingenti di merce d'entità ben maggiore, curata da vere e proprie organizzazioni che da tale traffico ritraggono ingenti, illeciti guadagni"
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