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L'elegante scatto del porto vecchio di Cefalù del fotografo Josip Ciganonic pubblicato da 'Sicilia', volume I, collana Tuttitalia, nel 1962. La cittadina palermitana ha perso oggi quel fascino incomparabile che sino a qualche anno fa coniugava bellezze naturali ed opera dell'uomo, rappresentata dal duomo normanno e da un territorio non ancora intaccato dall'industria turistica |
Il miglior modo per scoprire la bellezza di Cefalù è rivedere le scene iniziali del film ‘A ciascuno il suo’, tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia e diretto da Elio Petri: le prime immagini scoprono dall’alto la brulla maestosità della rocca, al di sotto della quale si ergono i volumi perfetti della cattedrale normanna e, come gemme incastonate al suo perimetro, le piazze ed i vicoli ed i tetti di palazzi e palazzine del centro storico: un mosaico di vecchie tegole proteso verso il blu del Tirreno.
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Sopra, i tetti delle abitazioni di Cefalù dalla rocca che sovrasta il paese; la foto è tratta dal mensile 'Sicilia' dell' aprile del 1971, edito dal Banco di Sicilia. Sotto, la locandina del film 'A ciascuno il suo' del regista Elio Petri, tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia: interamente girato a Cefalù nel 1968, è oggi un documento prezioso sulla bellezza perduta del territorio cefaludese |
C’è da sottolineare che il film - protagonisti del quale furono Gian Maria Volontè ed Irene Papas - venne girato nel 1968; e che i paesaggi della Cefalù allora utilizzati per raccontare la tragica morte del professor Laurana sono da tempo scomparsi, soffocati dal cemento e dall’impeto viario e portuale che hanno squassato ettari di uliveti e lo scenario marino della Presidiana.
Svincoli autostradali, rotonde e strade che collegano il vecchio paese al nuovo centro urbano hanno ormai dissestato la bellezza del territorio; e pretenziose villette a schiera – vicinissime l’una all’altra, quasi che dalla cucina di una si possa accedere al bagno dell’altra – hanno cancellato per sempre la macchia mediterranea di contrade un tempo verdissime, come Ferla e Santa Lucia.
Che dire poi della spiaggia, sul lungomare del paese vecchio? Sino ad una trentina di anni fa l’erosione non l’aveva ancora ridotta in maniera drastica; vi si potevano liberamente osservare i paguri o grandi conchiglie portate dalla risacca. Oggi, quella stessa spiaggia – cui accedere solo dopo avere cercato a lungo un parcheggio a pagamento - è presa d’assalto dai bagnanti, come se si trovassero allo stabilimento ‘Aloha Beach’ di Riccione; sdraiati sui teli o sulle sdraio, la vista verso terra riserva una monotona sequenza di ristoranti turistici dai sapori amorfi.
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Due fotografie che testimoniano da un lato la scarsa urbanizzazione del territorio di Cefalù negli anni successivi al secondo dopoguerra e, dall'altro, il fenomeno dell'erosione della spiaggia del suo lungomare, oggi imbruttito da una miriade di ristoranti e locali turistici. Il primo scatto è stato pubblicato su 'le Vie d'Italia' del TCI del febbraio 1953, a firma foto Incom; il secondo - eseguito dalle strutture megalitiche della rocca - è tratto dal saggio 'Sicilia pagana', di Eugenio Manni, edito nel 1963 da Flaccovio Editore |
Con il passare degli anni, insomma, anche Cefalù è diventata una “cittadina turistica”, dove il godimento del paesaggio e dell’opera dell’uomo – la cattedrale normanna od il lavatoio medievale, certo, ma anche certi scorci di vicoli o di vecchi portoni settecenteschi – è stata sostituita dal repertorio standardizzato di “beni e servizi” offerti per garantire il lucroso soggiorno di turisti giornalieri e comitive di stranieri. Naturalmente, nessuno si sognerebbe di negare l’importanza di questa evoluzione per lo sviluppo economico cefaludese; ma è innegabile che il prezzo da pagare sia stato quello della perdita irreparabile dell’identità più autentica del paese, di quell’atmosfera così naturalmente affascinante che appunto ancora si percepisce nel film di Petri basato sul racconto sciasciano.
Cefalù, insomma, continua ad essere un luogo degno di una visita; ma più per chi non ne abbia mai conosciuto le sue residue attrattive – il duomo normanno ed i suoi mosaici, in primo luogo – che per chi l’abbia visitata ed amata negli decenni passati, tedeschi e francesi in primo luogo.
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Ancora due scatti cefaludesi di Josip Ciganovic: una veduta del paese dalla strada statale 113 che proviene da Palermo - con il duomo normanno a stagliarsi sulla corona di abitazioni del centro storico - ed uno dei molti vicoli che conducono sino ai piedi della rocca |
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Due immagini del duomo, uno dei principali monumenti palermitani che testimonia la presenza e la cultura normanna nella Sicilia del secolo XII. Per Cefalù, la presenza di quest'opera architettonica, unitamente al richiamo delle sue bellezze naturali - il mare, in primo luogo - ha rappresentato in passato motivo di richiamo per vere e proprie colonie di turisti stranieri, in particolare francesi. Il primo scatto è pubblicato nel saggio di G.U.Arata 'Architettura Arabo-normanna e del Rinascimento in Sicilia', edito nei primi anni dello scorso secolo; il secondo è opera del fotografo ragusano Giuseppe Leone, ed è tratto dal saggio 'Cefalù', edito da Bruno Leopardi Editore |
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Ancora il porto vecchio di Cefalù, in un'immagine a colori pubblicata nel volume 'Sicilia', Edizioni Fotorapidacolor del 1973. Da anni, il principale approdo del paese è quello della Presidiana, dove decine di pontili turistici hanno stravolto il paesaggio marino ad Est del centro storico |
Cinquant’anni fa, Corrado Sofia poteva scrivere che “la città è frequentata da un buon numero di forestieri, molti dei quali, sentendosi i discendenti diretti dei Normanni, cugini o nipoti, girano per le strade e si siedono nei bar con assoluta padronanza e si muovono con l’aria di essere i protettori di questi luoghi; e sono proprio gli abitanti a dare loro questa sensazione di sicurezza”.
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Il lavatoio medievale, in uno scatto, ancora una volta, di Ciganovic: la sua peculiarità architettonica ha salvato quest'opera di edilizia urbana dallo scempio edilizio che ha invece interessato altre zone del territorio cefaludese |
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Sopra e sotto, tre immagini del territorio circostante Cefalù, realizzate agli inizi degli anni Cinquanta dello scorso secolo. La prima ritrae la baia della Calura, ed è stata realizzata da B.Stefani; è stata pubblicata su 'Le Vie d'Italia' del febbraio 1953. La seconda - firmata da Salvatore Liberti - mostra la stessa zona della Calura, con la strada statale 113 che corre lungo la costa che da Palermo conduce a Messina: sullo sfondo, si intravede il poggio della frazione di Sant'Ambrogio.
Colpisce la bellezza di un territorio non ancora pesantemente segnato dalla presenza di strade ed insediamenti edilizi; col trascorrere dei decenni, l'erosione marina ha pure cancellato l'ampia spiaggia che l'obiettivo del fotografo aveva fissato al centro della baia della calura.
Nel terzo scatto - ancora una volta realizzato da B.Stefani - è ritratta la rocca di Cefalù dalla strada statale 113, in direzione Messina, nei pressi di Torre Finale |
Una notazione sul turismo a Cefalù, infine, non può non rimandare alla storia del suo ‘Village Magic’, fondato pochi anni dopo il secondo dopoguerra da un gruppo di francesi in contrada Santa Lucia, sull’esempio di analoghi villaggi sorti in Grecia, Austria e le Baleari.
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Il 'Village Magic' di contrada Santa Lucia, a Cefalù, in tre fotografie pubblicate nell'agosto del 1953 dalla rivista 'Italia Mondo': nel periodo estivo, vi arrivano circa 3000 turisti, suddivisi in gruppi di 500 la settimana.
Così scriveva nel reportage Gina Scaduto: "la sera si accendono i lumi di Termini e Cefalù e le barche da pesca disseminano di fulgide luci tutto il mare: la notte siciliana avrà inizio, una notte calma, tiepida, piena di profumi di mirti e di salsedine marina" |
Nell’agosto del 1953, un reportage della rivista ‘Italia Mondo’, a firma di Gina Scaduto, lo descriveva come una tendopoli frequentata da “una grande famiglia, dove gente di tutti i Paesi si incontra, fa amicizia, vive in perfetta armonia e dove, sovente, ritorna per un richiamo irresistibile”: un richiamo che Cefalù ha perso da tempo, e che allontana da lei chi l’ha amata per il suo fascino oggi perduto.
La sicilia sarà una terra da amare, solo se i siciliani saranno capaci di essere artefici di una rivoluzione culturale.La loro furbizia, fino ad ora ha prodotto solo danni, sottosviluppo e sudditanza nei confronti della classe politica.
RispondiEliminaOccorre una nuova "invasione" di popoli con una diversa sensibilità nei confronti della terra che li ospita. Noi stiamo distruggendo tutto. Le foto mostrano altri luoghi, cosi diversi rispetto a quelli che ho conosciuto, che i luoghi,in cui vivo sembrano un qualsiasi altro luogo. Cefalù, credo abbia ormai perso la sua identità; il cemento l'ha distrutta e la trasformata in una non meglio "località turistica". Se il Viceré spagnolo fosse ancora vivo, direbbe certamente che i siciliani, a forza di continuare a fare i furbi, alla fine, sono diventati stupidi.
Il vice re spagnolo parla come tale. La sua ottica è quella storica di un predone borbonico che tanto male ha fatto alla Sicilia. Il popolo Siciliano ha usato la furbizia come ha potuto per sottrarsi alle angherie e soprusi del tiranno di turno.
RispondiEliminaNon dico che le storture di questo atteggiamento siano perdonabili ma perlomeno da analizzare storicamente.
Quanto all' intelligenza : Vi assicuro che è un bene che in Sicilia è molto diffuso. Esso si annida tra i suoi abitanti facendone artisti ,poeti , scrittori ,cineasti , musicisti , attori e Imprenditori di grande talento.
L'analisi storica dovrebbe avere insegnato ai siciliani che bisogna cercare di essere i padroni del proprio destino, a maggior ragione se si possiede intelligenza.
RispondiEliminaSoltanto così ci si può liberare di tiranni e furbi che lucrano sul destino di una terra e dei suoi abitanti.
Speriamo che i siciliani, prima o poi, lo capiscano davvero.
ReportageSicilia