Uno scritto di Paolo Di Salvo rievoca la primitiva bellezza del promontorio palermitano, oggi stravolto dal cemento e dalle chiusure dei varchi al mare
Ci sono luoghi della Sicilia nei quali l'inevitabile opera di antropizzazione ha intaccato paesaggi preziosi, meritevoli invece di una difesa che ne tramandasse il loro valore ambientale e storico.
Il dato riguarda soprattutto le località costiere, che, specie lo scorso secolo, hanno subìto trasformazioni legate allo sviluppo di una infestante edilizia turistica o di attività industriali a sconvolgente impatto ambientale.
Alla prima categoria - quella di luoghi stravolti da un reticolo di strade, residence privati, villette, ristoranti, cancelli a chiusura dei varchi a mare - appartiene l'area palermitana di capo Zafferano.
Qui, gli studi di etimologia hanno in un lontano passato aggiunto suggestioni storiche al lavoro svolto dalla natura.
Scriveva infatti nel 1709 Giovanni Andrea Massa in "La Sicilia in prospettiva":
"La voce araba 'Zafaran' significa 'Fischiare', e fu applicata a quei Promontori, forse per lo fischiare de' Venti, o per lo gridare delle Guardie, che dimorano nelle Torri, che vi sono fabbricate in cima"
Quest'angolo di costa tirrenica vanta una storia millenaria, suggerita dalla presenza delle rovine della città di Solunto ( IV secolo a.C. )in un contesto paesaggistico un tempo straordinario.
L'aggettivo non sembra sprecato osservando le fotografie storiche riproposte da ReportageSicilia grazie alla disponibilità di Paolo Di Salvo, attento cultore bagherese del patrimonio etnografico locale e fotografo che solo per scelta di vita non ha ottenuto fama pari a quelle dei più illustri Ferdinando Scianna e Giuseppe Tornatore http://reportagesicilia.blogspot.it/search?q=paolo+di+salvo, http://reportagesicilia.blogspot.it/2012/03/un-gruppo-di-uomini-donne-e-bambini.html, http://reportagesicilia.blogspot.it/search?q=ducato+
Delle tre fotografie del post, colpisce soprattutto la bellezza primitiva del versante occidentale di capo Zafferano, nel quale l'unica traccia dell'azione dell'uomo è una stretta carreggiata da poco costruita su una originaria mulattiera.
Lo scatto non ha né una datazione precisa né un'attribuzione, ma non deve risalire ad un periodo troppo lontano dal 1919, quando la Guida Rossa del TCI della Sicilia così descriveva questa costa:
"L'alto monte Catalfano, metri 374, forma la massa sporgente verso capo Mongerbino e che cade quasi a picco tutt'intorno, raccordandosi con pendenze minori alle spiagge, che alla loro volta sono formate da scogliere quasi a picco.
La vegetazione più ricca forma in basso macchie scure, da cui emergono le rocce più chiare.
Dove la spiaggia del golfo incomincia a diventare rocciosa è il paesetto di Aspra, a piccola altezza sul quale, a 2 chilometri entro terra, Bagheria, circondata da ville.
Sul capo Mongerbino, la torre omonima a metri 63; davanti al capo, due grossi scogli.
Si passa, dopo capo Mongerbino, lungo la splendida costa a picco, dalla quale si erge il Catalfano ad Est ed il monte d'Aspra, a metri 345, ad Ovest.
Ai piedi del Catalfano e unito a questo da una penisoletta poco elevata, metri 35, sorge il capo Zafferano, roccioso, conico, bellissimo, alto metri 223, in aspetto quasi di isola, con un faro in basso, e davanti uno scoglio detto l'Isolotto.
Subito dopo a Sud del capo Zafferano, una tonnara, poi si vedono i paesetti di S.Elia e Porticello, sopra i quali le rovine di Solunto..."
Di certo, la fotografia del capo Zafferano suggerisce un'emozione che nelle parole di Paolo Di Salvo diventano rimpianto per la perdita di un paesaggio e degli attimi di vita irripetibili e preziosi che vi si svolsero:
"Mio nonno materno possedeva un piccolissimo agrumeto nella spianata proprio sotto il capo Zafferano; mia madre mi raccontava che proprio su quella spianata suo padre le aveva insegnato a cavalcare senza sella.
Per quanto mi riguarda, nel periodo tra la fine degli anni Cinquanta e i primissimi anni Sessanta, il nonno ci portava in carretto o in calesse.
Una volta lì, dopo le raccomandazioni di rito, si era liberi di scorazzare: si poteva risalire il sentiero fino ai ruderi della postazione di artiglieria, sul cocuzzolo del monte, da dove lo sguardo spaziava sui due golfi, o scendere fino al mare in cerca di granchi o patelle, o fare la lunga passeggiata fino al faro.
C'era anche una senia, con il suo rilevato a tronco di cono e il pozzo ancora aperto, ma a quella non avremmo dovuto avvicinarci.
Proprio sugli scogli della cala dell’Osta (in realtà cala dell’Ostia) c’era una grande grotta che il mare aveva scavato nel conglomerato di trasgressione, la cui volta è crollata, sempre per l’azione del mare, negli anni Ottanta.
Anche sull’altro versante del capo c’era una grotta: “a rutta a gnuni” (cartografata come "Grotta Agnone" - il topografo fiorentino avrà certamente avuto difficoltà a comprendere il dialetto del pescatore interpellato) scavata dal mare, questa volta nella calcarenite, e anche quella è crollata.
Questi ricordi mi fanno venire il magone"
Le altre due fotografie della collezione Di Salvo sono anch'esse anonime e senza data.
Raffigurano la borgata palermitana di Aspra nei primi decenni dello scorso secolo e la Torre di Mongerbino, costruita nella metà del secolo XVI con vista sulle altre torri di Zafferana ed Acqua dei Corsari.
Gia' nel 1976 - secondo una testimonianza di Salvatore Mazzarella e Renato Zanca ( "Il libro delle torri", Sellerio, 1985 ) la struttura era stata inglobata nell'area di un ristorante.
Gia' nel 1976 - secondo una testimonianza di Salvatore Mazzarella e Renato Zanca ( "Il libro delle torri", Sellerio, 1985 ) la struttura era stata inglobata nell'area di un ristorante.
L'immagine è cosi' una delle poche testimonianze dell'esistenza di questa Torre nel suo originario contesto ambientale.
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