Omissioni, dati economici e attualissime notazioni di costume palermitano in un resoconto di Carlo Graffigna pubblicato con fotografie dell'Agenzia Scafidi dalla rivista "Le Vie d'Italia"
Con il semplice titolo "Palermo oggi" la rivista del TCI "Le Vie d'Italia" pubblicò nel luglio del 1966 un lungo reportage dedicato al capoluogo della Sicilia.
Con il semplice titolo "Palermo oggi" la rivista del TCI "Le Vie d'Italia" pubblicò nel luglio del 1966 un lungo reportage dedicato al capoluogo della Sicilia.
Il giornalista incaricato di raccontare la città fu Carlo Graffigna; le fotografie furono fornite dall'Agenzia Scafidi, all'epoca la principale fonte di immagini di cronaca e di costume a Palermo.
L'articolo ( in cui non viene mai citata la parola "mafia" ) venne presentato dalla rivista con notazioni che accennavano brevemente alle trasformazioni urbane provocate da 15 anni di speculazione edilizia.
L'inviato de "Le Vie d'Italia", seguendo forse il "taglio" divulgativo dell'autorevole mensile del Touring Club, ignorò qualsiasi riferimento alle vicende affaristico-mafiose che sino a pochi anni prima avevano iniziato a stravolgere l'aspetto della città, contrapponendo con le Giuliette-bomba e le lupare i clan Greco e La Barbera:
L'area nord-orientale di Palermo in una fotografia scattata probabilmente dal grattacielo dell'INA, in piazzale Ungheria. In primo piano, il Teatro Massimo |
Foto aerea della piazza Politeama con l'imponente struttura del Teatro omonimo |
L'inviato de "Le Vie d'Italia", seguendo forse il "taglio" divulgativo dell'autorevole mensile del Touring Club, ignorò qualsiasi riferimento alle vicende affaristico-mafiose che sino a pochi anni prima avevano iniziato a stravolgere l'aspetto della città, contrapponendo con le Giuliette-bomba e le lupare i clan Greco e La Barbera:
"Il nostro collaboratore è andato nella capitale della grande isola mediterranea, ha visto tutto ciò che c'era da vedere, si è incontrato con molte persone.
Il ritratto che ora egli ci offre è quello di una nobile città di stile barocco in trasformazione, una selva di cemento e di palazzoni moderni in cui si incastrano, come oasi, le superstiti case dei tempi antichi, chiese, monumenti illustri nella storia dell'arte, magnifici musei, giardini superbi e insieme ampi ritagli di quartieri popolareschi"
Ignorando qualunque dato sull'ingerenza della mafia nell'edilizia, nel commercio e nelle sue infiltrazioni nella politica locale - oggetto all'epoca di inchieste giornalistiche, giudiziarie e financo parlamentari ( due anni prima, la commissione antimafia aveva scritto che "esiste un parallelismo fra la particolare intensità del fenomeno delinquenziale e la situazione amministrativa in una città dell'importanza di Palermo" ) - il reportage di Graffigna contiene molte informazioni sulla realtà sociale ed economica cittadina del periodo.
Apprendiamo così che Palermo era allora abitata da 625.000 persone sul totale dei 5 milioni di siciliani.
Scena di traffico cittadino in via Ruggero Settimo |
Piazza Pretoria e la scenografica fontana ricca di sculture allegoriche |
Nel 1951 i residenti erano 490.692, 564.225 nel 1957: una crescita demografica causata dall'attrazione esercitata dal capoluogo di un'isola che assisteva all'abnorme sviluppo della sua burocrazia regionale.
Nel 1965 al suo scalo marittimo - il decimo per volumi di traffico in Italia - erano attraccate e partite 5124 navi, con un milione e 61.000 tonnellate di merci imbarcate e sbarcate e con 264.000 passeggeri in arrivo o in partenza.
A quattro anni dalla sua discussa inaugurazione, l'aeroporto di punta Raisi è invece al quinto posto nelle statistiche nazionali, con 3071 aerei arrivati, 3074 partiti, 91.881 sbarcati e 92.722 imbarcati nel corso di un anno.
Quando il giornalista del TCI mette piede a Palermo, sono in attività da quasi un anno i primi cantieri per la costruzione dell'autostrada destinata a collegare la città con Catania ( la stessa che dallo scorso aprile è interrotta a causa del cedimento del viadotto Himera ).
Dell'opera si parla già dal 1946, ma serviranno sette anni per costituire un Consorzio e solo nel 1959 ci sarà un affidamento del progetto che prevede una spesa di 59 miliardi di lire.
Piazza Vittoria, con la villa Bonanno ed il complesso scultoreo dedicato a Filippo IV |
Graffigna scrive che i 186 chilometri e 576 metri saranno terminati entro la fine del 1968; nei fatti, l'autostrada verrà parzialmente inaugurata solo nel febbraio del 1973 ( mancheranno ancora 26 chilometri fra Enna e Catania ) con una spesa lievitata sino a 230 miliardi di lire.
"Quando poi, forse poco dopo il 1970, anche il ponte sullo Stretto sarà una realtà - si legge nel reportage de "Le Vie d'Italia" - allora a Palermo ci sarà il capolinea di una seconda autostrada che vi giungerà da Messina, lungo la via della costa".
La costruzione del ponte di Messina è ancor oggi materia di periodici vagheggiamenti, alternati agli annunci di archiviazione del progetto.
L'autostrada Palermo-Messina invece esiste, ma sarebbe stata completata solo nel 2004 - fra le immancabili polemiche ed inchieste giudiziarie sulla sua capacità di esercizio - 35 anni dopo l'avvio dei lavori.
All'eccessiva fiducia del giornalista del TCI sui tempi di costruzione delle strade, si contrappone però la chiara visione delle contraddizioni dello sviluppo economico di quegli anni a Palermo e nel resto dell'isola.
I mali sottolineati da Carlo Graffigna riguardano sia il comparto industriale che quello agricolo e olivicolo, questi ultimi alle prese con la fine del monopolio delle produzioni siciliane:
"Per quanto in netto sviluppo, la regione è ancora molto al di sotto delle medie nazionali in fatto di attrezzature, di impianti, di traffici, di commerci e di attività economiche in senso lato.
Il discorso sarebbe lungo e complesso, ma per l'industria possiamo dire che qui a Palermo si è verificato lo stesso fenomeno che rende precaria l'economia di molte altre plaghe del Sud: il boom economico del Nord, con il rinnovo degli impianti, ha ancora acuito la sperequazione con gli scarsi e vetusti stabilimenti del Sud, con la logica conseguenza di alti costi di produzione, difficoltà economiche, fallimenti, licenziamenti.
E, proprio contemporaneamente, l'esplosione del mercato agrumario verificatosi nell'immediato dopoguerra subiva un certo ridimensionamento con l'entrata in scena di grandi concorrenti che fino a quel momento non erano esistiti, come Israele, la Tunisia e l'Algeria, che, formatesi in nazione, cercavano di sfruttare, nell'attesa di darsi una attrezzatura industriale, i frutti spontanei del loro clima.
Così, la Sicilia, con i suoi sei milioni e mezzo all'anno di quintali di arance e un quantitativo identico fra mandarini e limoni, pur coprendo da sola il 65 per cento della produzione nazionale di agrumi, deve lottare con la Spagna e con i nuovi paesi concorrenti sui mercati del Nord Europa e di oltre oceano.
La stessa cosa accade per l'olio di oliva.
La Sicilia ne produce 360.000 quintali ogni anno, ed è la seconda regione d'Italia, dopo la Puglia, ma non sempre il costo, dovuto quaggiù alla polverizzazione industriale, cioè a una miriade di piccole imprese, può reggere la concorrenza.
Tutti questi fenomeni ( che portano sottoccupazione ) e il fatto che Palermo sia la sede del governo regionale, del suo Parlamento e di tutti gli uffici a esso collegati, spiegano il confluire in città di molti più isolani di quanti l'economia locale possa ora assorbirne..."
Il reportage di Graffigna contiene anche numerose, attualissime e a volte sorprendenti notazioni sul carattere dei palermitani e della loro città.
Tra le righe del suo racconto, spunta un riferimento ai personaggi letterari di Tomasi di Lampedusa:
"Che cosa è Palermo?
Prima di tutto è una città regale.
Lo è persino negli autobus, che sono il più popolare e il più anonimo dei mezzi di trasporto moderni.
Gli autobus di Palermo non hanno i solito seggiolini , pressocché simili in tutto il mondo, ma vere e proprie poltroncine.
Se è vero che Carlo V nominò 'signori' tutti gli abitanti di Alghero, queste poltroncine sugli autobus testimoniano indubbiamente della 'nobiltà' di tutti i palermitani.
Come, del resto, le loro case, con quel locale d'ingresso, un po' patio un po' giardino d'inverno, che è un luogo al riparo dalla luce accecante dove si possono intrecciare, su alte poltrone di velluto o di raso, i conversari di un nuovo incontro e dove si accoglie l'ospite per il primo benvenuto.
L'ospitalità dei palermitani è calda e aperta, mai invadente o appiccicosa .
Al fondo di tutti i rapporti umani c'è, quaggiù, una grande dignità, un senso di fierezza che non è patrimonio di una 'classe', ma di un'intera popolazione.
Anche vicino al mare, nei quartieri attorno al porto e quasi ai margini della sua vita attiva, si può sentire la presenza della povertà, e, spesso, della miseria, ma di essa non si fa né ostentazione né mercato.
Ci si accorge soltanto di essere di fronte ai meno fortunati fra gli eredi di un impero, di due regni che qui ebbero la capitale, e di un vicereame.
Soltanto dopo avere visto Palermo e avere conosciuto la sua gente, si capisce come Tomasi di Lampedusa abbia potuto scrivere 'Il gattopardo' senza avere avuto bisogno di chiudersi in un castello a 'respirare atmosfere antiche', ma che ne abbia invece composti molti capitoli nella saletta di un grande caffè aperto ai quattro venti nel cento della città, fra il via vai della gente e le loro conversazioni.
Il fatto è che quegli uomini e quelle donne, sia pure perfettamente inseriti in una realtà storica diversa, erano proprio i nipoti dei personaggi che lo scrittore andava rievocando.
Se negli occhi e nel portamento della gente di Palermo è rimasta quell'antica fierezza, nelle sue pietre c'è tutto quello che possono avervi inciso millenni di storia e di avventure del pensiero e dell'arte..."
Infine, dopo avere ricordato l'atmosfera "intima e raccolta" della via Ruggero Settimo - definita "punto d'incontro di un'intera città, qualche cosa di più e di diverso della Galleria di Milano o della via Veneto a Roma" - l'autore di questo reportage nella Palermo del 1966 attribuisce ad un popolo assai lontano dalla Sicilia e fa suo l'elogio della città:
"I norvegesi, che per i loro antichi antenati vichinghi, meritano ancora gran fama di viaggiatori, dicono che la città della Conca d'oro è la più europea e la più civile delle grandi metropoli dell'Africa e del vicino Oriente e, nello stesso tempo, la più esotica e la più misteriosa delle grandi città del vecchio continente.
Questa è Palermo..."
L'autostrada Palermo-Messina invece esiste, ma sarebbe stata completata solo nel 2004 - fra le immancabili polemiche ed inchieste giudiziarie sulla sua capacità di esercizio - 35 anni dopo l'avvio dei lavori.
L'aggressione della speculazione edilizia al verde cittadino nell'area urbana nord-occidentale |
Edilizia residenziale nell'area di villa Sperlinga, parte residua di un vasto parco lottizzato a partire dal 1952 |
All'eccessiva fiducia del giornalista del TCI sui tempi di costruzione delle strade, si contrappone però la chiara visione delle contraddizioni dello sviluppo economico di quegli anni a Palermo e nel resto dell'isola.
I mali sottolineati da Carlo Graffigna riguardano sia il comparto industriale che quello agricolo e olivicolo, questi ultimi alle prese con la fine del monopolio delle produzioni siciliane:
"Per quanto in netto sviluppo, la regione è ancora molto al di sotto delle medie nazionali in fatto di attrezzature, di impianti, di traffici, di commerci e di attività economiche in senso lato.
Il discorso sarebbe lungo e complesso, ma per l'industria possiamo dire che qui a Palermo si è verificato lo stesso fenomeno che rende precaria l'economia di molte altre plaghe del Sud: il boom economico del Nord, con il rinnovo degli impianti, ha ancora acuito la sperequazione con gli scarsi e vetusti stabilimenti del Sud, con la logica conseguenza di alti costi di produzione, difficoltà economiche, fallimenti, licenziamenti.
La città del vecchio centro storico: piazza della Rivoluzione con la statua del Genio |
E, proprio contemporaneamente, l'esplosione del mercato agrumario verificatosi nell'immediato dopoguerra subiva un certo ridimensionamento con l'entrata in scena di grandi concorrenti che fino a quel momento non erano esistiti, come Israele, la Tunisia e l'Algeria, che, formatesi in nazione, cercavano di sfruttare, nell'attesa di darsi una attrezzatura industriale, i frutti spontanei del loro clima.
Così, la Sicilia, con i suoi sei milioni e mezzo all'anno di quintali di arance e un quantitativo identico fra mandarini e limoni, pur coprendo da sola il 65 per cento della produzione nazionale di agrumi, deve lottare con la Spagna e con i nuovi paesi concorrenti sui mercati del Nord Europa e di oltre oceano.
La stessa cosa accade per l'olio di oliva.
La Sicilia ne produce 360.000 quintali ogni anno, ed è la seconda regione d'Italia, dopo la Puglia, ma non sempre il costo, dovuto quaggiù alla polverizzazione industriale, cioè a una miriade di piccole imprese, può reggere la concorrenza.
Tutti questi fenomeni ( che portano sottoccupazione ) e il fatto che Palermo sia la sede del governo regionale, del suo Parlamento e di tutti gli uffici a esso collegati, spiegano il confluire in città di molti più isolani di quanti l'economia locale possa ora assorbirne..."
Il reportage di Graffigna contiene anche numerose, attualissime e a volte sorprendenti notazioni sul carattere dei palermitani e della loro città.
Tra le righe del suo racconto, spunta un riferimento ai personaggi letterari di Tomasi di Lampedusa:
"Che cosa è Palermo?
Prima di tutto è una città regale.
Lo è persino negli autobus, che sono il più popolare e il più anonimo dei mezzi di trasporto moderni.
Gli autobus di Palermo non hanno i solito seggiolini , pressocché simili in tutto il mondo, ma vere e proprie poltroncine.
Se è vero che Carlo V nominò 'signori' tutti gli abitanti di Alghero, queste poltroncine sugli autobus testimoniano indubbiamente della 'nobiltà' di tutti i palermitani.
Paladini dell'opera dei pupi: un genere di rappresentazione che negli anni Sessanta dello scorso secolo visse un irreversibile declino |
Come, del resto, le loro case, con quel locale d'ingresso, un po' patio un po' giardino d'inverno, che è un luogo al riparo dalla luce accecante dove si possono intrecciare, su alte poltrone di velluto o di raso, i conversari di un nuovo incontro e dove si accoglie l'ospite per il primo benvenuto.
L'ospitalità dei palermitani è calda e aperta, mai invadente o appiccicosa .
Al fondo di tutti i rapporti umani c'è, quaggiù, una grande dignità, un senso di fierezza che non è patrimonio di una 'classe', ma di un'intera popolazione.
Anche vicino al mare, nei quartieri attorno al porto e quasi ai margini della sua vita attiva, si può sentire la presenza della povertà, e, spesso, della miseria, ma di essa non si fa né ostentazione né mercato.
Ci si accorge soltanto di essere di fronte ai meno fortunati fra gli eredi di un impero, di due regni che qui ebbero la capitale, e di un vicereame.
La nostalgica fotografia di un altro genere di spettacolo popolare palermitano che nel 1966 viveva i suoi ultimi sussulti: il racconto dei cantastorie |
Soltanto dopo avere visto Palermo e avere conosciuto la sua gente, si capisce come Tomasi di Lampedusa abbia potuto scrivere 'Il gattopardo' senza avere avuto bisogno di chiudersi in un castello a 'respirare atmosfere antiche', ma che ne abbia invece composti molti capitoli nella saletta di un grande caffè aperto ai quattro venti nel cento della città, fra il via vai della gente e le loro conversazioni.
Il fatto è che quegli uomini e quelle donne, sia pure perfettamente inseriti in una realtà storica diversa, erano proprio i nipoti dei personaggi che lo scrittore andava rievocando.
Se negli occhi e nel portamento della gente di Palermo è rimasta quell'antica fierezza, nelle sue pietre c'è tutto quello che possono avervi inciso millenni di storia e di avventure del pensiero e dell'arte..."
Infine, dopo avere ricordato l'atmosfera "intima e raccolta" della via Ruggero Settimo - definita "punto d'incontro di un'intera città, qualche cosa di più e di diverso della Galleria di Milano o della via Veneto a Roma" - l'autore di questo reportage nella Palermo del 1966 attribuisce ad un popolo assai lontano dalla Sicilia e fa suo l'elogio della città:
"I norvegesi, che per i loro antichi antenati vichinghi, meritano ancora gran fama di viaggiatori, dicono che la città della Conca d'oro è la più europea e la più civile delle grandi metropoli dell'Africa e del vicino Oriente e, nello stesso tempo, la più esotica e la più misteriosa delle grandi città del vecchio continente.
Questa è Palermo..."
Altri tempi,altra mentalità,altro modo di vedere le cose...certo,nel 1966,Palermo sorprendeva i viaggiatori del nord,perché comunque più moderna ed evoluta rispetto a certe zone di provincia del centro-nord,e lontana da certi stereotipi visti già allora in alcuni film.La mafia era allora sottovalutata e vista come un fenomeno quasi folkloristico.
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