Breve storia delle scoperte, dei furti e delle rapine dei tetradrammi gelesi, pregiati reperti della numismatica d'epoca greca in Sicilia
Ancor oggi capita di trovare nelle campagne di Gela qualche antica moneta coniata da generazioni di anonimi e abilissimi incisori che qui sbarcarono nel 688 avanti Cristo, dopo essere salpati dalle isole di Rodi e di Creta.
Una veduta aerea di Gela. La fotografia è tratta dal reportage "Gela, statue e petrolio", pubblicato da Giuseppe Tarozzi nel maggio del 1962 dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia" |
Ancor oggi capita di trovare nelle campagne di Gela qualche antica moneta coniata da generazioni di anonimi e abilissimi incisori che qui sbarcarono nel 688 avanti Cristo, dopo essere salpati dalle isole di Rodi e di Creta.
Le più importanti scoperte numismatiche in quest'area della costa nissena risalgono alla fine dell'Ottocento, in coincidenza con gli scavi per la costruzione della linea ferrata fra Gela - che all'epoca era chiamata ancora Terranova di Sicilia - e Licata, a Nord della città.
In quel periodo, pale e picconi riportarono con frequenza alla luce vecchie cisterne o sacelli utilizzati come deposito di tesoretti.
Nelle sue secolari vicende, Gela visse grandi periodi di ricchezza commerciale - la città vantò uno dei più ricchi tesori ad Olimpia - e di feroce assedio e depredazione, specie per mano cartaginese ( e ciò spiega l'abitudine dei gelesi di nascondere con accuratezza i propri risparmi ).
In quel periodo, pale e picconi riportarono con frequenza alla luce vecchie cisterne o sacelli utilizzati come deposito di tesoretti.
Nelle sue secolari vicende, Gela visse grandi periodi di ricchezza commerciale - la città vantò uno dei più ricchi tesori ad Olimpia - e di feroce assedio e depredazione, specie per mano cartaginese ( e ciò spiega l'abitudine dei gelesi di nascondere con accuratezza i propri risparmi ).
Gran parte delle monete recuperate nell'Ottocento dalla Commissione per la conservazione dei monumenti patrii erano in argento e provenivano dalle zecche di Gela e di Siracusa; i tetradrammi gelesi - dal valore di quattro dracme - si riconoscevano per la raffigurazione del toro con sembianze umane.
Già all'epoca non mancarono razziatori e trafugatori di questi tesori; di fatto, tetradrammi di Gela e altre monete provenienti da scavi archeologici in Sicilia cominciarono a essere commercializzate in tutta Europa - Inghilterra compresa - già agli inizi del secolo XX.
Notevoli e più o meno casuali ritrovamenti di tesori numismatici gelesi continuarono anche dopo il 1950, quando la cittadina venne stravolta dalla costruzione di nuove opere pubbliche e dalle strutture del petrolchimico.
L'entrata in azione di bulldozer, ruspe, escavatrici e livellatrici smosse per la prima volta in solo anno 500 ettari di terra.
A stento, gli archeologi riuscirono ad arginare la distruzione di resti architettonici dell'antica città; è logico quindi supporre che molti nascondigli di monete siano stati cancellati per sempre o semplicemente depredati 2000 anni dopo i Cartaginesi senza colpo ferire.
Già all'epoca non mancarono razziatori e trafugatori di questi tesori; di fatto, tetradrammi di Gela e altre monete provenienti da scavi archeologici in Sicilia cominciarono a essere commercializzate in tutta Europa - Inghilterra compresa - già agli inizi del secolo XX.
Notevoli e più o meno casuali ritrovamenti di tesori numismatici gelesi continuarono anche dopo il 1950, quando la cittadina venne stravolta dalla costruzione di nuove opere pubbliche e dalle strutture del petrolchimico.
L'entrata in azione di bulldozer, ruspe, escavatrici e livellatrici smosse per la prima volta in solo anno 500 ettari di terra.
A stento, gli archeologi riuscirono ad arginare la distruzione di resti architettonici dell'antica città; è logico quindi supporre che molti nascondigli di monete siano stati cancellati per sempre o semplicemente depredati 2000 anni dopo i Cartaginesi senza colpo ferire.
Così, nell'estate del 1956, gli operai impegnati in un cantiere edile nei pressi della stazione ferroviaria trovarono all'interno di un vaso circa 1200 monete d'argento coniate a Gela, Agrigento ed Atene.
Gran parte degli esemplari fu dispersa e poi recuperata grazie ad una passaparola di indicazioni su quegli operai che avevano tentato di vendere ad intermediari la propria parte di tesoretto.
La notte del 17 gennaio del 1973 a Gela dai furti occasionali si passò addirittura alla rapina a mano armata, con modalità che ricordano la trama di un film: quattro persone armate di pistola e con i volti coperti da calzamaglia si calarono con una fune attraverso un lucernaio all'interno del Museo Archeologico Nazionale.
Giuseppe Di Dio e Francesco Monachella - i due custodi - furono intimiditi con un colpo di pistola sparato su un tavolo e costretti ad aprire la camera blindata che conteneva una preziosa collezione numismatica.
I rapinatori - che si esprimevano con un italiano volutamente stentato allo scopo di spacciarsi per stranieri - si impossessarono di 600 monete in argento ed oro, dal valore stimato in un miliardo di lire; prima di fuggire, chiusero a chiave i custodi all'interno del deposito, avendo cura di consegnare loro una bottiglia d'acqua ed un paio di cuscini.
Alcune di quelle monete razziate a Gela furono 6 mesi dopo recuperate a Firenze, dove erano arrivate insieme all'artista Cristoforo Legname: insieme a lui, venne arrestato dalla polizia un altro gelese, Franco Paride.
Entrambi dichiararono di averle acquistate in buona fede a Gela e vennero in seguito scagionati.
A distanza di oltre quarant'anni, gran parte di quelle preziose monete rapinate a Gela si conservano ancora in qualche collezione privata o in altri musei sparsi nel mondo: un destino condiviso da molti altri reperti archeologici trafugati in Sicilia negli ultimi 150 anni.
Gran parte degli esemplari fu dispersa e poi recuperata grazie ad una passaparola di indicazioni su quegli operai che avevano tentato di vendere ad intermediari la propria parte di tesoretto.
La notte del 17 gennaio del 1973 a Gela dai furti occasionali si passò addirittura alla rapina a mano armata, con modalità che ricordano la trama di un film: quattro persone armate di pistola e con i volti coperti da calzamaglia si calarono con una fune attraverso un lucernaio all'interno del Museo Archeologico Nazionale.
Giuseppe Di Dio e Francesco Monachella - i due custodi - furono intimiditi con un colpo di pistola sparato su un tavolo e costretti ad aprire la camera blindata che conteneva una preziosa collezione numismatica.
I rapinatori - che si esprimevano con un italiano volutamente stentato allo scopo di spacciarsi per stranieri - si impossessarono di 600 monete in argento ed oro, dal valore stimato in un miliardo di lire; prima di fuggire, chiusero a chiave i custodi all'interno del deposito, avendo cura di consegnare loro una bottiglia d'acqua ed un paio di cuscini.
Alcune di quelle monete razziate a Gela furono 6 mesi dopo recuperate a Firenze, dove erano arrivate insieme all'artista Cristoforo Legname: insieme a lui, venne arrestato dalla polizia un altro gelese, Franco Paride.
Entrambi dichiararono di averle acquistate in buona fede a Gela e vennero in seguito scagionati.
A distanza di oltre quarant'anni, gran parte di quelle preziose monete rapinate a Gela si conservano ancora in qualche collezione privata o in altri musei sparsi nel mondo: un destino condiviso da molti altri reperti archeologici trafugati in Sicilia negli ultimi 150 anni.
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