Translate

sabato 26 agosto 2017

GLI ULTIMI PALADINI DEI CARRETTI DI GIUSEPPE PICCIURRO

Il pittore palermitano di carretti
Giuseppe Picciurro
al lavoro su una razza di ruota.
Le immagini del post furono pubblicate
il 16 maggio del 1954
dal settimanale "Epoca"
Giuseppe Picciurro ( 1910-1970 ) viene ricordato come uno dei più abili pittori di carretto.
Salvatore Lo Presti - autore nel 1959 del saggio "Il carretto", edito a Palermo da S.F.Flaccovio - lo definì come discepolo "molto apprezzato" di Emilio Mùrdolo, decoratore di origini calabresi che a Bagheria contribuì a formare il giovane Renato Guttuso.
L'arte del pittore di carretto richiedeva un completo bagaglio di estro ed abilità manuale: dopo averlo ricevuto allo stato grezzo, egli provvedeva anzitutto a turarne con lo stucco buchi ed incrinature.
Quindi, dopo avere reso sensibile il legno al colore con l'olio di lino, come ha ricordato Antonino Buttitta in "Due ruote" di Paolo Di Salvo ( Eugenio Maria Falcone Editore, 2007

"aveva inizio la prima fase del lavoro, consistente nel passare su tutte le superfici libere una prima ed una seconda mano di bianco, e infine una terza di giallo, la quale in origine andava a tutto il carro e poi soltanto ad alcune parti di esso"

L'attività di Giuseppe Picciurro - pittore che collaborò soprattutto con il carradore Giovanni Raia - si formò alla scuola del padre, e passò di mano al figlio Mariano; la loro bottega palermitana si trovava in piazza Scaffa, a poca distanza dal ponte dell'Ammiraglio.
La fama goduta da Picciurro fece sì che il settimanale "Epoca" gli dedicasse nel 1954 il reportage fotografico ora riproposto da ReportageSicilia.




Erano i tempi in cui le forme di cultura tradizionale venivano illustrate con curiosità, con una visione ormai folklorica di arti e mestieri che sino a qualche decennio prima rappresentavano pienamente la società e la cultura del proprio territorio.
L'articolo di "Epoca" - firmato con le iniziali D.F. - presentò l'attività del pittore palermitano negli anni in cui i carretti cominciavano a scomparire da strade e campagne della provincia di Palermo:

"Da un ventennio in qua si stanno riducendo.
Se ne facevano sessanta all'anno; se ne fanno dieci.
Schiamazzano i motori dove tinnivano i sonagli: e che gusto c'è più a mettere colori chiassosi sui fianchi di un veicolo che fa già anche troppo chiasso?"

In una delle fotografie che accompagnarono quel reportage, Giuseppe Picciurro è impegnato a rifinire - o a fingere di rifinire - gli "ammozzi" ( le razze ) di un carretto.
Intorno al maestro palermitano - una mano sul pennello, l'altra a reggere la tavolozza ed un bastone - compaiono ragazzini e bambini; su uno sfondo, si intravede il passaggio di alcuni carrettieri.




Un'altra immagine, fissa il lavoro di ricalco del pittore con le "veline" sul "masciddaru" ( la fiancata ), allo scopo di abbozzare le scene da raffigurare. 
Le sponde del carretto dipinto da Picciurro si rifanno ai tradizionali motivi decorativi: le storie dei paladini di Francia, scene di opere liriche, episodi mitologici o della Bibbia.
Sono i temi iconografici tradizionali del carretto isolano, che già agli inizi degli anni Cinquanta cominciavano a cedere il posto a personaggi e spunti narrativi ispirati da vicende di cronaca raccontate da quotidiani e riviste popolari.
Qualche anno prima, negli anni bui del secondo dopoguerra, si sarebbe anche visti carretti con raffigurazioni dello sbarco alleato in Sicilia o con i disegni di un incontro fra il generale Patton e l'arcivescovo di Palermo, cardinale Lavitrano.




L'aggiornamento dei temi decorativi avrebbe dato quindi spazio alle scene tratte dai film proiettati nei cinema: un'evoluzione pittorica sempre meno legata alla tradizione seguita da Picciurro e così descritta nel 1982 ancora da Antonino Buttitta in "Il carretto racconta" ( Edizioni Giada ):
   
"Le immagini di cui nel suo momento finale la pittura del carro tende ad appropriarsi, erano infatti i simboli di una civiltà dai cui processi di produzione e di scambio persino i carretti e non solo le loro pitture sarebbero stati esclusi e cancellati.
Di tutto ciò però solo ora abbiamo assunto consapevolezza.
Quando nella nostra giovinezza abbiamo ammirato i primi cowboys dipinti sulle sponde dei carri, non potevamo sapere infatti che essi erano lì per annunciare la fine di una cultura della quale, a dispetto dei tempi, nel bene come nel male, restiamo ancora alcuni a testimoniare la memoria"








Nessun commento:

Posta un commento