In una "Guida Agenda Messina 1952" edita da Edizione Catri venne pubblicata una curiosa inserzione promozionale: "in Sicilia gioia di vivere", slogan accompagnato dai volti sorridenti di un uomo e di una donna. La didascalica capacità di comunicazione di quel messaggio, destinato a convincere i turisti della capacità dell'Isola di donargli felicità e spensieratezza, fa ancor oggi riflettere sugli stati d'animo che la Sicilia concede a chi vi nasce e vive, magari dopo avere rinunciato ad una precoce scelta di emigrazione. Fra i sentimenti possibili per i siciliani, quello della felicità sembra in realtà essere fra i meno diffusi; segno forse di quel sofferto vivere di odio e di amore che una buona parte degli isolani coltiva verso la propria Isola.
Di questo stato d'animo ha scritto nel 1979 la giornalista e saggista Marisa Messineo Vandini, una "non siciliana" segnata fortemente dalla Sicilia in virtù dei suoi legami familiari e dei rapporti di collaborazione con il "Giornale di Sicilia" e "Telestar" :
"Era la fine di giugno - si legge nel saggio "Clippings" ( Todariana Editrice Milano - e stavo risalendo in treno dalla Sicilia verso il Nord. Quasi senza accorgermene, cercavo di definire a me stessa le sensazioni che il passaggio veniva man mano offrendomi... In che modo andava differenziandosi, fluidamente, l'atmosfera, la natura? Il cielo si faceva di un turchino meno intenso, più grigio ed il verde meno polveroso e riarso. I colori meno vivi, i contrasti meno evidenti. Il clima, più temperato, diluiva uniformemente il paesaggio che diveniva anche più domestico nella punteggiatura di case coloniche, nel frazionamento ordinato e pignolesco dei poderi, mentre in Sicilia l'agro è solitario e sdegnoso, ai piedi di roccaforti paesane, distanti l'una dall'altra come nemiche.
Salendo verso Nord della penisola una diversa vegetazione contorna i campi di grano; si infittiscono i boschi di pioppi e cipressi, appaiono i filari di alberi da frutta a recingere i campi coltivati. Ci lasciamo indietro gli ulivi, le palme, gli aranceti ed i giardini di limoni il cui stesso nome dà immagine di qualcosa creato più per il godimento estetico che per il valore pratico, venale. Anche gli orti di Sicilia sanno di favola... Ma soprattutto il mare, la sua potenza arcana, immutabile, che pervade anche il punto più interno dell'isola, tutto a un tratto cessa di dominarci con la sua presenza.
Verdi colline, smussati contorni, di un breve orizzonte, sostituiscono le corrusche quinte brune e violette delle montagne vulcaniche. Si ha, in un certo senso, l'impressione di essere di nuovo fra la gente dopo un soggiorno in un silenzioso giardino incantato. Eppure lasciare il Sud significa anche lasciare le emozioni e l'irrazionale per un tenore di vita più monotono, più organizzato e più comodo forse, ma anche meno eccitante, meno poetico. Una tenue malinconia serpeggia insieme ai chilometri, un vago rimpianto per l'isola dei contorni sfumati nel sole turchino.
E una domanda: perché la felicità che vi si potrebbe esistere è più che altrove non è in effetti riscontrabile nella realtà umana dell'isola? Quale antico sortilegio ha mai ghiacciato negli abitanti dell'isola la linfa della spensieratezza e della semplicità, rendendoli gravi sotto un'ombra di morte? Quale divinità invidiosa ha buttato l'anatema su quella terra ricolma di splendori?
Da questo forse scaturisce, in chi vi è nato, il bisogno ricorrente di fuggire. L'ho provato anch'io, che non vi sono nata, al termine di lunghi soggiorni. Sensazione contrastante con l'attrazione verso la Sicilia che mi seguiva anche lì, sul rapido che già si lasciava dietro Firenze ed in meno di un'ora sarebbe arrivato a Bologna. Già provavo nostalgia per le insenature verdi e colme di calura, per le ceste ordinatamente ricolme di bellissime frutta e verdura poste a rallegrare il grigio dell'asfalto e del cemento.
Per il 'monte solitario' e per il parco che si stende ai suoi piedi. Per i fastosi cadenti palazzi barocchi e per la via spaziosa ed alberata che marca il centro della sua urbanistica. Nostalgia per i sipari di roccia che dividono una scena dall'altra, in una interminabile sequenza di colori e di bellezza che glorifica, esaspera addirittura l'aggettivo 'mediterraneo'.
L'incomprensibile mistero di questa isola. Bellezza e morte indissolubilmente legati. Un monito divino che il cammino dell'uomo verso la libertà e la compiutezza del proprio spirito è cosparso di asperità. E mi venne in mente al termine del viaggio verso il Nord il detto famoso 'Nec tecum nec sine te vivere possum'".
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