"Mi è difficile ricordare da quale momento ho incominciato a pensare alla Sicilia. E non so neanche se avessi sperato di vederla un giorno.
Essa esiste in me da una data incerta, testarda e incitante, ossessiva come ogni prodigio che non riesco a comprendere.
Quel triangolo di terra - che, paradossalmente, figura anche sulla carta geografica! - era per me un'atlantide convenzionale, inventata per necessità di dimostrazione e di simbolo, la terra dei terribili racconti sulla mafia e dei film neorealisti, così come Yoknapatawpha è la terra dei romanzi di Faulkner, e Eldorado, il paese ideale di Voltaire.
Che Agrigento, Siracusa, Segesta o Selinunte, o tanti altri antichi nomi ellenici, fossero di lì, che lì era nato Archimede e che lì era morto, che Pindaro avesse innalzato lì degli inni, che attraverso l'alveo della Sicilia fossero passate in qualche centinaio di anni undici dominazioni straniere, tutte queste erano delle astrazioni buone da insegnare alla scuola.
Carica sopra la linea galleggiante della storia, l'isola si era sprofondata per me, e proprio con la mia affettuosa complicità, nella leggenda"
Ana Blandiana
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