Il ritratto di Dinu Adamesteanu nel reportage "Viaggio in Italia" di Guido Piovene: storia e aneddoti di un singolare pioniere dell'archeologia nella Gela di sessant'anni fa
Ci sono personaggi che hanno scritto pagine della storia siciliana, vivendo oggi nel ricordo di un ristretto numero di persone che sono stati al loro fianco o nelle pagine di qualche libro a loro dedicato.
Uno di questi uomini è stato l'archeologo romeno Dinu Adamesteanu, che fra il 1949 ed il 1958 lavorò agli scavi di Siracusa, Gela, Lentini e Butera.
Adamesteanu era arrivato in Italia da apolide e grazie ai suoi rapporti con Luigi Bernabò Brea e Pietro Griffo avrebbe lasciato una traccia fondamentale nella storia dell'archeologia siciliana, introducendo la topografia fotografica aerea; per i meriti scientifici dei suoi studi nell'isola, nel 1955 ottenne la cittadinanza italiana.
Dell'impegno di Adamesteanu in Sicilia - e della sua singolare figura di archeologo - rimangono tracce nelle pagine del libro di Guido Piovene "Viaggio in Italia", edito nel 1957 da Arnaldo Mondadori.
Lo scrittore e giornalista vicentino dedicò all'archeologo un ritratto ricco di aneddoti singolarissimi, che restituiscono la figura di uno studioso interamente prestato alla ricerca.
Il reportage di Piovene focalizzò le sue attenzioni sul periodo in cui Adamesteanu si dedicò agli scavi nel territorio di Gela, la cittadina nissena all'epoca teatro anche delle esplorazioni petrolifere.
Piovene ricorda anzitutto che lo studioso romeno - probabilmente per assonanza fonetica - era conosciuto dai gelesi come "don Bastiano".
Nel reportage si descrive quindi la scoperta casuale delle antiche mura militari della colonia greca: un piccolo proprietario terriero notò alcune pietre rettangolari affioranti dalla sabbia e cominciò a prelevarle per costruirsi una casa.
Qualcuno però raccontò l'accaduto, e quando la vicenda giunse a conoscenza del sovraintendente alle antichità Griffo gli archeologi corsero subito a verificare quanto stava accadendo; con loro sorpresa, scoprirono una muraglia alta nove metri che Piovene definirà "un enorme paravento perduto tra le dune, nello spazio deserto, solenne e oggi astratto da ogni realtà, una costruzione chimerica".
Per compensarlo del mancato utilizzo di quelle pietre, il costruttore della casa sarebbe stato ricompensato con la nomina a custode degli scavi e di un antiquarium.
"Ritto davanti al muro - scrive ancora Piovene - racconta le battaglie, rifacendo nella sua mimica i gesti dei guerrieri, e, da buon popolano della Sicilia, li divide non già in cartaginesi e greci, ma in saraceni e paladini, come nelle pitture dei carri o al teatro dei pupi".
Insieme agli altri archeologi, Dinu Adamesteanu avrebbe riportato alla luce quella straordinaria opera di architettura militare, lottando contro la sabbia scagliata loro dalle raffiche dello scirocco:
"Gela possiede dunque il più bel muro trasmessoci dall'antichità.
L'archeologo di origine romene Dinu Adamesteanu. La sua opera di studioso dell'arte greca nell'isola si è svolta in Sicilia fra il 1949 ed il 1958. ReportageSicilia ripropone un brano delle pagine dedicategli dallo scrittore Guido Piovene nell'opera "Viaggio in Italia", edita da Arnoldo Mondadori nel 1957. L'immagine è tratta da http://salentopoesia.blogspot.it/ |
Ci sono personaggi che hanno scritto pagine della storia siciliana, vivendo oggi nel ricordo di un ristretto numero di persone che sono stati al loro fianco o nelle pagine di qualche libro a loro dedicato.
Uno di questi uomini è stato l'archeologo romeno Dinu Adamesteanu, che fra il 1949 ed il 1958 lavorò agli scavi di Siracusa, Gela, Lentini e Butera.
Adamesteanu era arrivato in Italia da apolide e grazie ai suoi rapporti con Luigi Bernabò Brea e Pietro Griffo avrebbe lasciato una traccia fondamentale nella storia dell'archeologia siciliana, introducendo la topografia fotografica aerea; per i meriti scientifici dei suoi studi nell'isola, nel 1955 ottenne la cittadinanza italiana.
Dell'impegno di Adamesteanu in Sicilia - e della sua singolare figura di archeologo - rimangono tracce nelle pagine del libro di Guido Piovene "Viaggio in Italia", edito nel 1957 da Arnaldo Mondadori.
Lo scrittore e giornalista vicentino dedicò all'archeologo un ritratto ricco di aneddoti singolarissimi, che restituiscono la figura di uno studioso interamente prestato alla ricerca.
Il reportage di Piovene focalizzò le sue attenzioni sul periodo in cui Adamesteanu si dedicò agli scavi nel territorio di Gela, la cittadina nissena all'epoca teatro anche delle esplorazioni petrolifere.
Piovene ricorda anzitutto che lo studioso romeno - probabilmente per assonanza fonetica - era conosciuto dai gelesi come "don Bastiano".
Nel reportage si descrive quindi la scoperta casuale delle antiche mura militari della colonia greca: un piccolo proprietario terriero notò alcune pietre rettangolari affioranti dalla sabbia e cominciò a prelevarle per costruirsi una casa.
Qualcuno però raccontò l'accaduto, e quando la vicenda giunse a conoscenza del sovraintendente alle antichità Griffo gli archeologi corsero subito a verificare quanto stava accadendo; con loro sorpresa, scoprirono una muraglia alta nove metri che Piovene definirà "un enorme paravento perduto tra le dune, nello spazio deserto, solenne e oggi astratto da ogni realtà, una costruzione chimerica".
Un tratto delle antiche mura, composte da pesanti massi di pietra calcarea |
Per compensarlo del mancato utilizzo di quelle pietre, il costruttore della casa sarebbe stato ricompensato con la nomina a custode degli scavi e di un antiquarium.
"Ritto davanti al muro - scrive ancora Piovene - racconta le battaglie, rifacendo nella sua mimica i gesti dei guerrieri, e, da buon popolano della Sicilia, li divide non già in cartaginesi e greci, ma in saraceni e paladini, come nelle pitture dei carri o al teatro dei pupi".
Le opere di conservazione della muraglia, realizzate tramite l'utilizzo di grosse lastre di cristallo e tettoie |
Insieme agli altri archeologi, Dinu Adamesteanu avrebbe riportato alla luce quella straordinaria opera di architettura militare, lottando contro la sabbia scagliata loro dalle raffiche dello scirocco:
"Gela possiede dunque il più bel muro trasmessoci dall'antichità.
Nella parte della città già nota per gli scavi dell'anteguerra, è sorto anche un moderno museo, non ancora aperto al pubblico, dove si raduna il ricco materiale raccolto.
Qui possiamo conoscere meglio Adamesteanu, l'archeologo romeno divenuto italiano, popolarissima figura in tutta la zona, ribattezzato Don Bastiano per semplificarne il nome.
Don Bastiano è tra i pochi archeologi avventurosi che rimangono in campo. Un misto d'istinto e di calcolo fa sì che, uscendo all'aria aperta in un terreno tutto eguale, egli individua il metro esatto in cui bisogna affondare il piccone.
Cominciando dal maggio, vive sui luoghi degli scavi, spesso lontani e disagevoli, al sole e alla pioggia, dormendo per terra e cielo scoperto, portando in tasca un pane, una cipolla, un pezzo di cioccolata, tutt'al più una scatoletta di carne.
Una protome equina in terracotta. All'epoca dei primi scavi archeologici, i ricercatori si trovarono ad affrontare anche il problema dei furti dei reperti appena recuperati |
Scavare è l'unica sua cura. Solo recentemente, dopo anni di bivacco sulla proda dei fossi, gli hanno regalato una tenda.
Prima del dono un contadino, impietosito di vederlo all'aperto, gli cedette il casotto del maiale, sommariamente ripulito ed imbiancato, per ripararvisi la notte.
Ma il maiale, furente di essere stato espulso, riuscì un giorno a rientrarvi mentre don Bastiano era assente, e per vendetta fece a brani vestiti e biancheria, oltre ad ingurgitare sapone, pasta dentifricia, spazzolino da denti.
Statuette fittili di donne che recano offerte a Demetra. Piovene racconta dell'abitudine dell'archeologo romeno, da tutti conosciuto come "don Bastiano", di dormire in una brandina all'interno del museo |
A Piazza Armerina, dove don Bastiano arrivò una mattina con gli abiti a brandelli, si fece incetta d'indumenti a prestito per rivestirlo.
A Gela, don Bastiano dorme su un letto di fortuna in una sala del museo, adesso un vasto cantieri di oggetti in restauro, che gli specialisti riescono a ricomporre in modo per noi prodigioso da centinaia di frammenti sparsi e confusi nella terra.
Vi è il profluvio di tutti i musei dell'Italia meridionale di statuette dedicate a divinità diverse, con predominio di Demetra, e di oggetti votivi tirati in serie come oggi; e in mezzo alcuni pezzi di straordinaria bellezza.
'Via via che progrediscono gli scavi e gli studi' mi dice don Bastiano ' viene sempre più in luce la varietà del mondo greco. E si precisa sempre più quello che fu chiamato l'anti classicismo dell'arte antica siciliana. Per contatto con l'elemento indigeno, siciliota, o anche perché le razze greche non erano affatto uniformi, qui si ha un'arte diversa da quella Grecia al di là dello Ionio.
I veri greci non avrebbero mai fatto questi stupendi, capricciosi Sileni'.
Mi indica, così dicendo, una fila di teste sileniche in materia fittile, realistiche, caricaturali.
'Tra parentesi, quando furono ritrovati, bastò che gli operai si voltassero la testa un attimo, perché sparisse il più perfetto. Per fortuna qui si sa tutto. Obbligammo l'incettatore, che già l'aveva comprato dal ladruncolo per poche migliaia di lire, a restituirlo al museo.
Né i veri greci avrebbero mai fatto questi vasi, sui quali le divinità appaiono caricaturate, rittratte come gente spicciola con il suo lato comico. I veri greci si tenevano ai canoni. Ma qui tutti sfuggono ai canoni, domina la fantasia, l'empirismo, il realismo, l'estro individuale'.
La Sicilia, per don Bastiano, è la tipica terra del barocco perenne, un barocco che già fiorisce sotto forme greche, con figure che si tramandano dall'antichità sino alle pitture dei carri.
Era anche, la Sicilia, rispetto alla Grecia, quello che oggi è l'America rispetto a noi, la terra del ricco e colossale.
'Non si sarebbero mai fatti nella Grecia contemporanea templi colossali come a Selinunte ed Agrigento; né si sarebbero ammassati, come è avvenuto ad Agrigento, tanti templi tutti grandiosi in una valle sola. Né si trovano in Grecia, come qui, cinquanta vasi tutti in una sola tomba. Vi era già allora una tendenza sontuosa, e quasi megalomane, nella Sicilia; quella che, dopo il dominio spagnolo, si chiamò spagnolesca'.
La varietà del mondo greco, la forza dei caratteri e degli apporti indigeni, le apparizioni del barocco nel classico, si definiscono con precisione crescente.
Gela non aveva pietra, e tutto, anche le statue, era fatto di materia fittile, plasmata con eccezionale fantasia e abilità.
Si riteneva fino a ieri che le ceramiche venissero dalla Grecia.
Oggi, a Gela e altrove, sono state scoperte alcune fornaci e gli stampi.
L'originalità dell'arte siciliana si va così documentando...".
Vi è il profluvio di tutti i musei dell'Italia meridionale di statuette dedicate a divinità diverse, con predominio di Demetra, e di oggetti votivi tirati in serie come oggi; e in mezzo alcuni pezzi di straordinaria bellezza.
'Via via che progrediscono gli scavi e gli studi' mi dice don Bastiano ' viene sempre più in luce la varietà del mondo greco. E si precisa sempre più quello che fu chiamato l'anti classicismo dell'arte antica siciliana. Per contatto con l'elemento indigeno, siciliota, o anche perché le razze greche non erano affatto uniformi, qui si ha un'arte diversa da quella Grecia al di là dello Ionio.
I veri greci non avrebbero mai fatto questi stupendi, capricciosi Sileni'.
Mi indica, così dicendo, una fila di teste sileniche in materia fittile, realistiche, caricaturali.
'Tra parentesi, quando furono ritrovati, bastò che gli operai si voltassero la testa un attimo, perché sparisse il più perfetto. Per fortuna qui si sa tutto. Obbligammo l'incettatore, che già l'aveva comprato dal ladruncolo per poche migliaia di lire, a restituirlo al museo.
Né i veri greci avrebbero mai fatto questi vasi, sui quali le divinità appaiono caricaturate, rittratte come gente spicciola con il suo lato comico. I veri greci si tenevano ai canoni. Ma qui tutti sfuggono ai canoni, domina la fantasia, l'empirismo, il realismo, l'estro individuale'.
La Sicilia, per don Bastiano, è la tipica terra del barocco perenne, un barocco che già fiorisce sotto forme greche, con figure che si tramandano dall'antichità sino alle pitture dei carri.
Era anche, la Sicilia, rispetto alla Grecia, quello che oggi è l'America rispetto a noi, la terra del ricco e colossale.
'Non si sarebbero mai fatti nella Grecia contemporanea templi colossali come a Selinunte ed Agrigento; né si sarebbero ammassati, come è avvenuto ad Agrigento, tanti templi tutti grandiosi in una valle sola. Né si trovano in Grecia, come qui, cinquanta vasi tutti in una sola tomba. Vi era già allora una tendenza sontuosa, e quasi megalomane, nella Sicilia; quella che, dopo il dominio spagnolo, si chiamò spagnolesca'.
Una statuetta in terracotta affiora dal terreno a Butera, altra località oggetto delle ricerche in Sicilia di "don Bastiano" |
La varietà del mondo greco, la forza dei caratteri e degli apporti indigeni, le apparizioni del barocco nel classico, si definiscono con precisione crescente.
Gela non aveva pietra, e tutto, anche le statue, era fatto di materia fittile, plasmata con eccezionale fantasia e abilità.
Si riteneva fino a ieri che le ceramiche venissero dalla Grecia.
Oggi, a Gela e altrove, sono state scoperte alcune fornaci e gli stampi.
L'originalità dell'arte siciliana si va così documentando...".
Le immagini sono bellissime ed il post interessantissimo, non avevo mai sentito parlare di questo archeologo rumeno. Grazie Ernesto
RispondiEliminaGrazie per la lettura del post, le pagine di Guido Piovene meritano di essere ricordate e conosciute da quanti non hanno avuto la fortuna di conoscere un singolarissimo Signore dell'archeologia siciliana.
EliminaReportageSicilia
interessantissimo!!
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