Raccolta di olive di varietà "biancolilla" a Lucca Sicula, nell'agrigentino. Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia |
Punto di riferimento indiscutibile per l'agricoltura dell'Isola, la raccolta delle olive racconta ogni anno una storia millenaria di conoscenze tecniche, saperi e tradizioni.
In alcuni luoghi della Sicilia - ad esempio, a Lucca Sicula, nell'agrigentino - il ciclo produttivo dell'olio coinvolge ancora l'intera comunità, diventando un rito collettivo che dispensa ruoli e qualifiche indicate con termini di secolare utilizzo: "chiurma" ( l'insieme dei lavoratori ) "carramaturi" o "cutulaturi" ( abbacchiatore ), "cugghiuturi" ( raccoglitore ), "trappitara" ( chi lavora nel trappeto ).
Specie fra gli anziani, rimane memoria della definizione di oggetti di lavoro che le innovazioni tecnologiche hanno ormai eliminato dai frantoi: il "busunettu", la "scorcia" e lo "scrozzu" ( gli strumenti di latta con i quali si prendeva l'olio dalle tinozze ), la "chinchinara" ( il recipiente di legno usato per conservare i diversi utensili ) o la "scanatura" ( la sgramolatrice ).
Alla tradizione della molitura delle olive appartengono inoltre altre definizioni con un lontano passato: "prima pasta" ( prima macina ), "Re di pasta" ( "seconda macina" ), "Re di nozzulo" ( "terza ed ultima" ), "la chianchera" ( la sansa contenuta nella gabbia ), "l'ogghiu di lu purgatoriu" ( l'olio che rimane nella tinozza mescolato con acqua ).
Un'efficace sintesi della coltura olivicola in Sicilia - un tema che potrà interessare quanti hanno a cuore un consumo di olio acquistato direttamente da un produttore, lontano dalle incognite di un supermercato - è stata così fornita nel 1960 dal geografo Ferdinando Milone, in "Sicilia, la natura e l'uomo" ( Paolo Boringhieri ):
"L'olivo in Sicilia è anche più antico della vite.
Sembra che vi sia pervenuto dalle isole dell'Egeo, che sono il suo centro mediterraneo di dispersione, sin dai primi contatti con quel mondo, non troppo lontano neppure quando i battelli erano poco più di un guscio di noce.
Sarebbe stato introdotto, secondo gli archeologi, ancor prima dell'arrivo dei colini greci, i quali, tuttavia, ne avrebbero diffuso la pianta.
Secondo Diodoro Siculo, olio sarebbe stato esportato dall'Isola, ai tempi suoi; e Tucidide, assai prima di lui, ci descrive gli oliveti chiusi da muretti a secco.
L'olivo doveva essere, nell'antichità, uno dei principali elementi del paesaggio siciliano.
Del resto, è così ancor oggi; e caratteristiche sono le frequenti piante secolari dalle verdi chiome sopra colossali tronchi contorti.
La gente del luogo dice saraceni i vecchi olivi secolari, per dirli fuori del nostro tempo e della nostra civiltà, così come, - lo notava il caro Biagio Pace - nei paesi musulmani tutto quello che è antico, dal rudere alla palma in abbandono, è detto, al contrario, dei Rumi, e cioè dei Romani.
Secondo l'Amari, la coltivazione dell'olivo, decaduta, non era neppure rifiorita sotto gli arabi, anche se l'Isola già allora doveva essere, forse, il principale centro di produzione del Mezzogiorno.
Augusto Lizier, più di mezzo secolo fa, affermava che prima del Mille l'olivo doveva essere assai meno diffuso della vite, perché i documenti ne facevano poca menzione, e solo verso la metà di quel secolo il ricordo si fa più frequente.
Del pari, mentre spesso veniva nominato il palmentum per il vino, assai più di rado ricorre il nome del trappetum.
Ne deduce giustamente che la coltura dell'olio dovesse essere molto più scarsa; e lo spiega con l'abbondanza dei maiali o delle greggi che non facevano sentire il bisogno dei grassi vegetali, ma anche con la necessità del lungo anticipo del capitale e del lavoro per il suo impianto..."
Insieme alla sua storia millenaria, i detti di saggezza popolare raccolti nel 1889 da Giuseppe Pitrè ribadiscono l'importanza ( e l'attualità ) dei saperi agricoli ed il ruolo dell'olio nei momenti di festa e di dolore riservati dalla vita e dalla morte:
"Runca e cuteddu, fannu l'arvulu bellu", "roncola e coltello, fanno l'albero bello"; "cu và a l'olivi travagghia di cori, lu cori e l'arma nni senti piaciri!", "chi va fra gli ulivi, lavora con il cuore, e il cuore e l'anima provano piacere!"; "nun mettiri mazza, ca t'ammazza", "non lavorare con violenza, che ti va contro"; "l'oliva ch'è cugghiuta cu la mazza, ogghiu di mal sapuri porta 'nchiazza", "l'oliva che è raccolta in maniera violenta, olio di cattivo sapore porta al mercato"; "l'oliva, quantu cchiù penni, tantu cchiù renni", "l'oliva, quanto più pende dall'albero tanto più rende"; "tri sunnu li nimici di l'oliva, lu sirracculu, vermi e cattuneddu", "tre sono i nemici dell'oliva, il segaccio, i vermi e la cocciniglia"; "annata d'olivi, si mangia e si bivi", "buona annata di olive, si mangia e si beve"; "mortu e vivu, adduma l'olivu", "alla morte ed alla nascita, accendi l'olio santo".
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