Renato Guttuso, "Paesaggio di Bagheria", 1951 |
Già alla fine degli anni Cinquanta dello scorso secolo, il territorio agricolo di Bagheria cominciò ad essere assediato da quella confusa espansione edilizia che nel 1965 fu oggetto di una commissione d'inchiesta del partito comunista guidata da Giuseppe Speciale.
"Dopo avere indagato con scrupolo per mesi - scriverà Dacia Maraini in "Bagheria" ( Rizzoli, 1993 ) - compila una serie di relazioni davvero angosciate e allarmanti in cui si denunciano, con nomi e cognomi, coloro che hanno contribuito allo sfacelo del primo e del secondo polmone verde di Bagheria per favorire quelli che a Roma si chiamano 'palazzinari', con la complicità a volte sfacciata, a volte sorniona e nascosta degli uomini del governo locale: sindaci, consiglieri comunali, assessori, tecnici eccetera".
Quattro anni prima dell'inizio delle attività di quella commissione, Renato Guttuso avrebbe fatto cenno allo scempio ambientale ed architettonico di Bagheria, paragonando l'aspetto della cittadina ad un'opera di Jean Dubuffet, il pittore e scultore francese fondatore dell'arte grezza o primitiva.
"La terrazza della mia casa di Bagheria - scrisse Guttuso in "Uno sguardo da Gibilrossa", in "Sicilia" edito nel 1961 da Sansoni e Istituto Geografico De Agostini per la collana "Tuttitalia" - guardava, a ponente, su un mare di agrumi e oliveti.
Era uno scenario chiuso dai monti, da quei monti che si tuffano nel mare dove si erge la mole calcarea del Pellegrino.
Qui ogni sera potevo assistere a uno spettacolo di colori: il cielo si faceva porpora, ceruleo, vermiglio, arancione o giallo tenue.
Fu questa la mia vera scuola.
Quell'immenso fondale cangiante poté insegnarmi molte cose sulla pittura, sul rapporto tra ciò che si è e ciò che si vede.
Era continuarmi nel cielo: sentivo crescere e disfarsi dentro di me quei colori e quelle forme.
Bagheria era allora un grosso paese a forma di chitarra; ma oggi quell'antica pianta appare deformata dall'espansione edilizia, i suoi contorni sono tremolanti e resegati, un pò sgangherati e mostruosi, come quelli di una chitarra di Dubuffet"
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